Ricettazione Carta Prepagata: La Cassazione chiarisce la responsabilità
Accettare una ricarica sulla propria carta da una fonte sconosciuta può sembrare un colpo di fortuna, ma nasconde insidie legali molto serie. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito come tale condotta possa integrare il grave reato di ricettazione carta prepagata. L’analisi del caso offre spunti fondamentali per comprendere quando la semplice disponibilità di una carta ricaricata con fondi illeciti si trasforma in una condotta penalmente rilevante.
I Fatti di Causa: una ricarica sospetta
Il caso ha origine da una vicenda di phishing. Un utente subisce una frode informatica e, a sua insaputa, dal suo conto viene disposto un bonifico che va a ricaricare una carta prepagata intestata a un’altra persona, l’imputato del nostro caso. Quest’ultimo viene quindi accusato e condannato in primo grado per il reato di ricettazione, per aver ricevuto consapevolmente somme di provenienza illecita.
In appello, la Corte territoriale conferma la colpevolezza ma riconosce una circostanza attenuante per la particolare tenuità del fatto, rideterminando la pena in dieci mesi di reclusione e 300 euro di multa.
Il Ricorso in Cassazione e la sua genericità
Non soddisfatto della decisione, il difensore dell’imputato presenta ricorso alla Corte di Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. Secondo la difesa, non vi erano prove sufficienti per affermare la responsabilità penale del proprio assistito.
Tuttavia, la Suprema Corte giunge a una conclusione netta: il ricorso è inammissibile. La ragione risiede nella genericità delle critiche (le cosiddette ‘doglianze’), che non si confrontano in modo specifico e puntuale con le argomentazioni logico-giuridiche sviluppate dai giudici di merito nelle precedenti sentenze.
Le Motivazioni: la responsabilità nella ricettazione di carta prepagata
Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella valorizzazione degli elementi probatori che i giudici di merito avevano posto a fondamento della condanna. Questi elementi, considerati nel loro insieme, creavano un quadro accusatorio solido e coerente, che il ricorso non è riuscito a scalfire. In particolare, sono stati ritenuti decisivi tre fattori:
1. L’attivazione della carta: L’imputato aveva attivato la carta prepagata lo stesso giorno in cui era avvenuto l’accredito fraudolento.
2. L’uso del documento d’identità: Per l’attivazione, aveva utilizzato il proprio documento d’identità, mai dichiarato smarrito.
3. La disponibilità esclusiva del PIN: Di conseguenza, era l’unico ad avere la disponibilità del codice PIN necessario per operare con la carta.
Secondo la Corte, questi elementi dimostrano in modo attendibile che l’imputato non solo era il titolare formale dello strumento, ma ne aveva anche la piena e consapevole disponibilità. L’aver messo a disposizione la propria carta per ricevere fondi di dubbia provenienza, attivandola prontamente, configura la piena consapevolezza dell’origine illecita del denaro, elemento psicologico richiesto per il reato di ricettazione.
Conclusioni: cosa insegna questa pronuncia
L’ordinanza è un monito importante sulla responsabilità personale nella gestione degli strumenti di pagamento. Mettere a disposizione la propria carta prepagata per ricevere somme da terzi, senza accertarne la lecita provenienza, espone al rischio concreto di una condanna per ricettazione. La giustizia non ammette l’ingenuità o la ‘colpa’ come scusante: per la ricettazione è richiesto il dolo, ovvero la coscienza e volontà di ricevere beni di provenienza delittuosa. In casi come questo, la giurisprudenza ritiene che una serie di indizi precisi e concordanti (come l’immediata attivazione della carta) siano sufficienti a dimostrare tale consapevolezza. Inoltre, la pronuncia sottolinea un principio processuale cruciale: un ricorso in Cassazione, per avere speranza di essere accolto, deve contenere critiche specifiche e argomentate, capaci di minare la logicità della sentenza impugnata, e non limitarsi a riproporre genericamente la propria tesi difensiva.
Ricevere una ricarica da phishing sulla propria carta prepagata è reato?
Sì, secondo quanto stabilito dalla Corte, ricevere fondi di provenienza illecita (come quelli da phishing) sulla propria carta prepagata può integrare il reato di ricettazione, specialmente se le circostanze dimostrano la consapevolezza dell’origine del denaro.
Quali prove sono state considerate decisive per la condanna per ricettazione carta prepagata?
Le prove decisive sono state: l’attivazione della carta da parte dell’imputato lo stesso giorno del prelievo fraudolento, l’utilizzo del proprio documento d’identità per l’attivazione e la conseguente ed esclusiva disponibilità del codice PIN della carta.
Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile per la genericità delle censure proposte, le quali non si sono confrontate specificamente con il percorso argomentativo dei giudici dei gradi precedenti, che avevano basato la condanna su un solido quadro probatorio.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 15439 Anno 2019
Penale Ord. Sez. 7 Num. 15439 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 15/03/2019
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
COGNOME n. a Vimercate il giorno 1/7/1984 avverso la sentenza resa dalla Corte d’Appello di Milano in data 11/4/2018 -dato atto del rituale avviso alle parti; -sentita la relazione del Consigliere NOME COGNOME
FATTO E DIRITTO
1.Con l’impugnata sentenza la Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della decisione locale Tribunale, che aveva riconosciuto il Cagia colpevole del delitto di ricettazione in re ad una ricarica on line della propria carta prepagata poste-pay disposta fraudolentemen mediante phishing, riconosceva l’attenuante di cui all’art. 648,comma 2,cod.pen. rideterminava la pena in mesi dieci di reclusione ed euro 300,00 di multa.
2. Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato, deducendo la violazione legge e la mancanza di motivazione in ordine alla responsabilità del prevenuto per l’addeb ascrittog li.
3. Il ricorso è inammissibile per genericità delle doglianze proposte che non si confrontano il percorso argomentativo dei giudici territoriali, i quali, lungi dal fraintendere difensivo che tendeva ad esiti assolutori, l’hanno disatteso con un esaustivo suppo giustificativo, ripercorrendo le risultanze probatorie che supportano l’affermazio
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responsabilità, quali l’attivazione della carta ricaricata da parte del prevenuto del prelievo fraudolento, dietro presentazione del proprio documento di identità, ma smarrito, e la conseguente attendibile esclusiva disponibilità da parte del m relativo PIN. L’indeterminatezza delle censure formulate le rende, dunque, rad inidonee all’instaurazione del contraddittorio di legittimità .
4.Alla declaratoria d’inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al paga spese processuali e della sanzione pecuniaria precisata in dispositivo, non ravvisan d’esonero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 15 marzo 2019
Il Consigliere estensore
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NOME COGNOME
Il Presidente