Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21965 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21965 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME, nato a Mistretta il DATA_NASCITA, contro la sentenza della Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE dell’8.1.2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE ha confermato la sentenza con cui, in data 5.12.2022, il Tribunale di Patti aveva riconosciuto NOME COGNOME responsabile dei fatti di ricettazione e, ricondotta la vicenda nella ipotesi “lieve” di cui al comm quarto dell’art. 648 cod. pen., esclusa la pur contestata recidiva, lo aveva condannato alla pena finale di anni 1 di reclusione ed euro 100 di multa, oltre al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali;
ricorre per cassazione il COGNOME tramite il difensore che deduce:
2.2 mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131bis cod. pen.: ricorda che la causa di non punibilità suppone che il reato sia perfezionato in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi ma che si ritiene non punibile in applicazione dei principi di proporzione e sussidiarietà della sanzione penale per effetto della particolare tenuità del fatto e della non abitualità del comportamento;
2.1 manifesta illogicità della motivazione ed erronea applicazione dell’art. 533 cod. proc. pen.: rileva che la Corte d’appello, limitandosi a replicare il percorso seguito dal giudice di primo grado, ha omesso di tener conto di elementi fattuali e di emergenze processuali di cui ha comunque travisato il contenuto; osserva che gli operanti avevano rinvenuto un metal detector unitamente ad alcune monete di interesse archeologico o di interesse storico-culturale, abbandonate insieme ad altre centinaia di monete nella inconsapevolezza del loro pregio e RAGIONE_SOCIALE caratteristiche di cui al D. Lg.vo 42 del 2004, di cui comunque non vi è prova oggettiva; ripercorre quindi il quadro normativo di riferimento con l’esistenza di una presunzione di proprietà statale RAGIONE_SOCIALE cose di interesse archeologico e, con particolare riferimento a quelle di interesse numismatico, l’art. 10 del D. Lg.vo 42 del 2004, e la necessità di un decreto della RAGIONE_SOCIALE Archeologica per attestarne la rilevanza dal punto di vista archeologico; evidenzia, ancora, la insussistenza della prova dell’elemento soggettivo in capo all’imputato, anche nella forma del dolo eventuale, nonché della prova del rinvenimento RAGIONE_SOCIALE monete dopo il 1909 e la assenza del decreto di dichiarazione di rarità e pregio; richiama, inoltre, la giurisprudenza di questa Corte in punto di individuazione del dies a quo del termine di prescrizione del delitto di ricettazione; Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
2.3 inosservanza o erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla esclusione della attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen.: rileva l’erroneità della decisione laddove i giudici di meri hanno ritenuto il fatto non riconducibile nella ipotesi contemplata dall’art. 712 cod. pen., al mancato riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche in funzione
di personalizzazione del trattamento sanzionatorio, applicabile indipendentemente dalla tipologia di reato;
la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, del DL 137 del 2020 concludendo per l’inammissibilità del ricorso: rileva che il primo motivo è generico e manifestamente infondato atteso che la Corte territoriale ha vagliato sia la questione del delitto presupposto che quella dell’elemento soggettivo, riconducendo il primo nella ipotesi del furto e della alienazione di beni culturali; rileva la tardività dell’eccezione di prescrizione manifestamente infondata la censura relativa alla omessa applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., esclusa sulla scorta di un motivazione congrua e non manifestamente illogica quale quella che, allo stesso modo, ha consentito di giustificare anche la esclusione della attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen..
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede.
NOME COGNOME era stato tratto a giudizio e riconosciuto responsabile, nei due gradi di merito, del delitto di ricettazione essendo stato1:rovato in possesso “… di tre monete di interesse archeologico (…) e di una moneta di interesse storicoculturale (…). di provenienza illecita in quanto appartenenti, a titolo originario, patrimonio indisponibile dello Stato”.
Il Tribunale di Patti aveva valorizzato la natura dei beni i cui passaggi di proprietà avrebbero dovuto essere tracciati ed autorizzati dalla Soprintendenza ai fini dell’esercizio del diritto di prelazione da parte dello Stato dovendo perciò, in mancanza, ritenersi provento dal delitto di furto ovvero del delitto di alienazione di beni culturali, oggi contemplato all’art. 518-novies cod. pen..
Con l’atto di appello, la difesa aveva sostenuto, in primo luogo, che la “qualità” del bene avrebbe dovuto essere oggetto di certificazione con provvedimento della competente autorità, ai sensi dell’art. 10, comma terzo, lett. e), del D. Lg.vo 42 del 2004 e, comunque, evidenziato l’assenza dell’elemento soggettivo in capo all’imputato sollecitando, in ogni caso, la derubricazione del fatto nella ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 712 cod. pen.,; in secondo luogo, aveva invocato la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.; da ultimo,
ed in via subordinata, sollecitato il riconoscimento della attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen..
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE ha confermato la sentenza di primo grado con motivazione immune da vizi suscettibili di esser dedotti in questa sede, sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione.
3.1 Pacifico, in punto di fatto, che il ricorrente avesse la disponibilità d monete di interesse archeologico (due risalenti all’età romano-repubblicana ed una terza all’età medievale) e di una moneta di interesse storico-culturale (in quanto risalente al XVIII secolo), il cui valore ed il cui rilievo erano stati riconosciuti RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE cui spettava il diritto di prelazione.
Tanto premesso in fatto, osserva il collegio che la legge n. 22 del 2022 ha introdotto nel codice sostanziale gli artt. 518-bis e ssgg. od. pen. quale strumento attuativo della Convenzione del RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE sulle infrazioni relative ai beni culturali sottoscritta a Nicosia il 19 maggio 2017 (che ha sostituito la precedente Convenzione di RAGIONE_SOCIALE mai entrata in vigore) avendo il nostro paese, già in seno al RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE, assunto l’impegno ad emanare (e far rispettare, con pene “effettive, proporzionate e dissuasive”) norme che attribuissero una gravità specifica ai reati commessi in danno dei beni culturali ed adottare una normativa “volta a prevenire e combattere il traffico illecito e la distruzione di beni cultural nel quadro dell’azione dell’organizzazione per la lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata.
Ed è proprio la Convenzione, all’art. 2, ad offrire una propria definizione di “beni culturali”, mutuata dalla Convenzione UNESCO del 1970, di cui occorre tener conto nella applicazione nuove fattispecie incriminatrici e che comprende, tra l’altro, i “prodotti di scavi archeologici (sia quelli che regolari che clandesti o di scoperte archeologiche”, gli “elementi di monumenti artistici o storici o siti archeologici che sono stati smembrati”, !e “antichità che hanno più di cento anni, come le iscrizioni, le monete e le incisioni”.
Il legislatore interno, nel dare attuazione agli impegni internazionali introducendo le nuove fattispecie incriminatrici, non ha peraltro colto l’occasione per formulare una definizione specifica di “beni culturali” preferendo rimettere all’interprete il compito di “perimetrare” il bene culturale penalisticamente rilevante, quale elemento costitutivo RAGIONE_SOCIALE incriminazioni ricomprese nel Titolo VIII-bis, tutte punite a titolo doloso.
Di qui, allora, la persistente necessità di far riferimento alla nozione di bene culturale fissata “a fini amministrativi” dall’art. 2 cod. beni cult., da sempr utilizzata anche in ambito penale.
Del pari è rimasta irrisolta la questione della natura “formale” o “sostanziale” della nozione di bene culturale perché non è intervenuta una scelta di sistema tra la tutela penale del (solo) patrimonio culturale dichiarato, circoscritta cioè ai beni il cui valore culturale sia stato oggetto previa dichiarazione, e la tutela penale (anche) del patrimonio culturale “reale”, che si estende ai beni dotati di “intrinseco” valore culturale anche a prescindere dall’intervento di un accertamento e di una dichiarazione ad opera RAGIONE_SOCIALE autorità competenti.
Al riguardo, pertanto, è opportuno ricordare come la giurisprudenza di legittimità, specie con riferimento al reato di impossessamento illecito di beni culturali (già art. 176 cod. beni cult., ora art. 518-bis, comma primo, seconda parte, cod. pen.), abbia da sempre adottato un approccio sostanziale affermando che non è richiesto, quando si tratti di beni appartenenti allo Stato, l’accertamento dell’interesse culturale, né che i medesimi presentino un particolare pregio o siano qualificati come culturali da un provvedimento amministrativo, reputando sufficiente che la “culturalità” sia desumibile dalle caratteristiche oggettive dei beni (cfr., ex plurimis, Sez. 3, n. 24988 del 16/7/2020, COGNOME, Rv, 279756-01; conf. Sez. 3, n. 24344 del 15/5/2014, COGNOME, Rv. 259305-01; SeZ . 2, n. 36111 del 18/7/2014, COGNOME, Rv. 260366-01; Sez. 3, n. 41070 del 7/7/2011, COGNOME e altro, Rv. 251295-01), quali la tipologia, la localizzazione, la rarità o altri analogh criteri, e la cui prova può desumersi o dalla testimonianza di organi della P.A. o da una perizia disposta dall’autorità giudiziaria (cfr., ancora, Sez. 3, n. 35226 del 28/6/2007, COGNOME, Rv. 237403-01).
Analogamente si è sostenuto con riguardo alla fattispecie di illecita esportazione di cose di interesse artistico (art. 174 cod. beni cult., ora rifluit nell’art. 518-undecies cod. pen.), che è stata applicata non solo al patrimonio culturale “dichiarato”, ma anche a quello “reale”, reputando sufficiente che il bene stesso presenti un oggettivo interesse culturale (cfr., Sez. 3, n. 10468 del 17/10/2017, Lo Giudice, Rv. 272623-01).
Trova conferma, dunque, l’indirizzo “sostanzialistico” secondo il quale il riferimento contenuto nell’art. 2 cod. beni cult. alle “altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà” rappresenta una formula di chiusura che consente di ravvisare il bene giuridico protetto dalle disposizioni sui beni culturali ed ambientali non soltanto nel patrimonio storicoartistico-ambientale dichiarato, ma anche in quello reale, ovvero in quei beni protetti in virtù del loro intrinseco valore, indipendentemente dal previo riconoscimento da parte della autorità competenti (cfr., Sez. 3, n. 21400 del 15/2/2005, COGNOME, Rv. 231638-01, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale con riferimento agli artt. 25,
comma secondo, e 27, comma primo, Cost.; conf. Sez. 3, n. 45841 del 18/10/2012, COGNOME, Rv. 253998-01).
In quest’ottica, pertanto, si è chiarito che le cose di interesse numismatico devono essere considerate beni culturali, non solo quando abbiano carattere di rarità o di pregio, ai sensi dell’art. 10, comma quarto, lett. b), del D.Lgs. n. 42 de 2004, ma anche quando, a prescindere dall’accertamento della presenza di tali caratteri, siano state rinvenute nel sottosuolo o sui fondali marini, costituendo, in tal caso, ed in forza del disposto di cui all’art. 91, comma primo, del medesimo D.Lgs., per definizione, “cose d’interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico o artistico”, che appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato (cfr., Sez. 3, n. 37861 del 04/04/2017, Rolfo, Rv. 270642 – 01).
3.2 Ed è allora proprio alla luce di tali premesse che si deve ritenere chela natura dei beni di cui si discute è stata correttamente valorizzata ai fini della affermazione dell’esistenza dell’elemento soggettivo che, come pure correttamente rilevato dai giudici di merito, è certamente configurabile anche nella forma del dolo indiretto o eventuale quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che invece connota l’ipotesi contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta provenienza (cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 41002 del 20.9.2013, COGNOME; Sez. 2, n. 45256 del 22.11.2007, COGNOME; Sez. 2, n. 25439 del 21.4.2017, COGNOME).
La sentenza impugnata è inoltre assolutamente coerente con i principi costantemente affermati da questa Corte, secondo cui la contravvenzione di cui all’art. 712 cod. pen. è di natura colposa e deve ritenersi sussistente ogni qualvolta l’acquisto avvenga in presenza di condizioni che obiettivamente avrebbero dovuto indurre al sospetto, indipendentemente dal fatto che questo vi sia stato o meno (cfr., Sez., 2, n. 43929 del 7.10.2015, COGNOME; Sez. 2, n. 51056 dell’11.11.2016, COGNOME); in definitiva, mentre l’atteggiamento soggettivo del delitto di ricettazione, nella forma del dolo eventuale, è di colui che, avendo concretamente avuto il sospetto della provenienza delittuosa del bene, non si sia però astenuto dall’acquistarlo, quello “colposo” è proprio di colui che, per superficialità, inavvedutezza, trascuratezza, non abbia colto quelle circostanze che avrebbe obiettivamente dovuto metterlo in allarme.
Ed è appena il caso di ribadire che la diagnosi sul punto spetta al giudice di merito implicando un accertamento ed una valutazione di tutte le circostanze del caso concreto sicché la relativa motivazione, ove – come nel caso di specie congruamente ancorata a puntuali e concreti elementi, non è c:ensurabile in sede di legittimità.
3.3 Quanto al diniego della applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., la Corte d’appello ha fatto ancora una volta congruamente leva sulla natura RAGIONE_SOCIALE monete il cui valore non poteva essere ritenuto del tutto irrilevante e, comunque, sulla “qualità” dei beni di cui si discute ed al loro intrinseco pregio.
Si è chiarito che la causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131bis cod. pen. non può essere esclusa in relazione a particolari tipologie di reato e/o alla natura degli interessi protetti che mirano a salvaguardare (cfr., Sez. 3, n. 15782 del 23.2.2018, Farese).
Come è noto, inoltre, le SS.UU., con la sentenza “Tushaj”, hanno spiegato che il fatto “particolarmente tenue” va così qualificato alla stregua di caratteri riconducibili a tre indici: le modalità d Ila condotta, l’esiguità del danno o de pericolo, il grado della colpevolezza.
Quanto al primo aspetto, si richiede una valutazione complessa che ha ad oggetto le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen. alla luce di una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto; in definitiva, si è sottolineato che il disvalore penale del fatto, per assegnare allo stesso l’attributo della particolare tenuità, dipende dalla concreta manifestazione del reato, che ne segna perciò il disvalore.
Nel pervenire a tale conclusione, le Sezioni Unite “Tushaj” hanno ritenuto decisivo il riferimento testuale, contenuto nell’articolo 131bis del codice penale, alle modalità della condotta, segno che la nuova normativa non si interessa tanto della condotta tipica, bensì ha riguardo piuttosto alle modalità del comportamento, anche in considerazione RAGIONE_SOCIALE sue componenti soggettive, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e la conseguente necessità dell’ordinamento di reagire mediante la irrogazione di una pena.
In altri termini, ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità, occorr avere riguardo, secondo l’insegnamento RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite Tushaj, al fatto storico, alla situazione reale ed irripetibile costituita da tutti gli elementi di f concretamente realizzati dall’agente non essendo in dubbio la conformità del fatto concreto alla fattispecie astratta (atteso che la causa di non punibilità presuppone l’esistenza di un fatto conforme alla norma incriminatrice ma il cui grado di offesa sia particolarmente tenue tanto da non richiedere necessità di pena), bensì l’entità
del suo complessivo disvalore, e ciò spiega per l’appunto il riferimento alla connotazione storica della condotta nella sua componente oggettiva e soggettiva.
In definitiva, come si è correttamente osservato (cfr., Sez. 3, n. 893 del 28.6.2017, COGNOME), la particolare tenuità del “fatto” è il risultato di valutazione positiva tanto RAGIONE_SOCIALE modalità della condotta nella sua componente oggettiva (avuto riguardo alla natura, alla specie, ai mezzi, all’oggetto, al tempo, al luogo e ad ogni altra modalità dell’azione ex articolo 133, comma 1, n. 1) del codice penale) e nella sua componente soggettiva (avuto riguardo all’intensità del dolo o al grado della colpa ex articolo 133, comma 1, n. 3) del codice penale), quanto del danno o del pericolo (avuto riguardo all’entità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato ex articolo 133, comma 1, n. 2) del codice penale).
Il giudizio finale di particolare tenuità dell’offesa richiede, allora, necessariamente, un esito positivo della valutazione di tutte le componenti richieste per l’integrazione della fattispecie, sicché i criteri indicati nel pri comma dell’articolo 131bis del codice penale sono in realtà cumulativi per pervenire ad un giudizio di particolare tenuità dell’offesa ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità ed invece alternativi quanto al diniego, nel senso che l’applicazione della causa di non punibilità in questione è preclusa dalla valutazione negativa anche di uno solo di essi (cfr., d’altra parte, il tenore letterale dell’artico 131bis del codice penale, nella parte del primo comma, che qui interessa, laddove prevede che la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa è di particolare tenuità).
La Corte di Appello, come detto, si è adeguata a questi criteri e la motivazione resa sul punto non è suscettibile di essere censurata in questa sede di legittimità.
3.4 Il terzo motivo è intitolato “mancata concessione RAGIONE_SOCIALE attenuanti generiche di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen.” e, già di per sé, risulta pertanto non lineare: dovendosi, peraltro, prendere atto che le argomentazioni ivi sviluppate riguardano esclusivamente le attenuanti generiche e non quella di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen., va rilevato come la Corte d’appello abbia motivato, sul punto, segnalando l’insussistenza di elementi positivamente rilevabili a tal fine, a fronte, peraltro, di un motivo di appello del tutto generico e che, di conseguenza, non rendeva necessaria alcuna specifica risposta.
3.4 Quanto, infine, alla invocata prescrizione, non può non segnalarsi la genericità della sollecitazione difensiva per la prima volta avanzata in questa sede priva di alcun riferimento concreto essendo appena il caso di ribadire che il
ricorrente che, nel giudizio di cassazione, invochi la prescrizione del reato, assumendo, per la prima volta in detta sede, che la data di consumazione è antecedente a quella contestata, ha l’onere di riscontrare le sue affermazioni, fornendo elementi incontrovertibili, idonei da soli a confermare che il reato risulta stato consumato in data anteriore e insuscettibili di essere smentiti da altri elementi di prova acquisiti al processo, non essendo consentite in questa sede indagini di merito ed in fatto (cfr., tra le altre, Sez. 2 – , n. 41151 del 28/09/2023 Mega, Rv. 285300 – 01; Sez. 4, n. 47744 del 10/09/2015, RAGIONE_SOCIALE Rv. 265330 – 01).
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma, che si stima equa, di euro 3.000 in favore della RAGIONE_SOCIALE, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Così deciso in Roma, 1’11.4.2024