Ricettazione Assegno Smarrito: Quando Scatta il Reato?
La questione della ricettazione di un assegno smarrito è un tema delicato che interseca la buona fede con la responsabilità penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali, confermando una condanna e definendo i contorni del reato. L’analisi del caso offre spunti importanti per comprendere come la legge valuta il possesso e l’utilizzo di un titolo di credito smarrito, anche se compilato a proprio nome.
I Fatti del Caso: Dall’Assegno Smarrito alla Condanna
Il caso ha origine dalla denuncia di smarrimento di quattro assegni in bianco da parte della persona offesa. Successivamente, uno di questi assegni viene posto all’incasso da un soggetto, il quale vi aveva apposto il proprio nome come beneficiario. A seguito delle indagini, quest’ultimo viene processato e condannato sia in primo grado che in appello per il reato di ricettazione, previsto dall’art. 648 del codice penale.
I Motivi del Ricorso e la Difesa dell’Imputato
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi, cercando di smontare l’impianto accusatorio.
La Tesi della Mancata Ricettazione
Il ricorrente sosteneva che la presenza del suo nome sull’assegno come beneficiario e primo giratario dovesse escludere la configurabilità del reato. A suo dire, non si poteva parlare di ricettazione, ma al massimo di un’altra fattispecie meno grave. In sostanza, contestava che l’origine delittuosa dell’assegno (il furto o l’appropriazione indebita dello stesso) fosse stata provata.
Le Questioni Procedurali
Oltre al merito, la difesa ha sollevato questioni procedurali, come il presunto travisamento delle prove e un vizio di motivazione da parte della Corte d’Appello. Ha inoltre lamentato la mancata dichiarazione di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione e il rigetto di una perizia grafologica ritenuta decisiva.
La Decisione della Cassazione sulla Ricettazione Assegno Smarrito
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando tutte le argomentazioni della difesa e confermando la condanna. Vediamo i punti chiave della decisione.
L’Origine Delittuosa dell’Assegno Smarrito
La Corte ha ribadito un principio consolidato: chi si impossessa di un assegno smarrito commette furto (o appropriazione indebita a seconda dei contesti). Di conseguenza, l’assegno acquisisce la natura di ‘cosa proveniente da delitto’, che è il presupposto fondamentale per il reato di ricettazione. Chi riceve tale assegno, essendo consapevole della sua provenienza illecita, commette ricettazione.
L’Irrilevanza del Nome del Beneficiario
I giudici hanno definito ‘priva di fondamento logico-probatorio’ la tesi difensiva secondo cui l’aver apposto il proprio nome sull’assegno escluderebbe il reato. Essendo gli assegni stati smarriti in bianco, era del tutto plausibile che il ricorrente li avesse compilati con le proprie generalità proprio per tentare di incassarli. Questo atto, anziché escludere il dolo, ne rappresenta una possibile modalità di consumazione.
Il Calcolo della Prescrizione in Caso di Recidiva
Anche il motivo sulla prescrizione è stato giudicato infondato. La Corte d’Appello aveva correttamente calcolato il termine massimo, tenendo conto sia dell’aumento previsto per la recidiva aggravata (ex art. 99, comma quarto, c.p.) sia dell’ulteriore aumento di due terzi previsto dall’art. 161 c.p., posticipando la data di estinzione del reato al 2029.
Le Motivazioni della Corte
La Corte Suprema ha sottolineato come i motivi del ricorso fossero in gran parte generici, ripetitivi di doglianze già respinte in appello o mirassero a una rivalutazione dei fatti, attività preclusa nel giudizio di legittimità. La Corte d’Appello, secondo gli Ermellini, aveva fornito una motivazione ‘esaustiva e conforme alle risultanze processuali’, fondata su una pluralità di elementi che dimostravano la responsabilità penale dell’imputato. La richiesta di una perizia grafologica, inoltre, è stata ritenuta inammissibile perché presentata per la prima volta in Cassazione, violando il principio devolutivo dell’appello.
Le Conclusioni
Questa ordinanza consolida l’orientamento giurisprudenziale in materia di ricettazione di un assegno smarrito. La decisione chiarisce che la provenienza delittuosa di un assegno smarrito è in re ipsa, e chi lo riceve e lo utilizza è tenuto a dimostrare la propria buona fede, un onere probatorio particolarmente difficile da assolvere. La compilazione dell’assegno con il proprio nome non è un elemento scriminante, ma può, al contrario, essere visto come parte dell’azione criminale. Infine, viene confermata la rigorosa applicazione delle norme sulla prescrizione in presenza di recidiva qualificata.
Ricevere un assegno smarrito in bianco e compilarlo con il proprio nome è reato?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, chi si impossessa di un assegno smarrito commette un delitto (come il furto). Di conseguenza, chi riceve tale assegno, consapevole della sua provenienza illecita, e lo compila con il proprio nome per incassarlo, commette il reato di ricettazione.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi erano manifestamente infondati, generici, ripetitivi di questioni già decise in appello o miravano a una nuova valutazione dei fatti, cosa non permessa in sede di legittimità. Inoltre, una delle richieste (la perizia grafologica) non era stata presentata nei precedenti gradi di giudizio.
La recidiva influisce sul termine di prescrizione del reato?
Sì, in modo significativo. In presenza di recidiva aggravata, come nel caso di specie (art. 99, comma quarto, c.p.), il termine di prescrizione viene aumentato. La Corte ha confermato che il calcolo deve tenere conto sia dell’aumento previsto dall’art. 157 c.p. sia di quello ulteriore previsto dall’art. 161 c.p., posticipando notevolmente l’estinzione del reato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7897 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7897 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 14/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a BIANCAVILLA il 11/05/1974
avverso la sentenza del 14/03/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME COGNOME
rilevato che il primo motivo di impugnazione, con cui il ricorrente lamenta violazione degli artt. 647 e 648 cod. pen. conseguente alla mancata assoluzione in relazione al reato di ricettazione, è manifestamente infondato. I giudici di appello hanno correttamente applicato il principio di diritto secondo cui commette il reato di furto colui che si impossessa di un assegno smarrito in quanto il titolo di credito conserva chiari ed intatti i segni esteriori del legittimo possesso altrui con conseguente configurabilità del reato di cui all’art. 648 cod. pen. in caso di ricezione di un assegno denunciato smarrito (vedi Sez. 2, n. 4132 del 18/10/2019, Rv. 278225-01).
rilevato che la circostanza dedotta nel ricorso, secondo cui la presenza sull’assegno del nome del ricorrente quale beneficiario e primo giratario escluda la configurabilità del reato di ricettazione, è priva di fondamento logico-probatorio in considerazione del fatto che la persona offesa ha denunciato lo smarrimento di quattro assegni in bianco e che, di conseguenza, il COGNOME era nelle condizioni di riempire il titolo ricettato con le proprie generalità. Il ricorrente, invocando una rilettura di elementi probatori estranea al sindacato di legittimità, chiede a questa Corte di entrare nella valutazione dei fatti e di privilegiare, tra le diverse ricostruzioni, quella a lui più gradita, senza confrontarsi con quanto motivato dalla Corte territoriale al fine di confutare le censure difensive prospettate in sede di appello e con le emergenze probatorie determinanti per la formazione del convincimento dei giudici di merito;
rilevato che il secondo ed il terzo motivo di impugnazione, con cui il ricorrente lamenta travisamento della prova e vizio di motivazione in ordine alla penale responsabilità ed alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di ricettazione, sono aspecifici in quanto reiterativi di medesime doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti e all’interpretazione del materiale probatorio già espresse in sede di appello ed affrontate in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale;
rilevato che i giudici di appello, con motivazione esaustiva e conforme alle risultanze processuali, che riprende le argomentazioni del giudice di primo grado come è fisiologico in presenza di una doppia conforme, hanno indicato la pluralità di elementi idonei a dimostrare la penale responsabilità del ricorrente in ordine al reato di ricettazione (vedi pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata), tale ricostruzione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede;
rilevato che il quarto motivo di impugnazione con cui il ricorrente lamenta la mancata dichiarazione di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione è manifestamente infondato. La Corte territoriale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha correttamente ritenuto che le condotte rubricate non si fos ancora prescritte al momento della pronunzia della sentenza di appello ed indicato il termine massimo di prescrizione alla data del 3 novembre 2029 (vedi pag. 3 della sentenza impugnata). I giudici di appello hanno correttamente dato seguito al principio di diritto secondo cui, in caso di recidiva ex art. 99, comma quar cod. pen., il calcolo del termine di prescrizione va eseguito tenendo conto dell’aumento previsto dall’art. 157, comma secondo, cod. pen. sia dell’aumento d due terzi previsto dall’art. 161, comma secondo, ult. parte, cod. pen. (vedi tr altre: Sez. 5, n. 32679 del 13/06/2018, COGNOME, Rv. 273490-01; Sez. 4, n. 44610 del 21/09/2023, COGNOME, Rv. 285267 – 01);
rilevato che il quarto motivo di impugnazione con cui il ricorrente lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva (perizia grafologica) non è consentito, ai sensi dell’art. 606, comma terzo, cod. proc. pen., in quanto ha ad oggetto u doglianza non dedotta in sede di appello e non rilevabile d’ufficio in ogni sta grado del giudizio. Deve esser ribadito che non sono proponibili in cassazion motivi con i quali vengono sollevate per la prima volta questioni che, per no essere state dedotte nei motivi di appello, non potevano essere rilevate dai giud di secondo grado, per non essere riconducibili nei limiti degli effetti devolu prodotti dall’impugnazione (vedi Sez. 1, n. 2378 del 14/11/1983, NOME COGNOME Rv. 163151; Sez. 4, n. 17891 del 30/03/2022, COGNOME, non massimata);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 14 gennaio 2025