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Ricettazione assegno: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 43283/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per ricettazione assegno. La Corte ha ribadito un principio consolidato: la mancata o non attendibile giustificazione sulla provenienza di un bene di origine illecita costituisce prova della conoscenza di tale origine, integrando così l’elemento soggettivo del reato. Il ricorso è stato giudicato generico perché mirava a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricettazione Assegno: La Cassazione e la Prova del Dolo

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 43283/2024) torna a fare luce su un tema cruciale nel diritto penale: la prova del dolo nel reato di ricettazione assegno. La pronuncia chiarisce i limiti del ricorso in sede di legittimità e ribadisce come l’assenza di una giustificazione plausibile sul possesso di un bene di provenienza illecita possa essere determinante per la condanna. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Processo

Il caso ha origine dalla condanna di una donna da parte della Corte d’Appello di Milano per il reato di ricettazione. L’imputata era stata ritenuta responsabile di aver ricevuto e successivamente incassato un assegno che risultava essere di provenienza furtiva. Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando vizi nella motivazione della sentenza di secondo grado.

I Motivi del Ricorso e la Tesi Difensiva

La difesa ha basato il proprio ricorso su un unico, articolato motivo: la presunta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza d’appello. Nello specifico, si contestava la violazione delle regole sulla valutazione della prova (art. 192 c.p.p.) e del principio di colpevolezza “al di là di ogni ragionevole dubbio” (art. 533 c.p.p.). In sostanza, secondo la ricorrente, i giudici di merito avevano errato nel ritenerla responsabile, interpretando in modo sbagliato gli elementi probatori a disposizione.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Ricettazione Assegno

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno spiegato che le censure sollevate dalla difesa, sebbene formalmente inquadrate nei vizi di motivazione previsti dalla legge, miravano in realtà a ottenere una nuova e diversa valutazione del materiale probatorio. Tale operazione è preclusa in sede di legittimità: la Cassazione non è un “terzo grado” di giudizio dove si possono riesaminare i fatti, ma ha il solo compito di verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione delle sentenze precedenti.

Il ricorso è stato quindi ritenuto generico, in quanto non individuava un vizio logico-giuridico reale, ma si limitava a proporre una lettura alternativa delle prove, più favorevole all’imputata. La Corte ha ribadito che non può “sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta nei precedenti gradi”.

Le Motivazioni: Il Dolo nella Ricettazione e l’Onere della Spiegazione

Entrando nel merito della questione giuridica, la Corte ha confermato la correttezza del ragionamento seguito dalla Corte d’Appello. La motivazione della condanna era stata chiara e completa, fondandosi su due pilastri:

1. L’acquisizione dell’assegno: Era provato che l’imputata avesse ricevuto e incassato un assegno di provenienza furtiva.
2. L’assenza di giustificazioni: L’imputata non aveva fornito alcuna spiegazione attendibile circa la provenienza di quell’assegno.

Su questo secondo punto, la Cassazione ha richiamato il proprio consolidato orientamento giurisprudenziale. La prova dell’elemento soggettivo della ricettazione (cioè la consapevolezza della provenienza illecita del bene) può essere desunta anche da un comportamento omissivo dell’imputato. L’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa posseduta è un elemento che, secondo la Corte, costituisce prova della conoscenza dell’illiceità. Questo principio, chiariscono i giudici, non rappresenta una deroga all’onere della prova che grava sull’accusa, né lede i diritti di difesa.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

L’ordinanza in esame offre importanti spunti pratici. In primo luogo, conferma che chi viene trovato in possesso di beni di dubbia provenienza ha un “onere di spiegazione”. Pur non essendo obbligato a confessare o ad auto-incriminarsi, il suo silenzio o una giustificazione palesemente inverosimile possono essere legittimamente interpretati dal giudice come un forte indizio della sua malafede. In secondo luogo, la decisione delimita ancora una volta il perimetro del ricorso per Cassazione: non è sufficiente lamentare un’ingiustizia o un errore di valutazione, ma è necessario dimostrare un vizio logico o giuridico specifico nella motivazione della sentenza impugnata, senza pretendere un riesame del merito della vicenda.

Può essere condannato per ricettazione chi non fornisce una spiegazione sulla provenienza di un assegno rubato?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la prova della consapevolezza della provenienza illecita di un bene (elemento soggettivo del reato) può essere raggiunta anche attraverso l’omessa o non attendibile indicazione, da parte di chi lo possiede, della sua origine. Questo comportamento viene considerato una prova della conoscenza dell’illiceità.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove di un processo?
No. La Corte di Cassazione svolge un giudizio di legittimità, non di merito. Il suo compito non è quello di rivalutare le prove o di sostituire la propria interpretazione dei fatti a quella dei giudici dei gradi precedenti, ma solo di verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata.

Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile, tra le altre ragioni, quando è generico, cioè quando non denuncia un vizio specifico della sentenza ma si limita a criticare la decisione proponendo una lettura alternativa delle prove. In pratica, è inammissibile un ricorso che chiede alla Corte di Cassazione di fare ciò che non le compete, ovvero un nuovo esame dei fatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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