Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 893 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 893 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/11/2023
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME COGNOME nato a Napoli il 23/01/1967, avverso la sentenza del 07/03/2023 della Corte di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria di replica dell’Avv. NOME COGNOME nell’interesse del ricorrente;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano, emessa il 4 ottobre 2021, che aveva condannato il ricorrente alla pena di giustizia in relazione al reato di ricettazione di un asseg bancario di provenienza furtiva.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME deducendo:
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Milano.
Tutta la vicenda per cui è processo si era svolta a Roma, luogo in cui era stato acceso il conto corrente, in cui l’assegno era stato rubato e poi trasferito al test COGNOME; di tal che, doveva ritenersi verosimile e ragionevole che la condotta di ricezione dell’assegno da parte dell’imputato fosse anch’essa avvenuta in Roma, con conseguente applicazione del criterio ordinario di cui all’art. 8 cod. proc. pen. che rendeva superfluo ricorrere ai criteri suppletivi di cui al successivo art. 9 dell stesso codice;
violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta responsabilità, non avendo la Corte correttamente valutato le circostanze del caso al fine di escludere la consapevolezza del ricorrente della illecita provenienza del titolo, in particolare il fatto che la denuncia di furto dell’assegno fosse intervenuta successivamente rispetto alla ricettazione dell’assegno;
violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego della circostanza attenuante del fatto di particolare tenuità, non potendosi ancorare tale giudizio al mero valore economico della cosa ricettata;
violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte escluso la concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 4 cod.pen., non essendo stato considerato il fatto che l’assegno non era andato a buon fine, con conseguente assenza di danno patrimoniale per la persona offesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Quanto al primo motivo, la Corte ha fatto corretta applicazione del pacifico principio di diritto, da lungo tempo affermato nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale, atteso il carattere di reato istantaneo che deve riconoscersi alla ricettazione, la quale si consuma all’atto della ricezione della cosa proveniente da delitto, nessun rilievo può essere attribuito, ai fini della determinazione dell competenza per territorio a procedere in ordine al detto reato, al luogo in cui viene accertata la detenzione della “res”. (Nella specie, in applicazione di tale principio e in assenza di altri elementi indicativi del luogo in cui la cosa potesse essere pervenuta in possesso dell’imputato, la Corte, risolvendo un conflitto di competenza, ha ritenuto che il giudice competente dovesse essere individuato in base al criterio sussidiario del luogo di residenza dell’imputato stesso, ai sensi dell’art. 9, comma secondo, cod. proc. pen.) (Sez. 1, n. 857 del 26/02/1994, Collu, Rv. 196982 e successive conformi, come Sez. 1, n. 24934 del 24/02/2004, COGNOME, Rv. 228778, per la quale, ai fini della determinazione della competenza territoriale
in relazione al reato di ricettazione, atteso il carattere istantaneo del delitto ” quo”, che si consuma all’atto della ricezione, da parte dell’agente, della cosa proveniente da delitto, nessun rilievo può essere attribuito al luogo in cui è accertata la detenzione della “res”; per individuare il giudice competente, pertanto, è necessario accertare in quale luogo il bene sia stato ricevuto: tale indagine, tuttavia, va condotta sulla base di elementi oggettivi, sicché nemmeno può attribuirsi, a tal fine, valore decisivo alle dichiarazioni dell’imputato, allor non siano sorrette da sicuri riscontri; ed ove il predetto accertamento non sia stato possibile, a causa della mancanza o dell’equivocità degli elementi di riscontro, devono trovare applicazione le regole suppletive di cui all’art. 9 cod. proc. pen., fermo restando che deve escludersi la possibilità di considerare “parte dell’azione” la protrazione degli effetti permanenti del reato istantaneo, e quindi di attribuire la competenza, per tale via, al giudice del luogo in cui la detenzione della “res” è stata accertata ( in senso conforme Sez. 2, n. 26106 del 21/03/2019, COGNOME, Rv. 276057).
Nel caso in esame, la Corte non ha ravvisato alcun criterio oggettivo (e non meramente verosimile o ragionevole come si vorrebbe in ricorso) che potesse dare contezza del momento nel quale l’imputato aveva ricevuto l’assegno di provenienza illecita, cosa diversa dalla prova del momento in cui, attraverso la consegna del titolo al testimone COGNOME, poteva ritenersi accertata la sua detenzione.
L’imputato, del resto, non ha chiarito nulla in proposito, al contrario sostenendosi nell’atto di appello che egli aveva avuto in consegna il titolo che, in un secondo momento, aveva consegnato al teste COGNOME
Ne consegue che è stato fatto corretto riferimento al criterio suppletivo determinativo della competenza territoriale di cui all’art. 9 cod. proc. pen., siccome teso a valorizzare il luogo di residenza dell’imputato che si trovava in Milano, l’unico dato avente certo riferimento processuale.
Anche il secondo motivo è infondato.
La Corte ha ricavato la sussistenza del dolo non soltanto dal fatto che l’imputato non aveva fornito plausibili giustificazioni inerenti al possesso del titolo, ma anche per il fatto che le sue difese si erano rivelate contraddittorie in più punti, co deducendosi la consapevolezza della provenienza delittuosa dell’assegno, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità che il ricorso non contesta (tra le tant (Sez. 2, n. 52271 del 10/11/2016, COGNOME, Rv. 268643; Sez. 1, n.13599 del 13/03/2012, Pomella).
La Corte, inoltre, con valutazioni di fatto non rivedibili, ha sottolineato che denuncia di furto era intervenuta successivamente alla scoperta della ricettazione in quanto la persona offesa solo in quel momento si era accorta che
nel carnet di assegni in suo possesso mancava il titolo poi ricettato, stando ciò a significare che il furto del medesimo era avvenuto in data antecedente alla ricettazione, che è ciò che conta ai fini della astratta configurabilità del reato.
Il terzo motivo è, del pari, infondato, in quanto deve ricordarsi, in punto di diritto, il pacifico principio secondo il quale, in tema di ricettazione, il valore bene è un elemento concorrente solo in via sussidiaria ai fini della valutazione dell’attenuante speciale della particolare tenuità del fatto, nel senso che, se esso non è particolarmente lieve, deve sempre escludersi la tenuità del fatto, risultando superflua ogni ulteriore indagine; soltanto se è accertata la lieve consistenza economica del bene ricettato, può procedersi alla verifica della sussistenza degli ulteriori elementi, desumibili dall’art. 133 cod. pen., che consentono di configurare l’attenuante “de qua”, e che va, al contrario, esclusa quando emergano elementi negativi, sia sotto il profilo strettamente obbiettivo (ad es., l’entità del profi sia sotto il profilo soggettivo (ad es., capacità a delinquere dell’agente) (Sez. 2, n. 28689 del 09/07/2010, Sessa, Rv. 248210).
A parte queste considerazioni giuridiche, la Corte, sia pure a proposito del diniego delle circostanze attenuanti generiche, ha avuto modo di precisare che il ricorrente era soggetto recidivo specifico proprio per reati di ricettazione, sicché anche la sua negativa personalità è servita indirettamente ad escludere l’attenuante della lieve entità del fatto.
Quanto all’ultimo motivo ed in forza di un assegno avente valore nominale di euro 2200,00, non ritenuto di minima entità neanche dal ricorrente, la Corte ha opportunamente richiamato ed applicato il principio di diritto secondo cui, in tema di ricettazione, l’utilizzo, quale mezzo di pagamento, di un assegno bloccato a seguito di pregressa denuncia di smarrimento non integra di per sé l’ipotesi attenuata del reato, in considerazione della non negoziabilità del titolo per effetto del “blocco”, poiché, in forza della letteralità e astrattezza causale del rapporto cartolare, è l’importo scritto sull’assegno a segnare il suo valore come strumento di pagamento (Vedi, Sez. U, n. 13330 del 1989, Rv. 182220; Sez. 2, n. 23768 del 14/04/2021, Cittadino, Rv. 281911).
Tanto assorbe ogni altra considerazione difensiva, anche in relazione al contenuto della memoria depositata.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 28.11.2023.
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Il Consigliere estensore
Il Presidente
NOME COGNOME GLYPH
NOME COGNOME