Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9617 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9617 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 19/02/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME
UP – 19/02/2025
R.G.N. 38482/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Genova il giorno 21/8/1968 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso la sentenza in data 15/4/2024 della Corte di Appello di L’Aquila visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; preso atto che non e stata richiesta dalle parti la trattazione orale del procedimento; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME COGNOME letta la requisitoria scritta con la quale il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria difensiva datata 5 febbraio 2024 a firma dell’avv. COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 15 aprile 2024 la Corte di Appello di L’Aquila, in parziale riforma della sentenza in data 9 giugno 2023 del Tribunale di Teramo ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in relazione al reato di truffa in quanto estinto per prescrizione ed ha confermato nel resto l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato in relazione al residuo reato di ricettazione di due assegni bancari provento di furto ai danni della società RAGIONE_SOCIALE procedendo alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
Il fatto Ł contestato come consumato nel maggio 2014.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell’imputato, deducendo:
2.1. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Rileva la difesa del ricorrente che la Corte di appello per rispondere alle questioni indicate nell’atto di gravame si sarebbe limitata a riassumere gli elementi emersi in corso di processo quindi senza fornire risposta alle doglianze difensive il che costiurebbe il vizio di motivazione apparente.
Sulla premessa che l’imputato non ha mai negato la provenienza furtiva degli assegni ricevuti da tale NOME COGNOME e di averli consegnati a titolo di pagamento alla persona offesa, evidenzia parte
ricorrente che già in sede di procedura ex art. 415-bis cod. proc. pen. era stata chiesta l’audizione del COGNOME del quale era stata prodotta una dichiarazione e che con l’atto di appello erano stati evidenziati una serie di elementi nei quali si segnalava:
che il COGNOME non aveva reso nota la circostanza per la quale fu redatta una dichiarazione di cessione degli assegni;
b) cha la dichiarazione del COGNOME non era sopportata da documenti fiscali comprovanti l’acquisto di merce e non avrebbe specificato la tipologia di attività svolta da entrambi i contraenti;
c) che il COGNOME non avrebbe specificato data e luogo della dazione degli assegni, se gli stessi erano già compilati, nonchØ le ragioni per le quali ne aveva la disponibilità;
argomenti ai quali la Corte di appello non avrebbe fornito alcuna risposta.
2.2. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Rileva la difesa del ricorrente che la Corte di appello ha errato nell’affermare che l’imputato non ha fornito alcuna spiegazione circa la provenienza degli assegni in quanto lo stesso ha, invece, fornito tale spiegazione affermando che gli erano stati dati dal COGNOME per l’acquisto di bancali. Ciò comporta l’omessa valutazione da parte della Corte territoriale di una prova decisiva.
2.3. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. per erronea qualificazione giuridica del fatto ed erronea applicazione degli artt. 648 e 712 cod. pen.
Rileva la difesa del ricorrente che avrebbe errato la Corte di appello nel sostenere che era onere dell’imputato accertarsi della provenienza lecita degli assegni che gli erano stati dati in pagamento dal COGNOME per l’acquisto dei bancali in quanto non gli sarebbe stato possibile effettuare tale accertamento non essendo i titoli stati portati all’incasso.
La sentenza impugnata sarebbe contraddittoria sul punto in ordine alla consapevolezza in capo al Dionigi della provenienza illecita dei titoli con la conseguenza che, al piø, a carico dell’imputato sarebbe configurabile il reato di cui all’art. 712 cod. pen.
2.4. Con memoria datata 5 febbraio 2024 il difensore dell’imputato ha sinteticamente ribadito alcune delle argomentazioni esposte nel ricordo principale riportandosi alle conclusioni ivi esposte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł manifestamente infondato in tutte le sue articolazioni.
Giova, innanzitutto, evidenziare che nel caso qui in esame e per la parte qui di interesse le sentenze di primo e secondo grado costituiscono una c.d. ‘doppia conforme’ e che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
A ciò si aggiunge che, Ł giurisprudenza consolidata di questa Corte che, nella motivazione della sentenza, il giudice di merito non Ł tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata. (in questo senso v. Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, COGNOME, Rv.
250105; Sez. 4, n. 1149 del 24.10.2005, dep. 2006, COGNOME, Rv 233187).
Del resto, questa Corte ha chiarito che in sede di legittimità non Ł censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa Ł disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. Pertanto, per la validità della decisione non Ł necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa. SicchØ, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi Ł luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione. (Sez. 2, n. 29434 del 19.5.2004, COGNOME, Rv. 229220; Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, dep. 2014, Cento, Rv. 259643).
Ciò doverosamente premesso, non può non rilevarsi che nelle sentenze di merito che, come detto, costituiscono un unico corpo motivazionale, Ł contenuta adeguata, logica e non contraddittoria spiegazione delle ragioni per le quali Ł stato ritenuto configurabile a carico del COGNOME il contestato reato di ricettazione.
E’ stato, infatti, evidenziato che se non Ł dubbio che sia stato l’imputato ad avere avuto la disponibilità dei titoli di credito di provenienza illecita – da lui compilati e consegnati in pagamento per l’acquisto di un carrello elevatore – la tesi sostenuta dall’imputato di avere ricevuto gli assegni dal COGNOME in pagamento dell’acquisto di bancali non Ł credibile sol che si pensi che lo stesso COGNOME si Ł limitato ad affermare di avere consegnato gli assegni all’imputato senza specificare luogo e data esatta della dazione, se i titoli fossero o meno già compilati, il motivo per il quale ne aveva la disponibilità posto che erano tratti su di un’altra società, nonchØ il motivo per il quale fu elaborata una dichiarazione di dazione degli assegni e perchØ la stessa Ł priva di data, il tutto unito al fatto che le dichiarazioni del COGNOME non sono supportate da alcun documento fiscale comprovante l’acquisto dei bancali.
Osserva l’odierno Collegio che si tratta di una serie di elementi che privano di ogni supporto probatorio la tesi sostenuta dallo stesso imputato e che, pertanto, giustificano l’affermazione della Corte territoriale che il COGNOME non ha fornito alcuna ‘valida’ giustificazione circa la provenienza dei titoli.
Osserva, ancora, l’odierno Collegio che dalla ricostruzione dei fatti operata dai Giudici di merito emerge di tutta evidenza la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di ricettazione il che porta ad escludere una possibilità di derubricazione della condotta nella violazione dell’art. 712 cod. pen.
Del resto, non v’Ł chi non veda come, nell’ambito di un asserito e non dimostrato rapporto commerciale, il ricevere da un soggetto titoli di credito di provenienza da un terzo, privi di girate e creare una inusuale dichiarazione (priva di data) di cessione degli assegni, si presenta come una condotta che quantomeno doveva porre l’imputato in una situazione tale da rappresentarsi la concreta possibilità della provenienza illecita dei beni.
Sul punto Ł appena il caso di ricordare che questa Corte di legittimità ha già avuto modo di chiarire che per il reato di ricettazione il dolo può configurarsi anche nella forma eventuale quando l’agente si rappresenta la concreta possibilità, accettandone il rischio, della provenienza delittuosa del bene ricevuto ( ex multis : Sez. 2, n. 25439 del 21/04/2017, Sarr, Rv. 270179 – 01).
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento nonchØ, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma ritenuta equa di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 19/02/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME