Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 10904 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 10904 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME (NOME COGNOME) CUI 05(23534 nato il DATA_NASCITA
NOME (NOME) nato il DATA_NASCITA
DRAGAN NOME nata il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/02/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Udito il AVV_NOTAIO generale, NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
Udito il difensore dell’imputato NOME, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Udito il difensore dell’imputato NOME, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Udito il difensore dell’imputata NOME, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 5 marzo 2021 il Tribunale di Roma, in rito immediato, ha condannato NOME (NUMERO_DOCUMENTO.NUMERO_DOCUMENTO.NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO) alla pena di 2 anni e 6 mesi di reclusione e 5.000 euro di multa, NOME e COGNOME NOME alla pena di 3 anni di reclusione e 3.000 euro di multa, ritenendo tutti e tre colpevoli del delitto degli articoli 2 e 7 I. 2 ottobre 1967, n. 895, perché illegalmente detenevano, con il relativo munizionamento, quattro armi comuni da sparo, di cui tre individuate anche con modello ed il numero di matricola ed una individuata soltanto come pistola semiautomatica (capo 1), ed il secondo e la terza colpevoli anche del delitto dell’art. 648 cod. pen. perché ricevevano, occultavano e si intromettevano nel far acquistare a terzi le armi di cui al capo 1) provenienti da furto consumato in data 19 novembre 2018 in danno di COGNOME NOME e NOME (capo 2).
Con sentenza del 24 febbraio 2023 la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado.
In particolare, secondo la ricostruzione dei giudici del merito, avvenuta attraverso intercettazioni telefoniche ed ambientali, osservazione diretta della polizia giudiziaria e perquisizioni, COGNOME aveva intrapreso una trattativa con un proprio conoscente e connazionale, tale NOME COGNOME, per vendere a questi una pistola; COGNOME era interessato ad acquistare una pistola per regolare i conti con un ulteriore connazionale.
È stato ritenuto provato che COGNOME abbia mostrato a NOME le foto delle pistole che aveva sul proprio telefono cellulare, e che questi abbia scelto di acquistarne una proposta in vendita ad 800 euro, precisando che prima dell’acquisto intendeva vederla.
È stato ritenuto provato che nella trattativa NOME agisse per conto della persona che aveva la effettiva disponibilità delle armi, un uomo che nei colloqui intercettati era chiamato “NOME“, e che era stato individuato in NOME COGNOME, suo compagno all’epoca dei fatti.
È stato ritenuto provato che nel luogo e nell’ora concordati da NOME e COGNOME per la vendita della pistola si siano effettivamente presentati entrambi a bordo delle rispettive autovetture, e che a distanza di poche centinaia di metri, in una ulteriore autovettura, stazionasse NOME, insieme ad un’altra persona, non imputata in questo processo, di nome NOME COGNOME.
Quando NOME era entrato nell’autovettura di NOME, la polizia giudiziaria, che era informata dell’appuntamento grazie alle intercettazioni, era intervenuta ed aveva bloccato le due persone dentro l’auto di NOME, rinvenendo 800 euro in contanti, che NOME aveva detenuto in una mazzetta unica trattenuta da due elastici; NOME, invece, non aveva condotto pistole con sé, ma nel telefono di cui
aveva disponibilità, nella sezione cestino, la polizia giudiziaria aveva trovato effettivamente le foto di quattro pistole e dei relativi proiettili.
La polizia giudiziaria non era riuscita a bloccare NOME e NOME, che, appena notate avvicinarsi le auto della polizia, avevano lasciato la macchina e si erano dati alla fuga a piedi. In quel mentre era stata ascoltata una conversazione in cui NOME, ansimante e trafelato, aveva chiamato NOME dicendogli di andare velocemente nella stanza di NOME e di prendere le cose che doveva prendere, ottenendo l’assenso da parte di NOME, che non aveva chiesto di COGNOME si trattasse.
Le successive perquisizioni nelle abitazioni non avevano consentito di rinvenire le armi.
In questo contesto i giudici del merito hanno ritenuto provato che tutti e tre gli imputati – NOME, NOME e NOME – avessero detenuto in concorso le quattro pistole rappresentate nelle fotografie sul cellulare di NOME, una delle quali avevano provato a vendere a NOME, ritenendo provato oltre ogni ragionevole dubbio che non potesse trattarsi di pistole finte o di cui non avevano mai avuto la reale disponibilità, in quanto ciò avrebbe comportato sul piano logico un progetto di truffa in danno di NOME, che non era verosimile, attesa la caratura criminale di questi e la sua intenzione di provare l’arma prima dell’acquisto.
I giudici del merito hanno anche ritenuto provato che tre delle quattro pistole provenissero dal furto in abitazione consumato pochi giorni prima in danno di COGNOME NOME NOME NOME a Salisano in provincia di Rieti, furto del quale avevano ritenuto incidenter tantum responsabile NOME, che era stato identificato dai Carabinieri della Compagnia di Poggio Mirteto a circa 2 km dall’abitazione in cui era avvenuto il furto, in una strada sterrata completamente buia, in un’autovettura con i fari spenti, all’interno della quale non era stata rinvenuta refurtiva, ma erano stati sequestrati punteruoli, cacciaviti, un martello, un paio di guanti ed una torcia. Nell’autovettura si erano trovate anche altre due persone, che però alla vista dei Carabinieri erano riuscite a scappare, mentre NOME era stato bloccato.
NOME e NOME erano stati ritenuti responsabili, pertanto, anche della ricettazione delle pistole provenienti dal furto in casa COGNOME, giudizio di responsabilità non esteso a NOME, in quanto lo stesso incider? . ter tantum era stato – come detto – ritenuto responsabile di tale furto.
Avverso il predetto provvedimento han proposto ricorso gli imputati, per il tramite dei rispettivi difensori, con i seguenti motivi di seguito descritti nei lim strettamente necessari ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Ricorso NOME
Con il primo motivo deduce violazione di legge processuale in relazione all’art. 238-bis cod. proc. pen’ in particolare evidenziando che la Corte d’appello, dopo aver acquisito la sentenza n. 566 del 2022 del Tribunale di Rieti che aveva assolto il ricorrente dal reato di furto nell’abitazione COGNOME, ha ritenuto che essa non fosse irrevocabile al momento della produzione; in realtà, su quella sentenza si era formato il giudicato sostanziale, perché con riferimento al delitto di furto in abitazione contestato a NOME non vi era stata impugnazione del pubblico ministero, essa pertanto poteva essere acquisita come prova del fatto in essa accertato.
Con il secondo motivo deduce inosservanza norma penale e vizio di motivazione, in particolare sostiene che la motivazione del giudizio di responsabilità sarebbe illogica perché il capo di imputazione fa riferimento alla detenzione illegale di quattro specifiche armi da sparo, ovvero quelle provento del furto in casa COGNOME, la motivazione sarebbe anche contraddittoria perché NOME non è stato ritenuto giudizialmente essere l’autore di quel furto, e, quindi, manca in essa il passaggio logico che spieghi come ne sarebbe venuto in possesso; non v’è, d’altronde, alcuna conversazione che faccia esplicito riferimento al fatto che le armi di cui discutevano gli imputati erano quelle sottratte in casa COGNOME, e dalle fotografie sul telefono di COGNOME non è stato possibile risalire al numero di matricola; in ogni caso NOME ha ammesso soltanto di essersi intromesso per far acquistare un’arma a COGNOME ma non ha mai ammesso di detenere tale arma, sostenendo invece che sarebbe andata a prenderla dalla persona che ne disponeva la sera stessa in cui doveva avvenire la consegna, mancherebbe quindi anche il minimo di permanenza del rapporto materiale tra l’imputato e la detenzione dell’arma.
Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla dosimetria della pena, in quanto il ricorrente aveva chiesto in grado d’appello l’applicazione del minimo della pena, ottenendone una risposta apparente che non considera che la pena inflitta al ricorrente è severa ed eccessiva ed in assenza di qualsivoglia valorizzazione dei parametri dell’art. 133 cod. pen.
2.2. Ricorso COGNOME
Con il primo motivo deduce violazione di norma penale in relazione alla condanna per il capo 1), in quanto nella condotta dell’imputata difettava quel minimo di permanenza del rapporto materiale tra detentore e oggetto detenuto, e quella minima apprezzabile autonoma disponibilità del bene, che sono richieste dalla giurisprudenza per la configurabilità del reato; le armi non sono mai state rinvenute, sono solo evocate nel corso della conversazione, e peraltro non ritraevano le armi sottratte alle persone offese dal reato; la semplice consapevolezza che altri abbia la disponibilità di un’arma non integra l’elemento
tipico della fattispecie in concorso, e la possibilità di accedere liberamente al bene da altri detenuto non può assumere rilievo finché non si concretizzi un effettivo esercizio di dominio; l’imputata non ha mai avuto la piena ed autonoma disponibilità delle armi non essendo a conoscenza di chi fosse il detentore e dove fossero collocate.
Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione sempre alla condanna per il capo 1), evidenziando che il mero possesso di fotografie che riproducono armi non può costituire elemento utile a dimostrarne la detenzione, il possesso delle fotografie non dimostra che l’imputata ne abbia avuto la disponibilità, non vi è, inoltre, prova che le armi riprodotte nelle fotografie fosser effettivamente delle armi comuni da sparo.
Con il terzo motivo deduce violazione legge penale e vizio di motivazione in relazione alla condanna per il capo 2), in quanto la Corte d’appello, pur avendo acquisito la sentenza del Tribunale di Rieti, che ha assolto NOME dal reato di furto in abitazione, ha ritenuto tale elemento irrilevante, essa, invece, permetteva di escludere ogni prova certa in ordine alla sussistenza del reato presupposto; inoltre, non è motivata la corrispondenza tra le armi ritratte nelle fotografie in possesso dell’imputata e quelle rubate, atteso che i numeri di matricola non erano visibili nelle immagini nelle fotografie; si trattava, peraltro, di fotografie scattate da alt fotografie, e quindi non è neanche detto che si trattasse effettivamente di armi comuni da sparo.
Con il quarto motivo deduce violazione legge processuale e vizio di motivazione in relazione alla dosimetria della pena, in quanto la ricorrente aveva chiesto l’applicazione del minimo della pena, la pena inflitta, invece, è severa ed eccessiva ed in assenza di qualsivoglia valorizzazione dei parametri dell’art. 133 cod. pen.
2.3. Ricorso COGNOME
Con il primo motivo deduce violazione legge penale e vizio di motivazione perché la pronuncia di appello ha ritenuto irrilevante l’assoluzione di NOME dal reato di furto in abitazione in danno di COGNOME, nel corso del quale sarebbero state rubate le armi, ma, in realtà, poichè NOME non è stato ritenuto giudizialmente essere l’autore di quel furto, manca il passaggio logico che spieghi come questi ne sarebbe venuto in possesso, e, quindi, a quel punto come possa esserne venuto in possesso NOME; non v’è, d’altronde, alcuna conversazione intercettata che faccia esplicito riferimento al fatto che le armi di cui discutevano gli imputati erano quelle sottratte in casa COGNOME, e dalle fotografie sul telefono di COGNOME non è stato possibile risalire al numero di matricola.
Con il secondo motivo deduce violazione legge penale e processuale e vizio di motivazione, perché la pronuncia d’appello ha considerato legittima la prova costituita dalla perizia trascrittiva della conversazione rubricata con il progressivo n. 529, r.i.t. 6315, il cui contenuto, però, era stato integralmente stravolto i camera di consiglio dal Tribunale rispetto alla trascrizione della conversazione emersa dal contraddittorio dei periti, stravolgimento avvenuto senza che la causa fosse rimessa sul ruolo e senza che fossero richiamati i periti; vi sarebbe, quindi, anche omessa motivazione circa la necessaria riapertura dell’istruttoria in appello ex art. 603 cod. proc. pen.
Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla condanna per il capo 1) per l’omessa indicazione in sentenza dell’effettivo apporto causale di NOME in tale reato, per il travisamento della prova avvenuto in sentenza per effetto della demolizione ad opera del Tribunale delle dichiarazioni dei testi a discarico COGNOME e COGNOME, nonché della documentazione prodotta dalla difesa dell’imputato, ed, in particolare, del decreto di espulsione di COGNOME e del decreto di sequestro dell’importo di 10.000 euro che avrebbero spiegato il vero movente della condotta di NOME, e per la contraddittorietà della motivazione in ordine alla circostanza che il possesso dell’arma da parte di NOME sia stato non occasionale; la pronuncia di condanna si basa, inoltre, su una impressione del Tribunale più che su una interpretazione dello stesso della conversazione rubricata con il progressivo n. NUMERO_DOCUMENTO, ed, in paticolare, del comportamento di NOME, che, ricevuta la richiesta concitata di NOME di prendere delle cose dalla stanza di NOME, non fa domanda alcuna, circostanza da cui la pronuncia impugnata desume con assoluta certezza che l’imputato avesse immediatamente compreso l’oggetto dell’affannata richiesta.
Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, in quanto è insufficiente la risposta della Corte di secondo grado al motivo di appello che evidenziava l’eccessività della pena in relazione alle caratteristiche soggettive dell’imputato e al ruolo effettivamente svolto dal medesimo, che è stato soltanto successivo ai fatti.
Con il quinto motivo deduce violazione norma penale, processuale e vizio di motivazione in relazione all’ordinanza endoprocessuale emessa nel corso del giudizio di primo grado all’udienza del 17 novembre 2020, con cui il Tribunale, dopo aver deciso di non ammettere la lista testi del pubblico ministero, in quanto inviata a mezzo p.e.c., ammetteva, però, l’audizione dei testi in essa indicati nelle forme di cui all’ad 507 cod. proc, pen. atteso che tale tipo di integrazione probatoria ad opera del giudice è ammessa soltanto al termine dell’istruttoria e non poteva essere decisa già all’inizio del dibattimento.
Con il sesto motivo deduce violazione legge penale, processuale e vizio di motivazione con riferimento all’ordinanza endoprocessuale emessa nel corso del giudizio di primo grado (non indicata nella data o nel numero) con cui il Tribunale rigettava la richiesta di dichiarare nulle, o inutilizzabili, o ineffica intercettazioni in quanto il perito non aveva avuto in disponibilità il supporto audio in originale.
Con il settimo motivo deduce violazione legge penale, processuale, vizio di motivazione in riferimento all’ordinanza endoprocessuale emessa nel corso del giudizio di primo grado (non indicata nella data o nel numero) con cui il Tribunale respingeva l’eccezione di espulsione dal fascicolo del dibattimento delle fotografie raccolte dal telefonino della NOME, in quanto mai oggetto di sequestro ed in quanto mai effettuata la copia forense; l’eccezione era stata respinta per tardività della istanza, ma la stessa era stata sollevata già all’inizio del dibattimento.
La difesa degli imputati ha chiesto la discussione orale.
Con requisitoria orale il AVV_NOTAIO generale, AVV_NOTAIO, ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
Il difensore dell’imputato NOME, AVV_NOTAIO, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Il difensore dell’imputato NOME, AVV_NOTAIO, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Il difensore dell’imputata COGNOME, AVV_NOTAIO, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso di NOME è fondato, con le conseguenze che saranno indicate in motivazione e nel dispositivo. Il ricorso di NOME è parzialmente fondato, nei limiti indicati in motivazione. Il ricorso di NOME è, invece, infondato.
Vanno affrontati preliminarmente i motivi, proposti dalla difesa di tutti e tre i ricorrenti, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazio della incidenza sul presente giudizio della sentenza del Tribunale di Rieti di assoluzione di NOME dalla contestazione del reato di furto in abitazione in danno di COGNOME NOME e NOME (primo motivo ricorso NOME, terzo motivo ricorso NOME, primo motivo ricorso NOME).
La pronuncia di assoluzione di NOME dal reato di furto in abitazione è stata prodotta nel corso del giudizio di appello; la sentenza impugnata ha ritenuto che essa non incidesse sulla condanna per i fatti oggetto di questo giudizio, sia perché essa, al momento in cui era stata introdotta in giudizio, non era ancora
irrevocabile, sia perché in ogni caso NOME poteva aver ottenuto le armi in altro modo (“la circostanza che NOME sia stato assolto in primo grado dal reato di furto in abitazione non incide nella valutazione che la Corte deve compiere nel presente processo, la sentenza prima citata infatti non è irrevocabile al momento della produzione, e comunque NOME potrebbe essere venuto in possesso delle armi in altro modo”).
I ricorsi attaccano questa parte del percorso logico della pronuncia sia per motivi processuali, rilevando che sull’assoluzione di NOME dal furto in abitazione si era formato il giudicato sostanziale, sia per l’illogicità manifesta della motivazione, rilevando che l’affermazione che NOME avrebbe potuto aver ottenuto le armi in altro modo era meramente assertiva.
Gli argomenti sono proposti da COGNOME e COGNOME sia con riferimento al reato di detenzione di armi comuni da sparo (capo 1), sia con riferimento al reato di ricettazione (capo 2), da COGNOME soltanto con riferimento al reato di cui agli artt. 2 7 I. n. 895 del 1967.
1.1. Con riferimento alla condanna per il reato di detenzione di armi comuni da sparo, i motivi di ricorso non sono fondati.
La sentenza di assoluzione di NOME dal reato di furto in abitazione non incide sulla condanna dei tre imputati per la detenzione delle armi comuni da sparo, che si regge anche a prescindere dalla circostanza che le armi che è stato ritenuto provato essere in disponibilità degli stessi siano proprio quelle che provenivano dal furto in abitazione avvenuto a Salisano, e da cui NOME è stato prosciolto.
E’ vero, infatti, che la contestazione mossa agli imputati nel capo 1) era quella di aver detenuto “una rivoltella Smith e Wesson matricola TARGA_VEICOLO, una pistola Colt matricola TARGA_VEICOLO, una rivoltella Smith e Wesson, matricola TARGA_VEICOLO, ed una pistola verosimilmente semiautomatica non meglio identificata, e relative munizioni” e, pertanto, di aver detenuto quattro armi comuni da sparo, tre delle quali individuate anche per numero di matricola come quelle provenienti dal furto in abitazione avvenuto in Salisano -, però, in una contestazione per il reato di detenzione di armi comuni da sparo, il numero di matricola non è un elemento essenziale della contestazione, perché ciò da cui deve difendersi l’imputato non è di aver detenuto illegalmente delle armi comuni da sparo provento di furto, ma di aver detenuto illegalmente delle armi comuni da sparo tout court.
La circostanza che le armi oggetto della detenzione illegale provenissero da un furto è, pertanto, un elemento accessorio della condotta contestata al capo 1), che, relativamente a questa tipologia di reato, non fa parte della contestazione, e la cui caduta non ha una incidenza decisiva nel percorso logico della pronuncia di condanna e non è idonea a viziarne la motivazione.
Né si può sostenere che la caduta di tale descrizione accessoria della condotta di detenzione, però, incida sotto il profilo del difetto di correlazione tra accusa (che ha contestato la detenzione di quattro pistole, di cui tre individuate, oltre che per marca e modello, anche per numero di matricola) e sentenza (che, depurata del riferimento alla provenienza delle pistole dal furto di Salisano, finisce per condannare per la detenzione di quattro pistole indicate soltanto per marca e modello).
Il difetto di correlazione tra accusa e sentenza ricorre, infatti, soltanto quando tra la contestazione, considerata nella sua interezza, e gli elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, si verifica un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale (Sez. 2, Sentenza n. 10989 del 28/02/2023, Pagano, Rv. 284427) o una “trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge” (Sez. 3, Sentenza n. 24932 del 10/02/2023, Gargano, Rv. 284846), ma non quando, come nel caso in esame, nella prima, più specifica per aver indicato anche il numero di matricola, sia contenuta la seconda, più generica.
In tal caso, infatti, la difesa dell’imputato ha modo nel corso del processo di difendersi dalla esistenza di tutti gli elementi necessari del fatto-reato accertati come esistenti in sentenza. L’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto, infatti, “non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione” (Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051).
1.2. Con riferimento alla condanna per il reato di ricettazione, i motivi di ricorso sono, invece, fondati.
Nel giudizio di responsabilità per il reato di ricettazione, infatti, la circostanz che le armi provenissero da reato è, invece, un elemento essenziale della contestazione, che, pur non dovendo essere ricostruito in sentenza in tutti gli estremi storico-fattuali, deve pur sempre essere individuato quantomeno nella tipologia (Sez. 2, Sentenza n. 6584 del 15/12/2021, dep. 2022, Cremonese, Rv. 282629).
Dal giudizio di responsabilità per il reato di ricettazione, da cui sono stati attinti COGNOME e COGNOME, non si può, pertanto, espungere la assoluzione di NOME dal reato presupposto senza che ciò incida sul percorso logico della condanna per il reato di ricettazione a valle.
Né rileva la circostanza, indicata nella motivazione della sentenza impugnata, che, nel momento in cui è stata prodotta in giudizio, la sentenza di assoluzione di NOME dal reato presupposto non fosse irrevocabile, perché la sentenza non irrevocabile, pur non costituendo prova del fatto in essa accertato, deve comunque essere valutata dal giudice insieme agii altri elementi acquisiti nel procedimento (Sez. 2, Sentenza n. 7320 del 10/12/2013, dep. 2014, Fabozzi, Rv. 259159).
Nel caso in esame, la valutazione della rilevanza dell’assoluzione di NOME dal reato-presupposto per la responsabilità di NOME e NOME per la ricettazione a valle è affidata in sentenza, in definitiva, alla affermazione che NOME potrebbe essere venuto in possesso delle armi in altro modo, che è un argomento, che oltre che sottendere la ipotizzabilità logica della ricettazione avente come reato presupposto un’altra ricettazione (nel senso positivo v. Sez. 2, Sentenza n. 15681 del 22/03/2016, PM in proc. COGNOME, Rv. 266555), è sviluppato in modo puramente assertivo, e che non resiste, pertanto, alle censure che gli sono state rivolte nei ricorsi.
D’altronde, anche a prescindere dall’argomento assertivo usato in sentenza per giustificare la condanna per ricettazione, va osservato che l’assoluzione di NOME dal reato-presupposto, divenuta irrevocabile nelle more, contrasta con l’affermazione di responsabilità di NOME e NOME per la ricettazione a valle di tale reato.
E’ vero che nel giudizio per il reato di ricettazione rileva la insussistenza, accertata con sentenza irrevocabile, del reato-presupposto, (Sez. 2, Sentenza n. 42052 del 19/06/2019, PM in proc. Moretti, Rv. 277609), ma non, come nel caso in esame, la mancanza di accertamento giudiziale circa la attribuibilità dello stesso ad un soggetto determinato, però è anche vero che il giudizio di responsabilità per il reato di ricettazione comprende anche la verifica della consapevolezza dell’imputato della provenienza del bene da reato, che avviene anche mediante la ricostruzione, sommaria ed indiziaria, dei passaggi attraverso cui il bene è pervenuto ai soggetti accusati della ricettazione ed al rapporto tra essi e colui che ha trasmesso loro la detenzione.
Nel caso in esame, il materiale probatorio a disposizione dei giudici del merito, che emerge dalle pronunce di primo e di secondo grado, non consentirebbe comunque in un eventuale giudizio rescissorio di pervenire sul punto ad un giudizio più compiuto sulla responsabilità degli imputati, attesa la completa disamina del materiale probatorio già operata nelle precedenti fasi di merito (Sez. 6, Sentenza n. 40170 del 21/09/2022, Ciurar, Rv. 283944).
Ne consegue che, relativamente al capo contenente la condanna di NOME e NOME per il reato di ricettazione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
Il ricorso NOME è infondato anche nella parte residua.
2.1. Il primo motivo di ricorso è infondato per le ragioni indicate al punto 1.1. di questa sentenza, cui pertanto si fa rinvio.
2.2. Il secondo motivo di ricorso, oltre a riprendere l’argomento della rilevanza per il reato di detenzione di armi di cui NOME è stato ritenuto responsabile della sentenza di assoluzione di NOME dal reato di furto in abitazione, su cui si è già detto al punto 1.1., deduce anche che NOME ha ammesso soltanto di essersi intromesso nel far acquistare un’arma a NOME ma non ha mai ammesso di aver mai detenuto tale arma, sostenendo invece che sarebbe andata a prenderla dalla persona che ne disponeva la sera stessa in cui doveva avvenire la consegna, mancherebbe quindi anche il minimo di permanenza del rapporto materiale tra l’imputato e la detenzione di una o più armi.
Il motivo è infondato, perché nella motivazione delle pronunce di primo e secondo grado la posizione di NOME è affrontata in modo approfondito e sono ricostruiti gli elementi di prova, fondamentalmente derivanti da intercettazioni, da cui si desume che lo stesso era stato per tutto il periodo della trattativa per la vendita dell’arma colui cui era riconducibile la disponibilità della stessa e delle altr tre armi proposte in vendita, colui che le aveva nascoste, colui che aveva indicato a NOME COGNOME dovesse riferire all’acquirente e che l’aveva rassicurata che l’arma scelta da questi era funzionante, talchè in modo non illogico la sentenza ha ritenuto, in tale contesto di evidenze probatorie, esistente l’ autonoma disponibilità dell’arma da parte di NOME e provata la responsabilità dell’imputato per il reato ascritto.
2.3. Il terzo motivo, che deduce vizio di motivazione in relazione alla dosimetria della pena, è infondato.
Il giudice di primo grado ha inflitto a NOME una pena base di anni 3 di reclusione ed euro 7.000 di multa, ed ha motivato in sentenza il discostamento dal minimo edittale con il riferimento al “numero delle armi ed il ruolo certamente apicale di NOME“. La sentenza di secondo grado ha respinto il relativo motivo di appello richiamandosi alle considerazioni del giudice di primo grado.
Il motivo di ricorso si limita a sostenere che tale risposta è deludente, ma non prende posizione sui due elementi del fatto (numero delle armi detenute e ruolo apicale nel concorso) che i giudici del merito hanno ritenuto rilevanti per discostarsi dal minimo edittale.
Si tratta di elementi che appartengono alla valutazione dell’art. 133 cod. pen., attenendo ai parametri previsti dal comma 1 n. 2 (gravità del pericolo) e 3 (intensità del dolo), ed il giudice del merito, con la enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno o più dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen. ha assolto adeguatamente all’obbligo della motivazione di una scelta che rientra nella sua discrezionalità e non postula una esposizione ulteriormente analitica dei criteri adottati per addivenirvi in concreto (Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, COGNOME, Rv. 239754).
Ne consegue che il motivo di ricorso è infondato.
3. Nella parte residua il ricorso COGNOME è infondato.
3.1. Il primo motivo deduce, con riferimento alla condanna per il reato di detenzione di armi, che nella condotta dell’imputata difettava quel minimo di permanenza del rapporto materiale tra detentore e oggetto detenuto e quella minima apprezzabile autonoma disponibilità del bene richiesta dalla giurisprudenza per la configurabilità del reato, e ricorda che le armi non sono mai state rinvenute, sono state soltanto evocate nel corso delle intercettazioni.
Il motivo è infondato, in quanto la sentenza impugnata ha ricavato la prova della disponibilità delle armi da parte dell’imputata dalla “evidenza della prova logica” (pag. 7 della sentenza impugnata), che emerge dai comportamenti tenuti dalla stessa nel corso della trattativa di vendita di una delle armi.
Il ricorso sostiene che non vi è prova, però, che l’imputata abbia mai avuto materialmente la disponibilità dell’arma, al più potrebbe esservi prova che la stessa potesse essere consapevole che altri ne avevano la detenzione.
L’argomento è infondato.
La ricorrente è stata giudicata responsabile di concorso nella detenzione. Ai fini della configurabilità del concorso in detenzione o porto illegale di armi, è necessario che ciascuno dei compartecipi abbia la disponibilità materiale di esse e si trovi, pertanto, in una situazione di fatto tale per cui possa, comunque, in qualsiasi momento, disporne (Sez. 1, Sentenza n. 6796 del 22/01/2019, Susino, Rv. 274806), ma la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che la prova della autonoma disponibilità possa derivare anche da un comportamento del concorrente nel reato che è soltanto finalizzato a protrarre la situazione antigiuridica della detenzione illegale dell’arma da parte di altri, e che dimostra, però, che l’autore di tale comportamento si trova in una situazione di fatto tale da poter, comunque, in qualsiasi momento, disporre anche autonomamente delle armi (Sez. 1, Sentenza n. 12308 del 14/02/2020, COGNOME, Rv. 278698).
Nel caso della sentenza COGNOME questo comportamento è stato individuato nella mera consapevolezza della detenzione di un’arma da parte del convivente nell’abitazione in cui vivevano entrambi i concorrenti nel reato, accompagnata dal tentativo di nascondere tale arma avvenuto durante la perquisizione di tale abitazione. Nel caso della sentenza oggetto di questo giudizio questo comportamento è stato individuato nel ruolo assunto da COGNOME nella trattativa per la offerta in vendita delle armi.
Alla luce del richiamato indirizzo giurisprudenziale circa la rilevanza a titolo di concorso del comportamento dei concorrente nel reato che è finalizzato a protrarre la situazione antigiuridica, non è illogico, pertanto, che sia stato ritenuto che la accertata consapevolezza nella NOME della detenzione delle armi da parte di NOME, unita al ruolo assunto in prima persona nella trattativa commerciale per proporle in vendita, fossero elementi sufficienti per ritenere che la stessa avesse conseguito una autonoma disponibilità di tali armi, in concorso con NOME che ne era il detentore materiale.
Il motivo è, pertanto, infondato.
3.2. Il secondo motivo deduce che il mero possesso di fotografie che riproducono delle armi non può costituire elemento utile a dimostrare che le armi riprodotte nelle fotografie fossero effettivamente in disponibilità degli imputati e che si trattasse effettivamente di armi comuni da sparo, e non di armi giocattolo o armi non funzionanti.
Il motivo è infondato.
La circostanza che gli imputati avessero realmente in disponibilità delle armi, e non soltanto la fotografia delle stesse, trova una risposta non illogica nelle pronunce dei giudici del merito che hanno rilevato che gli elementi di prova acquisiti nel corso dell’istruttoria non si fermano alla trattativa intercorsa co COGNOME per la vendita di una delle pistole, ma si compongono anche delle conversazioni intercorse tra gli imputati, che non avevano interesse a mentire l’uno con l’altro, con cui NOME risponde a COGNOME sulle caratteristiche di queste armi ed in cui COGNOME stessa riferisce di sapere dove si trovava la pistola, ma non dove si trovassero le munizioni, elementi di prova da cui in modo non illogico è stato ritenuto che gli imputati detenessero realmente delle armi.
La circostanza che gli imputati avessero in disponibilità delle armi comuni da sparo idonee al funzionamento, e non delle pistole ad aria compressa, o delle pistole giocattolo, trova, a sua volta, una risposta non illogica nella sentenza di primo grado alle pagg. 14 e 15; la motivazione del Tribunale è che non possa essersi trattato di armi finte, giocattolo, o comunque non funzionanti, perché ciò comporterebbe sul piano logico che gli imputati si stavano impegnando in un
tentativo di truffa in danno di COGNOME, che è estremamente improbabile per il contesto e la caratura criminale della vittima della truffa.
La funzionalità dell’arma, o, più esattamente, la possibilità che essa possa esser resa idonea al funzionamento, anche mediante riparazione o sostituzione di componenti (Sez. 1, Sentenza n. 18218 del 06/03/2019, COGNOME, Rv. 275465; Sez. 1, Sentenza n. 16638 del 27/03/2013, COGNOME, Rv. 255686), può, infatti, essere anche ritenuta in modo indiziario dalle modalità della detenzione dell’arma (Sez. 1, Sentenza n. 12620 del 30/01/2019, COGNOME, Rv. 275050), e nel caso in esame il giudizio sulla idoneità al funzionamento dell’arma è stato tratto dai giudici del merito da un argomento ragionevole che supera lo scrutinio di illogicità manifesta.
3.3. Il terzo motivo di ricorso è stato già affrontato ai punti 1.1. ed 1.2. d questa sentenza, cui pertanto si fa rinvio.
3.4. Il quarto motivo di ricorso è dedicato alla dosimetria della pena, in esso si deduce che la ricorrente aveva chiesto l’applicazione del minimo della pena, e che la pena inflitta, invece, è severa ed eccessiva ed in assenza di qualsivoglia valorizzazione dei parametri dell’art. 133 cod. pen.
Il motivo è assorbito dall’accoglimento del motivo di ricorso relativo alla condanna per la ricettazione.
L’annullamento della sentenza nei confronti di COGNOME nella parte relativa alla condanna per tale reato comporta con riferimento a tale imputata, infatti, il rinvio al giudice del merito per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, in quanto in sentenza la ricettazione era stata assunta come reato base della continuazione con il reato di detenzione di armi.
Venuta meno la condanna per la ricettazione, il giudice del merito dovrà rideterminare la pena per la detenzione di armi comuni da sparo, che da reato satellite diventa quello su cui individuare la pena base.
Nella parte residua il ricorso COGNOME è, invece, fondato.
4.1. Il primo motivo di ricorso è stato già affrontato ai punti 1.1. ed 1.2. di questa sentenza, cui pertanto si fa rinvio.
4.2. Il secondo motivo è fondato.
In esso si deduce che i giudici del merito hanno tratto la prova del coinvolgimento di NOME nella detenzione delle armi da una interpretazione della conversazione progressivo n. 529 r.i.t. NUMERO_DOCUMENTO che non era quella che era stata data
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dal perito trascrittore, e che era frutto dell’ascolto della conversazione in camera di consiglio.
La Corte d’appello ha respinto il relativo motivo a pagina 8 della sentenza impugnata, evidenziando che “il Tribunale ha dato atto di aver riascoltato in camera di consiglio la conversazione di cui al progressivo 529, alcuna violazione è ipotizzabile al riguardo perché la captazione è stata trascritta, perché la captazione e la trascrizione erano e sono a disposizione due parti, ma certamente anche del Tribunale, perché il Tribunale ha dato atto nella sentenza che nella conversazione captata era chiaramente udibile il nome COGNOME, parola che non richiede la presenza di interprete, perché l’osservazione del Tribunale non conculca in alcun modo il diritto di difesa che è stato ampiamente esercitato sia in primo grado che con il motivo d’appello”.
4.2.1. Sul piano della violazione processuale, la risposta della pronuncia di appello è corretta, perché nelle intercettazioni la fase della acquisizione della prova, che avviene in contraddittorio, deve essere tenuta distinta dalla fase della valutazione della prova, che il giudice effettua in camera di consiglio, e su cui non è processualmente previsto, né vi deve essere, alcun contraddittorio (Sez. 3, Sentenza n. 36350 del 23/03/2015, COGNOME, 265635: è sempre consentito al giudice l’ascolto e l’utilizzo ai fini della decisione in camera di consiglio dei support analogici o digitali recanti le conversazioni intercettate, debitamente acquisite e trascritte, pur a fronte di un precedente provvedimento di rigetto dell’istanza della difesa avente ad oggetto la richiesta di ascolto in contraddittorio e in pubblica udienza degli stessi supporti, poiché tale attività non è qualificabile in termini d acquisizione o istruzione probatoria). Il riascolto della intercettazione, così come la visione di un filmato contenuto in un c.d. depositato in giudizio, appartengono alla fase della valutazione della prova, che non è soggetta a contraddittorio, talchè sul piano della violazione processuale il motivo di ricorso non è fondato.
4.2.2. Diverso è a dirsi sotto il profilo del travisamento o della illogicità dell motivazione.
E’ vero, infatti, che “in materia di intercettazioni telefoniche, costituisc questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite” (Sez. 3, Sentenza n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337), ma nel caso in esame la considerazione della pronuncia di appello che “il Tribunale ha dato atto nella sentenza che nella conversazione captata era chiaramente udibile
il nome NOME, parola che non richiede la presenza di interprete” si presta alla censura di manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione.
La circostanza che si oda distintamente il nome “NOME” – che senz’altro non abbisogna per essere captato della presenza di un interprete – significa, infatti, soltanto che la trascrizione effettuata dal perito, che non riporta il nome “COGNOME“, della frase incriminata potrebbe non essere corretta; essa, però, è insufficiente per consentire di comprendere in modo preciso il contenuto della frase, perché da essa non si ricava che funzione abbia il nome “NOME” nell’analisi logica di tale frase.
Da quanto si legge nella sentenza di primo grado, nella conversazione incriminata, nel testo riferito dal testimone di polizia giudiziaria che aveva ascoltato la intercettazione in indagini preliminari, il nome “NOME” assumeva la funzione di complemento oggetto (“ho aspettato arrivasse NOME per parlare”), mentre nel testo ricostruito dal Tribunale, dopo la audizione della conversazione in camera di consiglio, “NOME” diventa il soggetto di una frase incidentale riportata da COGNOME a NOME (“NOME mi ha detto”).
Si tratta di differenze troppo significative, se relative ad una conversazione su cui è stata fondata in modo decisivo (in uno con la conversazione n. 477 avvenuta la notte dell’intervento di polizia, ed il cui contenuto è pure contestato dalla difesa) la responsabilità penale dell’imputato per il concorso nella detenzione.
La risposta della Corte d’appello che in tale frase sia chiaramente udibile il nome “NOME“, parola che non richiede la presenza di interprete, non supera, pertanto, lo scrutinio di manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione, e comporta l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di NOME nella parte relativa alla condanna per il concorso nella detenzione delle armi, con rinvio per nuovo giudizio sul punto.
Gli ulteriori motivi del ricorso NOME sono assorbiti.
In definitiva, posta l’assoluzione definitiva di COGNOME e COGNOME dal reato di ricettazione (capo 2), e la condanna definitiva di COGNOME per il reato di detenzione di armi comuni da sparo (capo 1), il giudizio di rinvio dovrà avere ad oggetto per l’imputato COGNOME l’appello dell’imputato contro la condanna inflitta in primo grado per il concorso nella detenzione delle armi comuni da sparo, e per l’imputata COGNOME la sola quantificazione della pena per tale reato.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente NOME al pagamento delle spese del procedimento.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME NOME e di NOME in ordine al delitto di ricettazione perché il fatto non sussiste. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME NOME in ordine al trattamento sanzionatorio per il residuo reato di cui al capo 1) e di NOME relativamente allo stesso capo 1) con rinvio per nuovo giudizio sui predetti punto e capo ad altra sezione della Corte d’appello di Roma. Rigetta nel resto il ricorso di NOME. Rigetta il ricorso di NOME COGNOME, che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13 dicembre 2023.