Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46288 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46288 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 23/09/1964
avverso la sentenza del 30/01/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 30 gennaio 2024 la Corte di appello di Palermo ha confermato quella emessa il 9 maggio 2023 dal Tribunale della stessa città, con cui NOME COGNOME è stato condannato alla pena di cinque anni di reclusione e 1.200 euro di multa perché ritenuto responsabile dei reati di detenzione di una pistola clandestina, ricettazione, detenzione illegale di un fucile, di munizioni e di una spada in acciaio, omessa denuncia della detenzione di settantasei detonatori a bassa intensità.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato a tre motivi, con il primo dei quali lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per avere i giudici di merito ritenuto la funzionalità e l’efficienza delle armi, delle munizioni e dei detonatori in contestazione senza disporre l’accertamento peritale da lui sollecitato con l’atto di appello ed in presenza, anzi, di indici sintomatici del pessimo stato di conservazione del predetto materiale.
Con il secondo motivo, eccepisce, ancora, violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di appello mutuato le conclusioni raggiunte dal primo giudice in ordine alla ricettazione dell’arma clandestina pur in carenza di prova del fatto che, nel momento in cui egli la ha ricevuta, l’abrasione della matricola era già stata operata.
Con il terzo motivo, COGNOME deduce violazione di legge in relazione all’intervenuto decorso del termine prescrizionale massimo del delitto di ricettazione, la cui consumazione si colloca, a suo modo di vedere, in epoca prossima a quella di commissione di reati della stessa indole, risalente a non oltre il 6 aprile 2017.
Disposta la trattazione scritta, il Procuratore generale ha chiesto, con atto del 18 settembre 2024, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché vertente su censure manifestamente infondate.
COGNOME reitera, con il primo motivo, le obiezioni, specificamente riferite all’efficienza del materiale balistico ed esplodente rinvenuto in luoghi nella sua disponibilità, che, già sottoposte all’attenzione della Corte di appello, sono state
disattese con argomentazioni ineccepibili, imperniate sulla superfluità dell’invocato approfondimento istruttorio a fronte delle univoche emergenze istruttorie, che attestano la sicura efficienza di armi e munizioni.
Per quanto concerne, invece, i detonatori, il richiamo al loro pessimo stato di conservazione, in effetti contenuto nella sentenza di primo grado, non equivale ad attestare l’irrilevanza penale della loro detenzione, avuto riguardo all’esito, positivo, della prova di funzionalità e micidialità eseguiti su tre di essi, ch tranquillizza circa la loro efficienza.
In proposito, è utile aggiungere, in diritto ed a riprova della tangibile fragilit delle censure del ricorrente, che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che la natura di arma ed il buon funzionamento dell’oggetto in possesso dell’imputato possono essere desunti da qualsiasi mezzo di prova – specifica o generica, diretta o indiretta – e il relativo accertamento, ove immune da vizi logici o giuridici, costituisce apprezzamento di fatto sottratto al sindacato di legittimità (così, tra le tante, Sez. 1, n. 46890 del 18/10/2019, Arena, Rv. 277237 – 01), non configurandosi, dunque, la necessità di disporre apposita perizia (cfr. Sez. 1, n. 45217 del 25/09/2013, COGNOME, Rv. 257413 – 01).
Parimenti priva di pregio è la censura concernente l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato in ordine alla ricettazione della pistola, in quanto proveniente dal delitto commesso all’atto dell’abrasione della matricola.
In proposito, i giudici di merito hanno correttamente preso le mosse dall’assenza di prova in ordine al diretto coinvolgimento di COGNOME nel delitto presupposto per rilevare, subito, dopo, in accordo con il condiviso e consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, che «Il possesso di un’arma clandestina integra di per sé la prova del delitto di ricettazione, poiché l’abrasione della matricola, che priva l’arma medesima di numero e dei contrassegni di cui all’art. 11 legge 18 aprile 1975, n. 110, essendo chiaramente finalizzata ad impedirne l’identificazione, dimostra, in mancanza di elementi contrari, il proposito di occultamento del possessore e la consapevolezza della provenienza illecita dell’arma» (Sez. 1, n. 37016 del 28/05/2019, COGNOME, Rv. 276868 – 01).
Tanto, in ragione del fatto, debitamente segnalato dalla Corte di appello, che nel caso di ricettazione di arma da fuoco l’abrasione del numero di matricola costituisce elemento di fatto che, non potendo sfuggire alla percezione visiva dell’accipiens e rendendolo, dunque, consapevole della illecita manipolazione, fornisce la prova della piena coscienza dell’origine criminosa dell’arma all’atto della stessa ricezione, che appare ulteriormente suffragata dalla mancata indicazione delle generalità del tradens (in proposito, cfr. anche Sez. 2, n. 53017 del
22/11/2016, COGNOME, Rv. 268713 – 01, secondo cui «Ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dall’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta da parte del soggetto agente».
Né, va per completezza aggiunto a confutazione di specifica obiezione difensiva, può in alcun modo ritenersi, in carenza del benché minimo elemento di prova, che COGNOME sia stato autore dell’abrasione, id est responsabile del reato presupposto della ricettazione e con essa, per espressa previsione di legge, incompatibile, stante l’incipit («Fuori dai casi di concorso nel reato…») dell’art. 648, primo comma cod. pen..
Non meno infondato è il terzo ed ultimo motivo di ricorso, con il quale COGNOME assume che l’epoca di consumazione della ricettazione dovrebbe essere retrodatata – in considerazione delle dichiarazioni da lui rese circa il momento di ricezione dell’arma – al 6 aprile 2017 ed invoca, quindi, la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
Sul punto, va rilevato, da un canto, che la doglianza si impernia sulla versione offerta dall’imputato, che i giudici di merito hanno concordemente stimato, con argomentazioni ineccepibili, del tutto inattendibile, e, dall’altro, che la sanzione massima prevista dall’art. 648 cod. pen. ed il riconoscimento della recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale determinerebbero pure qualora si mutuasse la collocazione temporale suggerita dal ricorrente – l’applicazione di un termine prescrizionale ordinario di tredici anni e quattro mesi (dovendosi aumentare, sulla base della disciplina rilevante ratione temporis, il termine ordinario di otto anni di due terzi ai sensi del combinato disposto degli artt. 99, quarto comma, e 157, secondo comma, cod. pen.), eventualmente incrementabile, ai sensi dell’art.’ 161, secondo comma, cod. pen. e nella misura massima di due terzi, in caso di compimento di atti interruttivi.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17/10/2024.