Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7771 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 7771 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 11/04/1996
avverso la sentenza del 12/06/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria in forma scritta, con la quale il Pubblico Ministero, in persona del
Sostituto Procuratore generale COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 27 maggio 2020, il G.U.P. del Tribunale di Rimini, in esito a rito abbreviato, dichiarava NOME COGNOME responsabile dei quattro reati ascrittigli, qualificato il capo A) nel reato di cui agli artt. 2 e 7 I. n. 895 del 196 ritenuta la continuazione con i reati di cui ai capi B) (ricettazione dell’arma sub A), C) (furto aggravato di gasolio) e D) (porto abusivo di utensili destinati allo scasso), riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, lo condannava alla pena di 2 anni, 8 mesi di reclusione e 400,00 euro di multa.
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della pronuncia impugnata, esclusa l’aggravante di cui all’art. 625, n. 7), cod. pen., relativa al capo C), rideterminava la pena nei confronti dell’imputato in 2 anni, 6 mesi di reclusione e 500,00 euro di multa, confermando, nel resto, la decisione appellata.
L’interessato, per il tramite del difensore, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
3.1. Con il primo motivo, si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al delitto di ricettazione sub capo B).
Assume il difensore del ricorrente:
che la riconosciuta non clandestinità dell’arma sub A) avrebbe dovuto comportare l’assoluzione dal delitto di ricettazione, in assenza del reato presupposto (furto o altro delitto) o in assenza di prova che l’arma fosse stata ricevuta da soggetto non legittimato alla detenzione;
che la circostanza per cui la pistola era stata ricevuta “al di fuori degli specifici canali” semmai avrebbe integrato il reato sub A) (detenzione illegale), non quello di ricettazione;
che l’occultamento dell’arma non dimostrava nulla, atteso che essa era “nascosta” alla madre convivente;
che l’uso della facoltà difensiva di non rispondere non poteva nuocere all’imputato;
che l’eventuale violazione di norme in materia di circolazione delle armi non rilevava ai fini della contestazione del delitto di ricettazione;
che la Corte di appello non si era confrontata con i motivi di gravame, avendo, inoltre, operato richiami giurisprudenziali inconferenti (caso attinente ad arma con matricola abrasa).
3.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 337 cod. proc. pen. in relazione al furto di cui al capo C); si eccepisce, in particolare, mancata pronuncia di non doversi procedere per difetto di valida querela, in quanto proposta dall’autista del mezzo dal quale venne asportato il gasolio, soggetto non legittimato.
Non si condivide la motivazione svolta dalla Corte di appello, che aveva valorizzato il rapporto di detenzione qualificata collegante l’autista al mezzo; viceversa,
avrebbe, nella specie, dovuto sporgere querela l’Amministratore unico della società “RAGIONE_SOCIALE” proprietaria del veicolo, oppure ratificare quella proposta dall’autista del mezzo.
3.3. Con il terzo motivo si censura la violazione degli artt. 133 e 81 cod. pen. e si contesta il vizio di motivazione sulla dosimetria della pena, da ritenersi eccessiva dopo il venir meno di un’aggravante (art. 625, n. 7, cod. pen.).
Si duole il difensore del ricorrente che la Corte di appello, pur essendo venuta meno un’aggravante, abbia applicato la stessa pena base inflitta dal primo giudice.
Si duole, inoltre, di una motivazione “apparente” sugli aumenti apportati per i reati-satellite.
La Corte di merito, ancora, avrebbe erroneamente valorizzato un precedente per ricettazione, giudicandolo successivo ai fatti, mentre, viceversa, era stato commesso prima.
3.4. Con il quarto motivo, si chiede la concessione della sospensione condizionale della pena, previa riconduzione della stessa entro i limiti di cui all’art. 163 cod. pen.
Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, limitatamente al terzo motivo, afferente al trattamento sanzionatorio, mentre nel resto va rigettato perché, nel complesso, infondato.
Senz’altro infondato è il primo motivo di ricorso, con il quale si contesta la ravvisata integrazione del delitto di ricettazione nel difetto di prova del delitt presupposto ed in presenza di arma accertata come non clandestina.
Giova rammentare che l’affermazione della responsabilità per il delitto di ricettazione non richiede l’accertamento giudiziale della commissione del delitto presupposto, né dei suoi autori, né dell’esatta tipologia del reato, potendo il giudice affermarne l’esistenza attraverso prove logiche e tenendo conto della natura e delle caratteristiche del bene ricettato (Sez. 1, n. 46419 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277334 – 01; Sez. 1, n. 29486 del 26/06/2013, COGNOME, Rv. 256108 – 01; Sez. 2, n. 29685 del 05/07/2011, COGNOME, Rv. 251028 – 01; Sez. 2, n. 10101 del 15/01/2009, COGNOME, Rv. 243305 – 01).
Va, inoltre, ricordato che, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazio la mancata giustificazione del possesso di una cosa proveniente da delitto costituisce prova della conoscenza della illecita provenienza (Sez. 2, n. 52271 del 10/11/2016, COGNOME, Rv. 268643 – 01).
Ancora, non può trascurarsi che, sulla declinabilità dell’elemento soggettivo del reato de quo nella forma del dolo eventuale, le Sezioni Unite hanno affermato che siffatta tipologia di dolo riguarda, oltre alla verificazione dell’evento, il presuppos della condotta, consistendo, in questo caso, nella rappresentazione della possibilità
dell’esistenza del presupposto stesso (possibilità, cioè, della provenienza della cosa, acquistata o ricevuta, da delitto) e nell’accettazione dell’eventualità di tale esistenza (Sez. U, n. 12433 del 26/11/2009, dep. 2010, Nocera, Rv. 246323 – 01).
2.1. Degli enunciati principi ha fatto corretta applicazione la Corte di appello di Bologna, evidenziando, con argomentare scevro da vizi logici, che, a prescindere dalla non “clandestinità” dell’arma (una semiautomatica Beretta cal. 9 corto, completa di caricatore inserito con sei cartucce all’interno), l’imputato – il quale la deteneva senza denuncia, con implicita volontà, quindi, di occultarne il possesso – non aveva mai dato conto delle circostanze e delle modalità con cui avrebbe acquistato un bene la cui circolazione è assoggettata a rigorose regole, da tali elementi potendo inferirsi la derivazione da reato dell’arma.
A tale corretto costrutto argomentativo la difesa del ricorrente ha opposto rilievi per lo più di carattere assertivo o non correlati alla ratio decidendi o, comunque, infondati.
Tale è il caso della doglianza con cui il difensore lamenta il nocumento che sarebbe derivato al suo assistito dall’esercizio del diritto al silenzio.
Sul punto, è necessario un chiarimento.
Vero è che, secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di valutazione della prova, la negazione o il mancato chiarimento, da parte dell’imputato, di circostanze valutabili a suo carico, può fornire al giudice elementi di prova di carattere residuale e complementare solo in presenza di univoci elementi probatori d’accusa, in quanto la valutazione del comportamento processuale dell’imputato non può risolversi nell’inversione dell’onere della prova iné sostanzialmente condizionare l’esercizio del diritto di difesegfra le più recenti, Sez. 4, n. 19216 del 06/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279246 – 02).
Tuttavia, è altrettanto vero che, in tema di libero convincimento, al giudice non è precluso di valutare la condotta processuale dell’imputato,coniugandola con ogni altra circostanza sintomatica, con la conseguenza che egli ben può considerare, in concorso di altri elementi, la portata significativa del silenzio serbato su circostanze idonee a scagionarlo (Sez. 6, n. 28008 del 19/06/2019, Arena, Rv. 276381 – 01; Sez. 2, n. 22651 del 21/04/2010, COGNOME, Rv. 247426 – 01).
Quest’ultimo è il principio che è stato esattamente preso in considerazione dalla Corte di merito nel caso di specie, caratterizzato dal silenzio serbato dall’imputato su circostanze idonee a scagionarlo e non su circostanze valutabili a suo carico; silenzio, che, in concorso con gli altri elementi della mancata denuncia e dell’occultamento dell’arma, è stato, quindi, non illogicamente interpretato dai giudici dell’appello quale sintomo della consapevolezza della provenienza illecita dell’arma medesima.
Tale ricostruzione dell’elemento soggettivo è esatta in diritto, in quanto conforme a Sez. U, Nocera, prima citata.
Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, denunciante la violazione dell’art. 337 cod. proc. pen. per non avere la Corte territoriale pronunciato declaratoria
di non doversi procedere a fronte della mancata proposizione di querela da parte di un soggetto legittimato.
In argomento, non possono che richiamarsi le coordinate tracciate dalle Sezioni Unite in una pronuncia che ha valorizzato, ai fini dell’individuazione del soggetto legittimato a proporre la querela, la relazione instaurata con il bene (Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, COGNOME, Rv. 255975 – 01).
In tale decisione – concernente una vicenda in cui il querelante era il responsabile di un supermercato – si è affermato che «Il bene giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà o nei diritti reali personali o godimento, ma anche nel possesso – inteso come relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità – che si configura anche in assenza di un titolo giuridico persino quando esso si costituisce in modo clandestino o illecito, con la conseguenza che anche al titolare di tale posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa e, d conseguenza, la legittimazione a proporre querela».
Tale indirizzo è stato, poi, coerentemente applicato dalle sezioni semplici in fattispecie simili e comparabili, in cui, ai fini della procedibilità di un furto commess all’interno di un supermercato, sono stati, di volta in volta, ritenuti legittimati proporre querela il direttore dell’esercizio (Sez. 4, n. 8094 del 29/01/2014, COGNOME e altro, Rv. 259289 – 01), il capo reparto (Sez. 5, n. 11968 del 30/01/2018, COGNOME, Rv. 272696 – 01), il responsabile della sicurezza (Sez. 5, n. 3736 del 04/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275342 – 01) e la cassiera (Sez. 4, n. 7193 del 20/12/2023, dep. 2024, P., Rv. 285824 – 01), così come, in un altro caso, è stato ritenuto legittimato a proporre querela il custode di uno stabilimento (Sez. 5, n. 55025 del 26/09/2016, Mocanu, Rv. 268906 – 01).
Di conseguenza, è corretta la valutazione del giudice a quo che, in conformità all’indirizzo richiamato, ha messo in luce la relazione di detenzione qualificata intercorrente tra il soggetto querelante (autista) e il mezzo.
Il terzo motivo, inerente al trattamento sanzionatorio, è fondato nei termini che seguono.
Giova rammentare che, nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, per cui il giudice di appello, anche quando esclude una circostanza aggravante e per l’effetto irroga una sanzione inferiore a quella applicata in precedenza (art. 597, comma 4, cod. proc. pen.), non può fissare la pena base in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado (Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005, NOME COGNOME Rv. 232066 – 01).
Tale divieto, nel caso di specie, è stato violato dalla Corte di appello, che, avendo individuato quale reato più grave, a seguito del venir meno della circostanza aggravante di cui all’art. 625, n. 7), cod. pen, la ricettazione in luogo del furt (viceversa ritenuto più grave dal primo giudice), ha determinato la pena base per il
reato di cui all’art. 648 cod. pen. in misura superiore (tre anni di reclusione e 750,00 euro di multa) a quella fissata in primo grado (due anni di reclusione) per il furto.
Limitatamente a tale punto, afferente al trattamento sanzionatorio, la sentenza impugnata dev’essere, quindi, annullata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna che provvederà a rideterminare la pena nei confronti dell’imputato previa emenda dell’errore rilevato.
Le ulteriori censure sviluppate nel terzo motivo devono ritenersi assorbite.
Analogamente, deve considerarsi assorbito il quarto motivo di ricorso, nel senso che spetterà al giudice del rinvio, nel caso in cui dovesse irrogare una pena contenuta nei limiti previsti dall’art. 163 cod. pen., valutare se concedere o meno i benefici di legge.
Nel resto, come detto, l’impugnazione va rigettata.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2024
Il Consigliere estensore
Presidente