Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 34326 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2   Num. 34326  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/09/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da COGNOME NOME nata a Palermo il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa in data 08/04/2025 dal Tribunale di Palermo, sezione del riesame visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che il procedimento si celebra con contraddittorio scritto, senza la presenza delle parti, in mancanza di rituale richiesta di trattazione orale secondo quanto disposto dagli artt. 610, commi 1 e 5 e 611, comma 1, cod. proc. pen. udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte depositate in data 05/09/2025 dal Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni scritte depositate in data 19/09/2025 dall’AVV_NOTAIO, difensore della ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso evidenziando che con lo stesso sarebbero stati dedotti motivi anche in punto di insussistenza del fumus commissi delicti e del periculum in mora.
RITENUTO IN FATTO
Con l ‘ordinanza impugnata il Tribunale di Palermo ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso, ai sensi dell’art. 240 -bis cod. pen., in data 15/03/2025 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo avente ad oggetto la somma di euro 313.525,00, rinvenuta all’interno della abitazione di NOME COGNOME e ritenuta nella disponibilità di NOME COGNOME, indagata per il reato di cui all’art. 648 cod. pen. , aggravato ai sensi dell’art. 416 -bis .1. cod. pen., per avere ricevuto denaro provento dei delitti di associazione mafiosa e traffico di stupefacenti, a lei corrisposte da esponenti del RAGIONE_SOCIALE a titolo di mantenimento del marito detenuto e del suo nucleo familiare e quale quota dei proventi del commercio di droga facente capo al coniuge.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, tramite il difensore fiduciario, nel quale risultano articolati due soli motivi.
2.1.  Con  il  primo  si  deduce  la  nullità  del  provvedimento  impugnato  per violazione  dell’art.  292,  comma  2  lett.  c -bis )  cod.  proc.  pen.  per  omessa esposizione e autonoma valutazione delle ragioni per le quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa.
Si osserva che in sede di riesame era stato dedotto il macroscopico errore in cui era caduto il Giudice per le indagini preliminari affermando che il denaro in contanti per complessivi euro 313 .525,00 era stata trovato all’interno della cassaforte presente nell’abitazione di NOME COGNOME, quando invece dal verbale di sequestro risulta tutt’altro e cioè che nella cassaforte era stata rinvenuta solo la somma di Euro 8.000,00, mentre la restante parte risultava custodita in alcuni sacchetti collocati in luoghi della casa diversi.
Si era dunque rappresentato che le varie somme non erano tutte riconducili ad un unico soggetto e cioè all’indagata COGNOME, ma semmai appartenevano a più soggetti diversi; si era altresì giustificato l’importo di euro 8.000,00 trovato nella cassaforte (l’unico riferibile all ‘ odierna ricorrente, come emerso inequivocabilmente  dalle  conversazioni  intercettate), depositando  all’udienza camerale la documentazione relativa al riscatto di un piano di accumulo del padre, deceduto pochi anni fa.
Rispetto a tali doglianze, il Tribunale per il riesame ha omesso di pronunciarsi. L’ ordinanza impugnata non contiene infatti neppure una riga di motivazione sulle ragioni per le quali alla persona della ricorrente COGNOME è stata ricondotta l’inter a
somma di euro 313.525,00 e non soltanto la somma di euro 8.000,00, cioè quella rinvenuta nella cassaforte, l’unica a lei attribuibile.
2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione di legge e la carenza di motivazione in punto di sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416 -bis .1. cod. pen.
Richiamati i principi di diritto affermati da questa Corte a Sezioni Unite (sentenza n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, Chioccini, Rv. 278734 – 01), la difesa ricorrente sostiene che il Tribunale del riesame non avrebbe indicato alcun elemento concreto sulla base del quale poter configurare in capo all’indagata l’aggravante de qua che ha natura soggettiva ed è caratterizzata da dolo intenzionale; il Collegio della cautela avrebbe a ltres’ trascurato di considerare che la finalità perseguita dalla COGNOME COGNOME era quella di provvedere a sé stessa e al mantenimento dei suoi figli, come emerge dalle conversazioni intercettazioni. 
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, dovendosi precisare che con l’atto di impugnazione sono stati dedotti esclusivamente i due motivi illustrati nel paragrafo 2 (e relativi sottoparagrafi) del ‘ritenuto in fatto’.
Nulla  è  stato  prospettato  con  riferimento  alla  insussistenza  del fumus commissi delicti e del periculum in mora che, dunque, sono profili non scrutinabili perché  mai  devoluti,  neppure  con  motivi  aggiunti,  ma  solo  richiamati  nelle conclusioni scritte depositate dal difensore per l’odierna udienza.
Manifestamente infondato è il primo motivo con il quale si deduce la nullità del provvedimento impugnato per violazione dell’art. 292, comma 2 , lett. cbis ) cod. proc. pen., lamentando l’omessa esposizione ed autonoma valutazione, da parte del Tribunale, dei rilievi difensivi prospettati con la richiesta di riesame in ordine alla riconducibilità ad NOME COGNOME della sola somma di denaro (8.000,00 euro) rinvenuta nella cassaforte presente presso l’abitazione della madre.
Va in primo luogo rilevato che inconferente, rispetto al caso di specie, è il richiamo all’art.  292 ,  comma 2, lett. cbis cod. proc. pen., quale norma che si assume  violata  atteso  che  tale  disposizione  contempla  una  ipotesi  di  nullità dell’ordinanza  applicativa  di  una  misura  cautelare  personale  e  non già  del provvedimento emesso in sede di riesame proposto avverso una cautela reale.
In  ogni  caso,  interpretando  la  doglianza  proposta  in  termini  di  omessa  o comunque apparente motivazione dell’ordinanza impugnata, la censura è ictu oculi priva di pregio.
Il  Tribunale del riesame ha puntualmente illustrato le censure esposte con memoria scritta in sede di riesame, richiamando anche la documentazione allegata a sostegno che è stata esaminata, così pervenendo alla autonoma valutazione del decreto  impugnato,  operata  con  un  doveroso  approccio  critico  condotto  sulla scorta dei rilievi difensivi.
Ed invero, rispetto a tali deduzioni, il Collegio ha riportato precisamente le risultanze investigative con le quali si è direttamente confrontata,  dando conto che:
 COGNOME  NOME  (marito  della  COGNOME  e  detenuto  in  carcere)  era  stato condannato nel febbraio 2024, a seguito di giudizio abbreviato, alla pena di anni venti di reclusione per i delitti di cui agli artt. 74 e 73 d.P.R. n. 309 del 1990, aggravati dall’art. 416 -bis .1 cod. pen.;
la pronuncia del giudice di primo grado aveva delineato un rapporto di stretta interrelazione tra il RAGIONE_SOCIALE mafioso di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e l’associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti (operante nel medesimo territorio e della quale COGNOME era stato ritenuto componente con poteri di organizzatore e di direzione), essendo i relativi destinati ad agevolare il sodalizio mafioso anche garantendo il mantenimento dei suoi componenti e dei rispettivi familiari;
a partire dal luglio 2023, le conversazioni telefoniche intercettate (in gran parte riportate  dal  Tribunale  nel  loro  tenore  testuale)  avevano  attestato  l ‘avvenuta periodica corresponsione alla COGNOME, ad opera della consorteria mafiosa, della quota spettante al marito relativa ai proventi  del traffico di droga  ed anche di ulteriori  somme  finalizzate  al  mantenimento  del  coniuge  detenuto e  dell’intero nucleo familiare;
-dalle interlocuzioni era anche emerso che l’odierna ricorrente aveva più volte rivendicato  una  cifra  congrua,  mostrandosi  non  disposta  ad  accettare  meno  di quanto le spettasse;
-l’attività  captativa aveva  dato  altresì conto  di  come  il  denaro  riscosso dall’indagata  (nella piena  consapevolezza  della  sua  provenienza  illecita)  fosse custodito presso  l’abitazione  della  madre , in particolare all’interno  di  una cassaforte al fine di scongiurare eventuali sequestri della autorità giudiziaria;
la successiva perquisizione eseguita presso la casa di COGNOME NOME in ragione delle inequivocabili conversazioni intercettate, aveva portato al ritrovamento di euro 313.525,00 in banconote di diverso taglio suddivise in varie buste; in particolare, proprio nella cassaforte dell’abitazione , era stata rinvenuta la somma di euro 8.000,00 euro, mentre la restante parte era stata trovata in altri luoghi (armadio della camera da letto, ripostiglio comodino), suddivisa in varie buste all’interno delle qua li vi erano fogli manoscritti e due quaderni, recanti l’annotazione della contabilità di somme in entrata ed in uscita, chiaramente
riconducibili al traffico di stupefacenti gestito dal marito della COGNOME (pag. 11 dell’ordinanza impugnata).
In ragione di tali obiettive circostanze, correttamente raccordate tra loro, il Tribunale del riesame ha affermato, in replica alle deduzioni difensive, che all’odierna ricorrente era ri feribile l’intera somma rinvenuta all’esito della disposta perquisizione e, quindi, non solo quella rinvenuta nella cassaforte di cui vi era espresso riferimento nelle conversazioni intercettate, ma anche quelle ulteriori in quanto accompagnate da dati oggettivi che riconducevano le stesse al provento del traffico di stupefacenti di cui parte era stato pacificamente corrisposto alla COGNOME, con cadenza periodica, quale utile derivante da tale attività illecita e quale quota di mantenimento per il marito detenuto e l’intera famiglia.
Rispetto a tale quadro, il Collegio ha richiamato gli accertamenti relativi alle capacità reddituali dell’indagata e della madre evidenziando ne la manifesta sproporzione con l’ingente somma rinvenuta e affermando che la documentazione difensiva (la richiesta di riscatto di un piano di accumulo) non era idonea a giustificare la disponibilità della somma in contanti di ben 313.525,00 della quale, pertanto, era stato correttamente disposto il sequestro ai sensi dell’art. 240 -bis cod. pen.
L’ordinanza impugnata consta pertanto di un compiuto apparato argomentativo che si  confronta  appieno  con  i  rilievi  e  gli  elementi  forniti  dalla difesa dell’indagata.
Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Rispetto a tale doglianza va in primo luogo rilevata la carenza di interesse.
Nella presente fase di cautela reale, la configurabilità o meno della aggravante di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen., non ha alcuna concreta incidenza sulla legittimità del sequestro che è stato disposto ai sensi dell’art. 240 -bis cod. pen. il quale prevede, in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta per il delitto di ricettazione (contestato nel caso di specie) e a prescindere dalla sussistenza di circostanze aggravanti, la confisca obbligatoria (con conseguente possibilità anche del relativo sequestro anticipatorio) del denaro, dei beni e della altra utilità di cui il condannato non giustifichi la provenienza e di cui risulti avere la disponibilità in valore sproporzionato alla propria capacità economica.
In ogni caso, la deduzione è manifestamente infondata avendo il Tribunale del riesame compiutamente argomentato in ordine alla sussistenza della aggravante della agevolazione mafiosa (pag. 12 dell’ordinanza impugnata) ponendo in luce come le  risultanze  investigative  fossero  idonee  a  dimostrare  che  le  somme  di denaro in sequestro, riferibili per l’intero all’indagata, derivavano dai profitti del traffico illecito di stupefacenti svolto dal marito a vantaggio del sodalizio mafioso
in quanto anche (e non solo) destinati al sostentamento dei loro componenti e come di tale circostanza la COGNOME fosse pienamente consapevole, come emerso dall’inequivocabile tenore delle conversazioni intercettate .
Con tale costrutto argomentativo, il Collegio della cautela ha fatto buon governo del principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (che si condivide e si ribadisce) secondo cui integra il reato di ricettazione aggravata dalla finalità di agevolazione di associazione di stampo mafioso la percezione, da parte del congiunto di un affiliato che si trovi in stato di detenzione, di un assegno settimanale versato dal sodalizio criminale, giacché tale strumento di supporto economico, con la creazione di una rete di solida mutualità fra gli affiliati, rinsalda il vincolo di solidarietà nell’ambito dell’associazione, agevolando il perseguimento dei suoi scopi illeciti (cfr., Sez. 6, n. 19362 del 04/06/2020, COGNOME, Rv. 279305 – 01; Sez. 1, n. 1754 del 26/02/2009, COGNOME, Rv. 243558 – 01; Sez. 1, n. 13578 del 18/02/2009, COGNOME, non mass.).
Alla inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al  presente  grado  di  giudizio  e  al  versamento  della  somma  di  euro  tremila  in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende. Così deciso il giorno 25/09/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME