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Ricettazione aggravata: sequestro e onere della prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro un’ordinanza di sequestro preventivo di oltre 300.000 euro, ritenuti provento di ricettazione aggravata dal metodo mafioso. La somma, trovata nell’abitazione della madre della ricorrente, è stata considerata interamente riferibile a quest’ultima, in quanto provento delle attività illecite del marito detenuto. La Corte ha chiarito che, ai fini del sequestro ex art. 240-bis c.p., non è decisiva la sussistenza dell’aggravante mafiosa, essendo sufficiente l’incapacità di giustificare la legittima provenienza del denaro, sproporzionato rispetto al reddito.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricettazione aggravata: la Cassazione sul sequestro di denaro illecito

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta il tema della ricettazione aggravata dal metodo mafioso, fornendo chiarimenti cruciali sulla legittimità del sequestro preventivo di ingenti somme di denaro e sull’onere della prova a carico dell’indagato. La pronuncia si sofferma sulla corretta attribuzione della disponibilità del denaro e sull’irrilevanza di alcune circostanze aggravanti ai fini della misura cautelare reale.

I fatti di causa: dal sequestro al ricorso in Cassazione

Il caso nasce da un decreto di sequestro preventivo per oltre 313.000 euro, emesso dal GIP di Palermo. La somma era stata trovata durante una perquisizione nell’abitazione della madre di una donna, indagata per ricettazione aggravata ai sensi dell’art. 416-bis.1 c.p. Secondo l’accusa, il denaro era il provento di attività illecite (associazione mafiosa e traffico di stupefacenti) condotte dal marito detenuto della donna e a lei corrisposto da esponenti di un clan mafioso per il mantenimento del nucleo familiare.

La difesa aveva impugnato il provvedimento davanti al Tribunale del riesame, sostenendo un errore di valutazione: solo una piccola parte della somma (€ 8.000) era stata trovata in una cassaforte e sarebbe stata l’unica riconducibile all’indagata, mentre il resto era sparso in altri luoghi dell’abitazione. Inoltre, la difesa contestava la sussistenza dell’aggravante mafiosa. Il Tribunale del riesame confermava il sequestro, spingendo la difesa a ricorrere in Cassazione.

L’analisi della Cassazione sulla riconducibilità del denaro e l’aggravante

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le doglianze della difesa manifestamente infondate e offrendo importanti spunti interpretativi.

La valutazione autonoma del Tribunale del Riesame

Il primo motivo di ricorso lamentava una presunta omissione di valutazione da parte del Tribunale del riesame sugli elementi difensivi. La Cassazione ha respinto questa tesi, evidenziando come il Tribunale avesse, al contrario, condotto un’analisi approfondita e autonoma. Aveva infatti considerato tutte le risultanze investigative: la condanna del marito per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti con l’aggravante mafiosa, le intercettazioni che provavano i periodici versamenti di denaro all’indagata e la piena consapevolezza di quest’ultima circa la provenienza illecita dei fondi. Il ritrovamento, insieme al denaro, di quaderni con la contabilità delle somme, ha costituito un ulteriore elemento oggettivo per ricondurre l’intera cifra all’attività illecita gestita dal marito, rendendo irrilevante la diversa collocazione fisica del contante all’interno dell’abitazione.

L’irrilevanza dell’aggravante ai fini del sequestro

Il secondo motivo di ricorso contestava la carenza di motivazione sulla sussistenza dell’aggravante di agevolazione mafiosa. La Corte ha ritenuto il motivo inammissibile per due ragioni.

In primo luogo, ha rilevato una ‘carenza di interesse’. Il sequestro era stato disposto ai sensi dell’art. 240-bis c.p. (confisca allargata), che per il delitto di ricettazione prevede la confisca obbligatoria del denaro di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e che risulti sproporzionato al suo reddito. Tale meccanismo, e il relativo sequestro anticipatorio, si applica a prescindere dalla sussistenza di specifiche aggravanti.

In secondo luogo, e nel merito, la Corte ha comunque giudicato la motivazione del Tribunale del riesame completa e corretta. Le prove dimostravano che le somme derivavano dal traffico di stupefacenti gestito dal marito a vantaggio del sodalizio mafioso, e che l’indagata ne era pienamente consapevole.

Le motivazioni della Corte

La Corte ha ribadito un principio giurisprudenziale consolidato: integra il reato di ricettazione aggravata dalla finalità di agevolazione mafiosa la percezione, da parte del congiunto di un affiliato detenuto, di un assegno di mantenimento versato dal sodalizio criminale. Questo supporto economico, infatti, crea una rete di solidarietà tra gli affiliati che rinsalda il vincolo associativo e facilita il perseguimento degli scopi illeciti dell’organizzazione.

Il Tribunale del riesame ha correttamente collegato tutte le circostanze oggettive: le conversazioni intercettate, la contabilità manoscritta, la condanna del marito e la manifesta sproporzione tra la somma sequestrata e le capacità reddituali dell’indagata e di sua madre. Di fronte a questo quadro probatorio, la documentazione difensiva, relativa al riscatto di un vecchio piano di accumulo, è stata giudicata inidonea a giustificare la legittima provenienza di una somma così ingente.

Le conclusioni

La sentenza consolida l’orientamento secondo cui, in presenza di gravi indizi di colpevolezza per reati come la ricettazione aggravata, l’intero patrimonio ritenuto di provenienza illecita può essere sottoposto a sequestro preventivo finalizzato alla confisca. L’onere di dimostrare la legittima provenienza dei beni sproporzionati rispetto al proprio reddito ricade sull’indagato. Inoltre, la Corte chiarisce che per l’applicazione della misura cautelare reale ex art. 240-bis c.p. in relazione al delitto di ricettazione, non è necessario che l’aggravante mafiosa sia provata con certezza, essendo la confisca (e quindi il sequestro) una conseguenza della sproporzione ingiustificata tra beni posseduti e redditi dichiarati.

Quando un’ingente somma di denaro trovata in un’abitazione può essere interamente sequestrata a carico di un unico indagato, anche se divisa in più luoghi?
L’intera somma può essere sequestrata e attribuita a un unico soggetto quando esistono dati oggettivi che la riconducono unitariamente a un’attività illecita. Nel caso di specie, le intercettazioni, i quaderni contabili e gli altri elementi investigativi collegavano tutto il denaro, anche quello non nella cassaforte, ai proventi del traffico di stupefacenti gestito dal marito della ricorrente.

Per disporre un sequestro preventivo per ricettazione ai sensi dell’art. 240-bis c.p., è necessario dimostrare la sussistenza dell’aggravante mafiosa?
No. La sentenza chiarisce che, per il delitto di ricettazione, il sequestro finalizzato alla confisca obbligatoria prevista dall’art. 240-bis c.p. non richiede la prova della sussistenza di circostanze aggravanti. È sufficiente che il denaro o i beni siano sproporzionati rispetto alla capacità economica del soggetto e che quest’ultimo non ne giustifichi la legittima provenienza.

Ricevere denaro per il mantenimento da un’associazione criminale per un familiare detenuto costituisce ricettazione aggravata?
Sì. La Corte di Cassazione conferma che la percezione di un ‘assegno’ di mantenimento da parte di un’associazione di stampo mafioso per un affiliato detenuto integra il reato di ricettazione aggravata dalla finalità di agevolazione mafiosa. Tale supporto economico rafforza il vincolo di solidarietà all’interno del sodalizio e ne aiuta a perseguire gli scopi illeciti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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