Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8118 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 8118 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOMENOMECOGNOME nata a NAPOLI il 26/05/1976
avverso l’ordinanza del 25/10/2024 del TRIBUNALE RIESAME di NAPOLI
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME il quale ha chiesto dichiararsi visti gli atti e letto il ricorso dell’Avv. NOME COGNOME udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME inammissibile il ricorso.
Ricorso trattato in camera di consiglio senza la presenza delle parti, in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini, secondo quanto disposto dagli articoli 610 comma 5 e 611 comma 1-bis e ss. c.p.p.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
COGNOME GiovannaCOGNOME a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Napoli con cui è stato confermato il decreto di sequestro preventivo della somma di euro 34.550,00 emesso nei confronti della ricorrente dal Gip del Tribunale di Napoli, quale indagata in ordine al delitto di ricettazione aggravato dalla finalità di agevolazione del clan COGNOME.
La difesa, con un unico motivo, denuncia la violazione di legge sul rilievo dell’apparenza della motivazione resa dal Tribunale del riesame riguardo al fumus delicti aggravato dalla finalità di agevolare un clan di stampo camorristico.
In particolare, le censure mosse attengono alla valenza dimostrativa degli elementi indicati dal provvedimento impugnato a corredo della provenienza illecita della somma sequestrata, sulla materiale ricezione della stessa da parte della ricorrente, sulla dazione da parte di quei soggetti considerati quali partecipi dell’associazione camorristica denominata clan COGNOME e, infine, sull’esclusione della verosimiglianza della giustificazione addotta dall’indagata circa la detenzione della somma sequestrata nel suo domicilio.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto P.G. NOME COGNOME con requisitoria del 17 dicembre 2024, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Tanto premesso, il ricorso è inammissibile.
Dalla lettura dell’ordinanza impugnata risulta che la riconducibilità della somma rinvenuta presso l’abitazione dell’indagata ai proventi derivanti dai traffici illeciti del clan COGNOME si fonda su convergenti elementi di prova che indicano la ricorrente quale custode del denaro costituente la cassa del clan, per come avvalorato dai documentati rapporti in presa diretta con tanto di passaggi di trolley e buste tra l’indagata ed esponenti significativi di tale consesso, additati dai collaboratori come soggetti attivi nei delitti di usura ed estorsione per conto del clan e in persistente contatto con il detenuto reggente di tale gruppo criminale di cui la ricorrente è indicata essere la compagna (v. pag. 2 ove si riepilogano gli esiti dell’attività di indagine); inoltre si cita il dato, assai significativo, consultazione dei “pizzini” rinvenuti presso l’abitazione di uno degli esponenti primari del clan fermato per tentata estorsione e rapina aggravatCanche dalla finalità di agevolare il clan, unitamente ad altro indagato anch’esso facente parte di quelli che la p.g. aveva ripreso tra coloro che facevano ingresso nell’abitazione dell’indagata (il riferimento è a COGNOME e COGNOME) – alla ricorrente riferibili chiaramente evocativi, nel loro significato, del passaggio di denaro alla medesima
destinato.
A fronte di tali circostanze, a nulla rileva che gli ipotizzati passaggi di denaro siano stati monitorati nella precedente abitazione della ricorrente, in quanto l’ordinanza impugnata ha evidenziato come il mutamento di domicilio, ove è stata rinvenuta l’ingente somma in contanti, fosse dovuto alla certezza che gli investigatori vi monitorassero le precedenti attività criminali, anche in considerazione del dato di allarme consistito dal fermo del COGNOME e del COGNOME e, quindi, con comportamento sintomatico della volontà di sottrarsi a potenziali controlli.
Peraltro, l’inverosimiglianza della giustificazione addotta dall’indagata a motivo del possesso dell’ingente somma rinvenuta (che si è sostenuto derivante dall’asserita e non provata vendita di alcuni gioielli) è stata correttamente letta quale ulteriore elemento confermativo dell’ipotesi accusatoria, in ossequio alla giurisprudenza di legittimità a mente della quale la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Sez. 2 n. 25756 del 11/6/2008, COGNOME, Rv. 241458 01; Sez. 2 n. 29198 del 25/5/2010, Fontanella, Rv. 248265 – 01).
La difesa, invece, mediante la denuncia del vizio di violazione di legge (per assenza e/o apparenza della motivazione) non solo finisce per muovere censure che ridondano in vizi della motivazione del provvedimento impugnato non consentite in questa sede, ma si limita, per come osservato dal P.G. nella requisitoria, ad accreditare una ricostruzione alternativa del compendio investigativo, sollecitando alla Corte di cassazione una valutazione di merito preclusa in sede di legittimità.
5. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, così stabilita in ragione dei profili di colpa ravvisabili nella determinazione delle cause di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende.
Motivazione semplificata.
Così deciso, il 4 febbraio 2025.