Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29941 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29941 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Paternò il 03/01/1972
Conigliello NOMECOGNOME nato a Paternò il 03/04/1978
avverso la sentenza del 04/10/2024 della Corte d’appello di Messina visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 4 ottobre 2024, la Corte d’appello di Messina, in riforma della sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto il 25 ottobre 2023, ha dichiarato la penale responsabilità di NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 17 d.lgs. n. 42 del 2004 e ha condannato entrambi alla pena di un anno di arresto e p
di 310,00 euro di ammenda, concessi i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione.
Secondo quanto ricostruito dalla Corte d’appello, NOME COGNOME e NOME COGNOME in concorso tra loro e con altri rimasti ignoti, avrebbero eseguito ricerche archeologiche senza concessione all’interno dell’area archeologica di Tripi, muniti di pale, picconi ed altro, il 17 aprile 2021.
Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia indicata in epigrafe NOME COGNOME e NOME COGNOME con un unico atto, sottoscritto dall’Avv. NOME COGNOME articolato in tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 110 cod. pen. e 175 d.lgs. n. 42 del 2004, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta ascrivibilità del fatto di reat ai due attuali ricorrenti.
Si deduce che erroneamente la sentenza impugnata ha riformato la sentenza assolutoria pronunciata in primo grado, in contrasto con il principio secondo cui può essere emessa sentenza di condanna solo se la colpevolezza dell’imputato è accertata al di là di ogni ragionevole dubbio. Si osserva che la Corte d’appello ha affermato che i due imputati erano tra i quattro individui videoregistrati mentre erano intenti a scavare nell’area archeologica di Tripi la notte tra il 16 e il 17 apri 2021, fondando il proprio convincimento sulle dichiarazioni del teste di polizia giudiziaria valutate isolatamente rispetto agli altri elementi di prova. S rappresenta, in particolare, che non inverosimili sono le dichiarazioni dei due imputati, i quali hanno detto di essersi recati a Tripi per pescare rane e anguille, di servirsi degli attrezzi da scavo per procurarsi i lombrichi da usare come esche, di aver liberato le rane e le anguille catturate per l’impossibilità di allontanarsi causa della foratura della gomme della loro auto, di essere rimasti in attesa del giorno per poter ricevere aiuto da un gommista, e di aver visto altre o quattro persone allontanarsi bruscamente dalla zona. Si aggiunge che la foratura delle quattro ruote della loro auto, constata anche dalla polizia giudiziaria, accredita la versione degli imputati, perché è ragionevolmente addebitabile all’iniziativa dei soggetti ripresi dalle telecamere, quale ritorsione per essere stati infastiditi nel loro attività dalla presenza dei due imputati.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avuto riguardo ancora alla ritenuta ascrivibilità del fatto di reato ai due attuali ricorrenti.
Si deduce che erroneamente la sentenza impugnata non ha considerato circostanze significative. Si evidenzia, in particolare, che: a) gli imputati non sono stati trovati nel possesso di un metal detector, sebbene i soggetti videoregistrati
ne sembrassero muniti, né di reperti o beni trafugati; b) le immagini acquisite dal sistema di videosorveglianza non restituiscono una nitida individuazione dei tratti somatici delle persone riprese, e i capi di abbigliamento non sono individualizzanti; c) in prossimità del luogo in cui i due attuali ricorrenti sono stati controllati d polizia giudiziaria, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello, è presente un luogo pescoso, precisamente il Torrente Mazzarra; d) la caccia delle rane e delle anguille è particolarmente fruttuosa di notte, ed i due imputati vivono in una località dove le rane costituiscono un alimento particolarmente apprezzato.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla determinazione della pena.
Si deduce che la pena è stata fissata, nella parte relativa all’arresto, nella misura massima consentita, senza alcuna specifica motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati limitatamente al profilo concernente la determinazione del trattamento sanzionatorío, mentre sono infondati nel resto.
Infondate sono le censure esposte nei primi due motivi, da esaminare congiuntamente perché relative a questioni strettamente connesse, e che contestano l’affermazione di responsabilità di entrambi gli attuali ricorrenti deducendo, in particolare, la violazione del principio della necessità di accertare la colpevolezza dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio, l’assenza di elementi certi ed univoci, nonché l’irragionevole “svalutazione” delle dichiarazioni dei due accusati.
2.1. La sentenza impugnata, nel riformare quella di assoluzione pronunciata in primo grado, procede ad una nuova e diversa ricostruzione dei fatti.
La Corte d’appello premette che le dichiarazioni degli imputati, trovati a dormire in automobile alle 8,00 del mattino del 17 aprile 2021 in prossimità dell’area archeologica di Tripi, sono inverosimili. Secondo quanto indicato in sentenza, e non contestato nel ricorso, gli imputati hanno dichiarato di essersi recati a Tripi per pescare. La sentenza impugnata osserva che queste dichiarazioni sono inverosimili perché: a) gli imputati risiedono a Paternò, e per raggiungere Tripi da Paternò, occorre un viaggio di oltre due ore di auto per strade di campagna piuttosto impervie; b) Tripi è località ubicata in collina, a circa 450 metri sul liv del mare, e non ha nelle zone limitrofe corsi d’acqua di una consistente portata; c) gli imputati non erano muniti di attrezzi da pesca, bensì di strumenti da scavo.
La Corte d’appello, poi, rappresenta che gli imputati, all’atto del controllo risultavano vestiti con capi di abbigliamento esattamente corrispondenti a quelli indossati da due delle quattro persone riprese dalle telecamere quella notte, poche ore prima, alle ore 0,34, mentre erano intente a scavare nell’area archeologica. Precisamente, segnala che COGNOME indossava un giubbino blu tipo k-way, scarponi e un berretto di lana, mentre COGNOME indossava una felpa di pile scura, jeans, scarponi e uno scaldacollo a tema scozzese, e che le immagini, come risulta dalle fotografie allegate al fascicolo, erano «chiaramente distinguibili».
Ancora, la Corte d’appello riporta che, nel portabagagli dell’autovettura nella quale si trovavano i due attuali ricorrenti, erano presenti due picconi ed una pala di ferro, e che detta autovettura era stata già ripresa dalle telecamere del Comune di Tripi sia la sera del 9 aprile 2021, sia la mattina del 10 aprile 2021, sia la se del 16 aprile 2021 (il giorno precedente il controllo), alle ore 21,19.
La sentenza impugnata, quindi, conclude che questi elementi costituiscono indizi precisi per affermare la responsabilità degli imputati, e non scalfiti d mancato rinvenimento nella disponibilità di questi ultimi di reperti o di un metal detector. Si rappresenta, infatti, che il reato contestato, quello di cui all’art. 1 d.lgs. n. 42 del 2004, attiene alla mera attività di esecuzione di ricerche archeologiche e non richiede il rinvenimento di alcun oggetto, e che il metal detector ripreso dalle telecamere potrebbe essere rimasto nella disponibilità degli altri due complici rimasti non identificati.
Il Tribunale, nella sentenza di primo grado, aveva assolto gli imputati per insufficienza della prova, a norma dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen.
Invero, la sentenza di primo grado, pur ritenendo che le persone riprese dalle telecamere la sera prima del controllo fossero dedite a ricerche archeologiche e che le dichiarazioni rese dai due attuali ricorrenti fossero caratterizzate da «divers profili di netta inverosimiglianza», ha osservato che le immagini del sistema di videosorveglianza «non restituiscono una nitida individuazione dei tratti somatici o delle caratteristiche fisiche degli odierni imputati», e che costoro non sono stati «neppure rinvenuti nel possesso del metal detector distinguibile dai fotogrammi».
2.2 Le conclusioni della sentenza impugnata, laddove affermano la responsabilità dei due attuali ricorrenti, sono immuni da vizi.
La Corte d’appello, infatti, ha dato conto di tutti gli elementi acquisiti e ne apprezzato la attitudine dimostrativa, coordinando tra loro gli stessi sulla base di incensurabili massime di esperienza e spiegando le “criticità” evidenziate dal primo Giudice per assolvere dubitativamente gli imputati. In particolare, la sentenza di secondo grado ha spiegato in modo puntuale e congruo perché la impossibilità di individuare i tratti somatici o le caratteristiche fisiche delle quattro persone ripre dalle telecamere mentre erano intente nelle ricerche archeologiche non sia
decisiva ai fini della individuazione dei due imputati come appartenenti a tale gruppo di persone, attesi gli altri indizi acquisiti, e perché il mancato rinvenimento di un metal detector nella disponibilità dei due attuali ricorrenti sia circostanza del tutto trascurabile.
Deve aggiungersi, poi, che la sentenza di primo grado non si è compiutamente confrontata con tutti i plurimi indizi successivamente valorizzati dalla sentenza di secondo grado. In particolare, il Tribunale nulla dice in ordine all’identità dei cap di abbigliamento indossati dai due imputati con quelli di cui erano vestiti due dei quattro ricercatori ripresi dalle telecamere, e neppure con riguardo alla identità della vettura ripresa dalle telecamere la notte precedente il controllo con quella a bordo della quale sono stati trovati i due attuali ricorrenti; né dà alcun spiegazione del significato attribuibile alla presenza dei due picconi e della pala in ferro rinvenuti nella medesima autovettura.
Fondate, invece, sono le censure enunciate nel terzo motivo, che contestano l’affermazione di responsabilità deducendo l’assenza di motivazione in ordine alla quantificazione della pena, sebbene questa, per la parte relativa all’arresto, sia stata irrogata in misura pari al massimo edittale.
In effetti, l’art. 175, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, prevede la pena dell’arresto fino ad un anno e dell’ammenda da euro 310 a euro 3.099 per il reato di ricerche archeologiche senza concessione.
La sentenza impugnata ha irrogato la pena di un anno di arresto e di euro 310,00 di ammenda, affermando di partire dal minimo edittale e valorizzando l’incensuratezza degli imputati.
Risulta, quindi, evidente, come la sentenza impugnata sia incorsa in un vizio di manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione con riguardo alla determinazione del trattamento sanzionatorio.
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte d’appello di Messina, nei confronti di entrambi gli imputati, i cui ricorsi, invece, debbono essere rigettati nel resto.
Il Giudice del rinvio provvederà a determinare la misura della pena evitando di incorrere nelle contraddizioni e nelle manifeste illogicità motivazionali rileva supra nel § 3.
Al rigetto dei ricorsi nel resto segue la irrevocabilità dell’affermazione dell responsabilità penale di entrambi gli imputati per il reato di cui all’art. 175 d.l n. 42 del 2004 loro ascritto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di
Messina. Rigetta i ricorsi nel resto.
Così deciso il 20/06/2025.