Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 26294 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 26294 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NICOSIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/10/2023 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Caltanissetta, pronunciando sul gravame proposto da NOME COGNOME, con sentenza del 25/10/2023, ha confermato la sentenza con cui il GUP del Tribunale di Enna, all’esito di giudizio di opposizione a decreto penale di condanna, lo aveva dichiarato responsabile del reato di cui al d.lgs. n. 285 del 1992, art. 186, comma 2, lett. b) e comma 2 sexies d. Igs. 285 del 1992, per aver circolato, alle ore 01,50, alla guida del veicolo TARGA_VEICOLO in stato di ebbrezza, in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche (accertamento eseguito a mezzo etilometro marca Drager mod. Alcoltest TARGA_VEICOLO MKIII matr. ARFZ-0151, con esito prima prova 1,40 g/I alle ore 02,26,51 e seconda prova 1,54 g/I alle ore 02,32); con l’aggravante di aver commesso il fatto dopo le 22,00. In Enna, il 13/11/2018.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, NOME COGNOME, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. Att. c.p.p., comma 1.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta inosservanza o erronea interpretazione della legge penale e la contraddittorietà, intrinseca ed estrinseca, della motivazione, quanto al contenuto della motivazione e del dispositivo ed erronea qualificazione dell’errore sulla diminuzione della pena, posto che la sentenza, pur riconoscendo che per mero errore, emendabile in sede di impugnazione, la pena inflitta dal primo giudice non era stata ridotta della metà come avrebbe dovuto essere, il dispositivo non aveva operato la correzione;
il ricorrente deduce che, nelle more, in data 13 novembre 2023, è intervenuta la prescrizione del reato, non impedita dalla proposizione del ricorso per cassazione relativamente al trattamento sanzionatorio;
2.2. con il secondo motivo, il ricorrente lamenta l’erronea valutazione di sussistenza di precedenti penali a carico dell’imputato ed il conseguente erroneo mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena;
il ricorrente rileva il contrasto tra la motivazione ed il certificato del casellari giudiziale in atti, la violazione e falsa applicazione degli artt. 25 Cost., 4 preleggi 163 e 164 cod. pen. In sostanza, ad avviso del ricorrente, i precedenti considerati non corrisponderebbero alle risultanze del certificato del casellario giudiziale in atti ed i decreti di archiviazione e le sentenze di assoluzione emessi ex art. 131 bis cod.pen. non avrebbero potuto essere assimilate alle statuizioni di condanna ai fini della negazione della sospensione condizionale della pena.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata con ogni ulteriore decisione di legge e sul caso.
Con memoria depositata il Procuratore generale ha concluso, chiedendo rettificarsi la pena e dichiarando inammissibile nel resto il ricorso.
In data 05/06/2024 l’AVV_NOTAIO, difensore del ricorrente, ha depositato memoria di replica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
È opportuno premettere che il reato contestato non è prescritto. Lo stesso risulta commesso in data 13 novembre 2018, e quindi dopo l’entrata in vigore della legge 23 giugno 2017, n. 103 (cd. legge Orlando), applicabile ai fatti commessi a decorrere dal 3 agosto 2017. Tale legge aveva modificato la previgente norma dell’art. 159, comma 2, cod. proc. pen, nonché introdotto la sospensione del corso della prescrizione: a) dal termine previsto dall’art. 544 cod. proc. pen. per il deposito della sentenza di condanna di primo grado, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza che definisce il grado successivo per un tempo, comunque, non superiore a un anno e sei mesi; b) dal termine previsto dall’art. 544 cod. proc. pen. per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di secondo grado, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza definitiva, per un tempo comunque non superiore a un anno e sei mesi.
L’art. 159, comma 2, cod. proc. pen., così come introdotto dalla suddetta legge, era stato, poi, riformulato dall’art. 1, comma 1, lett. e) n. 1 della legge gennaio 2019, n. 3 (c.d. legge Bonafede), che aveva introdotto, a decorrere dal 1° gennaio 2020, la disposizione per cui il corso della prescrizione rimane sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado, o dal decreto di condanna, fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o della irrevocabilità del decreto di condanna.
L’art. 159, comma 2, cod. proc. pen., è stato, infine, definitivamente abrogato dall’art. 2, comma 1, lett. a) della legge 27 settembre 2021, n. 134, che ha contestualmente introdotto l’art. 161-bis cod. pen., a norma del quale il corso della prescrizione cessa definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado. La stessa legge ha introdotto all’art. 344-bis cod. proc. pen. – per i soli reat commessi a far data dal 10 gennaio 2020 (ai sensi dell’art. 2 comma 3) l’improcedibilità dell’azione penale in caso di mancata definizione del giudizio di
appello e di cassazione entro il termine, rispettivamente, di due anni e di un anno, decorrenti dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto dall’art. 544 cod. proc. pen. eventualmente prorogato ai sensi dell’art. 154 disp. att. cod. proc. pen., termini prorogabili con ordinanza nei casi previsti dall’art. 344-bis, comma 4, cod. proc. pen.
Con riferimento alla diversa disciplina della prescrizione dettata dalla cd. legge Orlando e dalla c.d. legge Bonafede, il fenomeno della successione delle leggi penali nel tempo non può essere regolamentato dall’art. 2 cod. pen., posto che le leggi succedutesi contengono la previsione della loro applicabilità ai reati commessi a decorrere da una certa data.
Con riferimento alla applicabilità dell’istituto della improcedibilità (peraltro avente carattere processuale), è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 344-bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 2, comma 2, della legge 27 settembre 2021, n. 134, per contrasto con gli artt. 3, 25 e 111 Cost., nella parte in cui limita ai procedimenti relativi a reat commessi a far data dal 10 gennaio 2020 l’improcedibilità delle impugnazioni per superamento del termine di durata massima del giudizio di legittimità. Si è, in tal senso, ritenuto che la limitazione cronologica dell’applicazione di tale causa di improcedibilità, cui consegue la non punibilità delle condotte, sia frutto di una scelta discrezionale del legislatore, giustificata dalla diversità delle situazioni e risulti coerente con la riforma introdotta dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3, in materia di sospensione del termine di prescrizione nei giudizi di impugnazione, egualmente applicabile ai soli reati commessi a decorrere della suddetta data, essendo ragionevole la graduale introduzione dell’istituto per consentire un’adeguata organizzazione degli uffici giudiziari (Sez. 3, n. 1567 del 14/12/2021, dep. 2022, lana, Rv. 282408-01).
La successione di leggi penali nel tempo, verificatasi con l’abrogazione da parte della Riforma Cartabia dell’art. 159, comma 2, cod. pen., così come introdotto dalla legge Orlando, e la speculare introduzione dell’art. 161-bis cod. pen. – che fa cessare il corso della prescrizione definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado – è, invece, disciplinato dall’art. 2 cod. pen., in carenza di previsione di una espressa normazione speciale. Pertanto, deve essere ritenuta disciplina più favorevole quella dettata dalla legge Orlando, per la quale, anche dopo la pronuncia della sentenza di primo e di secondo grado, decorre il termine di prescrizione, sia pure con periodi di sospensione.
Ne deriva, quindi, l’operatività di diversi regimi di prescrizione, da ritenersi applicabili in ragione della data del commesso reato, ed in particolare: per i reati commessi fino al 2 agosto 2017, si applica la disciplina della prescrizione dettata dagli artt. 157 e ss. cod. pen., come riformulati dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251 (c.d. legge Cirielli); per i reati commessi a far data dal 3 agosto 2017, fino al 31 dicembre 2020, si applica la disciplina della prescrizione come prevista dalla legge 23 giugno 2017, n. 103 (c.d. legge Orlando), con i periodi di sospensione previsti dall’art. 159, comma 2, cod. pen. nel testo introdotto da detta legge; per i reati commessi a far data dal 10 gennaio 2020, si applica in primo grado la disciplina della prescrizione come dettata dagli artt. 157 e ss. cod. proc. pen, senza conteggiare la sospensione della prescrizione di cui all’art. 159, comma 2, cod. pen, essendo stata abrogata tale norma dall’art. 2, comma 1, lett. a) della legge 27 settembre 2021, n. 134 e sostituita con l’art. 161-bis cod. pen. (c.d. Riforma Cartabia), e nei gradi successivi la disciplina della improcedibilità, per l’appunto introdotta da tale ultima legge.
Ed allora, essendo stato commesso il fatto oggetto del presente giudizio nel pieno vigore della c.d. legge Orlando, al termine massimo dovranno essere aggiunti un anno e sei mesi di sospensione della prescrizione, con l’effetto che, diversamente da quanto prospettato da parte del ricorrente, il reato in esame non è ancora ad oggi estinto per intervenuta prescrizione (Sez.4. n. 39170 del 2023, COGNOME).
È fondato il primo motivo relativo alla omessa riduzione della pena quale conseguenza del rito abbreviato prescelto dall’imputato. Ed invero, in caso di giudizio abbreviato, la diminuzione di un terzo della pena, originariamente prevista per tutti i reati dall’art. 442, co. 2, cod. proc. pen., è stata stabilita nella mis della metà per i reati contravvenzionali (come quello per il quale è stata affermata la responsabilità dell’odierno ricorrente), a seguito della modifica introdotta dall’art. 1, legge 23 giugno 2017, n. 103.
Il carattere tassativo di questa previsione nell’indicazione del quantum della riduzione non consente al giudice decisione diversa, spettando correlativamente all’imputato il diritto a vedersi decurtata la pena nella esatta dimensione prevista dalla legge. E l’inderogabilità dell’adempimento a tale obbligo è confermata dalla disposizione dell’art. 438, co. 6-ter, cod. proc. pen., per la quale il giudice del dibattimento, ove all’esito dello stesso ritenga erronea la declaratoria di inammissibilità della richiesta di giudizio abbreviato pronunciata dal giudice dell’udienza preliminare ai sensi del precedente comma 1- bis, è tenuto ad
applicare la relativa diminuzione di pena. Dunque, nel caso che ci occupa, la pena per il reato contestato, che all’esito del diniego delle circostanze attenuanti generiche era stata quantificata in mesi due di arresto ed euro 900 di ammenda, doveva essere ridotta per il rito nella misura della metà e non di un terzo, vertendosi in ipotesi di reati contravvenzionali. Pertanto, la pena finale doveva essere correttamente determinata in mesi uno e giorno 15 di arresto ed euro 600 di ammenda.
A tanto si procede direttamente in questa sede, ai sensi dell’art. 620, lett. I), cod. proc. pen. come novellato dalla legge n. 103 del 2017, norma che attribuisce alla Corte di cassazione il potere di statuire – contestualmente all’annullamento senza rinvio, sul punto, del provvedimento impugnato – rideterminando la pena sulla base di una semplice operazione aritmetica che non richiede accertamenti in fatto (Sez. U, n. 3464 del 30 novembre 2017, Matrone, Rv. 271831, in ultimo Sez. U, n. 7578 del 17/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280539).
4. È infondato il secondo motivo.
In tema di sospensione condizionale della pena, anche dopo l’introduzione dell’art. 115-bis cod. proc. pen., teso a rafforzare la presunzione di innocenza in favore dell’indagato e dell’imputato, il giudice può fondare il giudizio prognostico di cui all’art. 164, comma primo, cod. pen. sulla capacità a delinquere dell’imputato desunta anche dai precedenti giudiziari ex art. 133, comma secondo, n. 2 cod. pen., afferendo i medesimi, indipendentemente dall’essersi tradotti in una condanna definitiva, alla condotta e alla vita del reo, antecedenti al reato ( Sez. 7, n. 30345 del 07/06/2023 ; Rv. 285098 – 01).
Nel caso di specie, la Corte di appello ha fatto riferimento ai precedenti penali a carico dell’imputato del 7 marzo 2018, per il reato di porto d’armi, e a un decreto di archiviazione del 19.11.2018 emesso dal GIP di Enna per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 che, per quanto emessi ai sensi dell’art. 131 bis cod.pen., denotavano la negativa personalità dell’imputato.
In definitiva, la sentenza impugnata deve, in conseguenza dell’accoglimento del primo motivo, essere annullata senza rinvio, limitatamente alla mancata riduzione alla metà e non al terzo della pena, mentre il ricorso va rigettato per il resto.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio che ridetermina in mesi uno e giorni undici di arresto ed euro quattrocentocinquanta di ammenda, rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2024.