Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 21269 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 21269 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CASARANO il 15/02/1976
avverso la sentenza del 20/09/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME udito il Procuratore generale, in persona della sostituta NOME COGNOME la quale ha depositato conclusioni scritte, concludendo in udienza per il rigetto del ricorso; udito, altresì, l’avv. NOME COGNOME del foro di Lecce per COGNOME NOMECOGNOME il quale ha depositato memorie, insistendo in udienza per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Lecce, rinnovata l’istruzione dibattimentale, ha riformato la sentenza del Tribunale di quella città, con la quale COGNOME NOME era stato assolto dal reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, condannandolo, previa esclusione dell’aggravante della ingente quantità e della recidiva qualificata, alla pena di anni otto e mesi sei di reclusione ed euro 35.000,00 d multa, unificati i reati nel vincolo della continuazione. Nella specie, si è contest al COGNOME di avere concorso (con il genero COGNOME NOME) nella detenzione di plurimi quantitativi di sostanze stupefacenti . L’accertamento era conseguito a un’attività di controllo delle forze dell’ordine che allertate da un andirivieni nei pressi di un terreno, avevano notato giungerv proprio il COGNOME alla guida di un’auto di proprietà del COGNOME e quest’ultimo scendere dal lato passeggero, lasciando lo sportello aperto, scavalcando il muro di cinta, avvicinandosi con atteggiamento guardingo al muro perimetrale, mentre COGNOME restava in attesa sul veicolo, dopo pochi minuti posizionandolo in modo da consentire una pronta ripartenza. Nell’occorso, il COGNOME era stato visto mentre svuotava un secchio, dal quale aveva prelevato degli involucri, facendo ritorno verso il muro perimetrale per raggiungere l’autovettura in attesa con i motore acceso. I militari intervenivano, recuperando gli involucri che il COGNOME, accortosi della loro presenza, aveva gettato a terra, dandosi alla fuga. Anche il COGNOME si era repentinamente allontanato alla guida dell’auto, mentre i militari procedevano al recupero della droga contenuta negli involucri, quindi inseguendo la vettura che il MOSCARA, a un certo punto, fermava per darsi alla fuga a piedi, fino a essere raggiunto e bloccato, dopo breve colluttazione, da alcuni operanti, nei cui confronti l’uomo pronunciava le parole “Ve la faccio pagare, non so e non c’entro niente con la droga”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2. Il difensore del MOSCARA ha proposto ricorso, formulando sei motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione quanto al ribaltamento della sentenza di primo grado, rilevando un errore della Corte territoriale che, nel disporre la rinnovazione dell’istruttoria, avrebbe però omesso di valorizzare le risultanze acquisite, addivenendo a una statuizione di condanna che si assume del tutto priva di correlazione con la disposta rinnovazione. Ha contestato l’affermazione secondo la quale il RAGIONE_SOCIALE sarebbe stato a lungo in sosta sulla vettura, lo stesso avendo affermato di essere rimasto solo cinque minuti; ha contestato la valutazione delle affermazioni fatte dall’imputato in sede di esame, rispetto alle quali ha rilevato l difforme interpretazione del Tribunale; ha rilevato l’inutilizzabilità delle dichiarazioni r dall’imputato alla polizia giudiziaria nell’immediatezza, assumendo la genericità delle
dichiarazioni del Maresciallo COGNOME e dei richiami operati a episodi intercorsi tra COGNOME e COGNOME dai quali non potrebbero trarsi elementi per scrutinare la penale responsabilità del ricorrente.
Con il secondo, ha dedotto violazione di legge, inosservanza di norme processuali e vizio della motivazione quanto alla ritenuta utilizzabilità delle dichiarazioni rese d COGNOME agli operanti nella immediatezza dei fatti, atteso che esse non erano state verbalizzate, ma solo richiamate nel verbale di arresto, a nulla rilevando la riconosciuta paternità delle parole da parte dell’imputato davanti al giudice d’appello.
Con il terzo, ha dedotto analoghi vizi quanto alla valutazione del silenzio quale elemento per affermare la penale responsabilità.
Con il quarto, ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione quanto al diniego delle generiche, per avere la Corte territoriale omesso di fornire congrua motivazione, limitandosi a pochi e lacunosi passaggi che il deducente ha considerato quali mere clausole di stile.
Con il quinto, ha dedotto analoghi vizi quanto al disconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114, cod. pen., la condotta del ricorrente essendosi innestat esclusivamente nella fase terminale dell’intera azione, non avendo egli partecipato in alcun modo alla fase dell’acquisto dello stupefacente e neppure a quelle del suo pagamento e occultamento, cosicché, ove egli si fosse astenuto dalla condotta, il COGNOME avrebbe comunque consumato il reato.
Infine, con il sesto motivo, ha dedotto analoghi vizi quanto alla dosimetria della pena, per non averla il giudice d’appello adeguatamente motivata, pur essendosi discostato dal minimo edittale.
Il Procuratore generale, in persona della sostituta NOME COGNOME, ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
Il difensore del COGNOME ha depositato memoria, chiedendo la cassazione della sentenza con ogni conseguenza di legge e successiva memoria di replica alle conclusioni del Procuratore generale, insistendo nelle medesime conclusioni.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile.
In primo luogo, deve rilevarsi la manifesta infondatezza del primo motivo,
La Corte del gravame ha proceduto alla rinnovazione istruttoria, conformemente al disposto di cui all’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., altresì fornendo della decisione di condanna una motivazione del tutto congrua, non contraddittoria e neppure manifestamente illogica, ma soprattutto allineata ai principi in materia di obbligo di motivazione raffor nell’ipotesi di ribaltamento di verdetto assolutorio, obbligo che deve essere necessariamente correlato alla stessa rinnovazione dell’istruttoria, correttamente disposta nella specie.
Corte del gravame, nel valutare l’appello della parte pubblica, ha autonomamente ricostruito la vicenda, attraverso i passaggi salienti delle fasi dell’azione, direttamente osservate da operanti, ritenendo del tutto incompatibili i con la tesi della mera connivenza passiva, se non addirittura della inconsapevolezza in capo al COGNOME degli affari condotti dal COGNOME in quei frangenti, alcuni specifici elementi che ha indicato in sentenza. In particolare, era rima accertato che il COGNOME non aveva semplicemente accompagnato il COGNOME, ma era rimasto ad aspettarlo con il motore acceso; ha ritenuto accertato che il blocco del COGNOME era avvenuto contro la sua volontà, egli avendo tentato di fuggire, non ritenendo credibil che ciò avesse fatto per paura di cadere vittima di un agguato, atteso che gli operanti avevano azionato immediatamente la sirena; ha ritenuto la frase rivolta minacciosamente nei confronti degli operanti confermata in sede di rinnovazione della prova in appello dallo stesso interessato, valutando come non credibile, oltre che smentita dalle affermazioni dei militar la spiegazione secondo cui la stessa era stata pronunciata in risposta a precisa domanda su dove fosse la droga, dal momento che gli operanti non avevano alcun interesse a chiedergli della droga, essendo stata la stessa già recuperata dopo che il CARACCIO se ne era liberato. Proprio attraverso detta frase, peraltro, la Corte d’appello ha ritenuto raggiunta la piena pro della consapevolezza dello scopo del viaggio in capo al ricorrente, essendo pure emerso da intercettazioni alle quali era stata sottoposta anche l’utenza del COGNOME, che quest’ultimo aveva accompagnato il CARACCIO dal fornitore e che i due avevano parlato di droga.
Alla stregua di tale ragionamento, con il quale, invero, la difesa ha omesso un effettivo confronto, deve affermarsi che la sentenza censurata contiene una compiuta indicazione delle ragioni per cui taluni elementi hanno assunto valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, avendo dato conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli atti e delle eccezioni difensive e, in definitiva, conferen decisione una forza persuasiva superiore (Sez. 6, n. 51898 del 11/7/2019, Rv. 278056, in cui, in motivazione, la Corte ha peraltro precisato che l’obbligo di motivazione rafforza prescinde dalla rinnovazione dell’istruttoria, prevista dall’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., in quanto trova fondamento nella mera necessità di dare una spiegazione diversa rispetto a quella cui era pervenuta la sentenza di primo grado). Tali principi sono espressione delle fondamentali garanzie di cui agli artt. 24, c. 2 e 111 Cost., quale diretto precipitato diritto vivente, delineatosi già con le Sezioni unite n. 33748 del 2005, COGNOME, (Rv. 231679), richiamate da Sezioni unite n. 14426/2019, COGNOME, secondo cui il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del propr alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, in modo da giustificare la riforma del provvedimento impugnato.
3. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
È già stato più volte chiarito che la nullità delle dichiarazioni rese senza le previst garanzie da soggetto che doveva sin dall’inizio essere sentito quale imputato non si estende al successivo interrogatorio nel quale il medesimo soggetto, nel rispetto delle
regole procedurali, le conferma, richiamandole per relationem, in quanto, non sussistendo connessione essenziale tra i vari interrogatori, non è applicabile la regola dettata dall’art 185, cod. proc. pen., sulla comunicazione della nullità di un atto a quelli successivi dipendenti e la nullità di uno di essi non fa venire meno il testo linguistico incorporato questo, che può essere richiamato successivamente dallo stesso soggetto (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271230; Sez. 2, n. 39716, del 12/7/2018, COGNOME, Rv. 273818 – 01; Sez. 1, n. 8401 del 10/12/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 242969; n. 46274 del 07/11/2007, Ditto, Rv. 238487). Trattasi di principi reiterati e ripresi anche più d recente: si è, per esempio, affermato, con riferimento all’incidente probatorio, che esso prescinde dai risultati dichiarativi precedenti ed è sottratto all’incidenza di eventuali v delle assunzioni testimoniali già espletate in sede di sommarie informazioni o di denuncia (Sez. 5, n. 36862 del 23/10/2020, E., Rv. 280138).
Orbene, la difesa ha del tutto omesso di confrontarsi (liquidando l’argomento con l’apodittica affermazione della sua non rilevanza) con quanto precisato dalla Corte a proposito del fatto che il COGNOME aveva ammesso, in sede di esame davanti alla stessa Corte d’appello, di avere pronunciato la frase riferita dal verbalizzante, dalla quale è stata tratta la prova della consapevolezza delle ragioni del viaggio effettuato con il COGNOME, avendo del resto spiegato con argomento del tutto logico l’assurdità di una domanda dei COGNOME sull’ubicazione della droga, in possesso del CARACCIO, i cui movimenti erano stati seguiti direttamente, sino al recupero della droga stessa.
4. Anche i restanti motivi sono manifestamente infondati.
Intanto, con riferimento al silenzio serbato dall’imputato in sede di convalida, la Corte d’appello ne ha fatto menzione nella parte in cui ha riportato il contenuto dell’atto di gravame del pubblico ministero, il quale aveva sollevato l’argomento logico del periodo (otto mesi) trascorso dalla convalida prima che gli imputati decidessero di rendere le dichiarazioni asseritannente liberatorie. Viceversa, la Corte ha valorizzato ben altri argomenti, di talché la censura deve ritenersi del tutto generica e formulata senza un effettivo confronto con il tenore della decisione .
Infine, sono manifestamente infondati anche i motivi. < inerenti al diniego delle generiche e dell'attenuante di cui all'art. 114, cod. pen. e alla dosimetria della pena.
Quanto al primo punto, i giudici del gravame, contrariamente a quanto asserito genericamente in ricorso, hanno giustificato il diniego delle generiche, valorizzando
elementi riconducibili ai parametri di legge, quali la gravità del fatto, la negati personalità dell'imputato e la condotta tenuta dopo il fatto, avendo la difesa omesso di considerare che la loro applicazione non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di esse (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590 – 01; Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME Rv. 283489 – 01, in cui si è precisato, di conseguenza, che esso può essere legittimamente motivato con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'art. 62 bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini del concessione di esse, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato). Inoltre, va ricordato che la "ratio" della disposizione di cui all'art. 62 bis cod. pen. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione (tra le altre, sez. 2 n. 3896 del 20/1/2016, COGNOME, Rv 265826; sez. 7 n. 39396 del 27/5/2016, Rv. 268475; sez. 2, n. 17347 del 26/1/2021, COGNOME, Rv. 281217). Indicazione nella specie esistente e insindacabile in questa sede siccome afferente ad apprezzamento discrezionale adeguatamente giustificato.
Parimenti, quanto alla attenuante di cui all'art. 114 x cod. pen., la Corte territoriale ne ha escluso la configurabilità, peraltro genericamente prospettata in forza di una inammissibile ricostruzione parcellizzata degli eventi osservati dagli operanti, giustificando la decisione in maniera del tutto coerente ai principi più volte affermati i sede di legittimità: intanto, non sussiste un dovere del giudice, a fronte di una richiesta di riconoscimento della circostanza attenuante prevista dall'art. 114 cod. pen., di fornire una motivazione esplicita in ordine al mancato riconoscimento, nel caso in cui sia stata posta in evidenza la gravità del fatto in relazione a tutti gli imputati, non operando alcuna distinzione tra il grado di efficienza causale delle condotte rispettivamente poste in essere rispetto alla produzione dell'evento (Sez. 6 n. 22456 del 03/03/2008, Rv. 240364 – 01; Sez. 2 n. 48029 del 20/10/2016, Rv. 268176 – 01). In ogni caso, per la sua configurabilità, è necessario che il contributo dell'agente si sia concretizzato nell'assunzione di un ruolo di rilevanza davvero marginale, cioè di efficacia causale così limitata rispetto all'evento, da risultare accessorio nel generale quadro del percorso criminoso di realizzazione del reato (Sez. 6, n. 24/11/2011, dep. 2012, Piccolo, Rv. 253091 – 01; Sez. 2, n. 835 del 18/12/2012, dep. 2013, Modafferi, Rv. 254051 – 01; Sez. 4, n. 49364 del 19/07/2018, Rv. 274037 – 01; Sez. 6, n. 34539 del 23/06/2021, Rv. 281857 – 01). Ciò che nella specie è stato escluso dalla Corte del gravame alla stregua del fatto che il COGNOME aveva fornito un contributo fondamentale, consistente nell'avere condotto il COGNOME presso il deposito della droga, avendolo aspettato in auto pronto per il successivo allontanamento, controllando nel contempo i paraggi.
Infine, l'ultimo motivo è del tutto generico, avendo la difesa semplicemente affermato che il discostamento dal minimo edittale avrebbe imposto un più pregnante
onere motivazionale, senza tuttavia spiegare perché tale pregnanza non sia rinvenibile nelle giustificazioni rinvenibili nella sentenza censurata: per l'individuazione della pen
base, infatti, sono stati valorizzati, ai sensi dell'art. 133 cod. pen., sia la gravità del r ricavata dalla qualità e quantità della droga in sequestro, sia l'intensità del dolo, sia
vita anteatta. Sul punto, soccorrono nuovamente i principi già affermati da questa Corte di legittimità, alla stregua dei quali va ricordato che una specifica e dettaglia
motivazione in merito ai criteri seguiti dal giudice si richiede nel caso in cui la sanzio sia determinata in misura prossima al massimo edittale o, comunque, superiore alla
media, risultando insindacabile, in quanto riservata al giudice di merito, la scelta implicitamente basata sui criteri di cui all'art. 133, cod. pen., di irrogare una pena
misura media o prossima al minimo edittale (Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, COGNOME,
Rv. 258356 – 01; Sez.2, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256464 – 01; Sez. 4, n.
21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197 – 01). Media edittale che va, peraltro calcolata non dimezzando il massimo previsto per il reato, ma dividendo per due il numero
di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale, aggiungendo il risultato così
ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288 – 01). Fuori da questo caso, anche l'uso di espressioni quali «pena congrua», «pena equa» o «congruo
aumento», come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, è sufficiente a far ritenere che il giudice abbia tenuto presenti, sia pur globalmente, criteri dettati dall'art. 133, cod. pen., per il corretto esercizio del potere discrezio conferitogli dalla norma in ordine al quantum della pena (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243 – 01; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196 – 01; Sez. 5, n. 9141 del 29/08/1991, Ormando, Rv. 188590 – 01).
Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero in ordine alla causa dell'inammissibilità (Corte cost. n 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Deciso il 28 maggio 2025