Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 17525 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 17525 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PESCARA il 21/05/1960
avverso la sentenza del 26/09/2024 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso e dell’avv. NOME COGNOME difensore dell’imputato, che ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
(Th
Con sentenza in data 12/2/2023, il Tribunale di Pescara assolse COGNOME NOME dal reato di cui all’art. 73 d.P.R. 209/90 per aver “coltivato, senza l’autorizzazione di cui all’art. 17, in un terreno ubicato in località INDIRIZZO, piantine di marijuana “.
Avverso la sentenza propose appello il PM lamentando che il Tribunale non aveva considerato che Picciano era stato sorpreso dagli operanti mentre usciva dalla piantagione e che le giustificazioni rese dall’uomo erano inverosimili. Propose appello incidentale la difesa che deduceva che l’appello era generico limitandosi a
ritenere inverosimili le dichiarazioni dell’imputato senza confrontarsi con gli altr elementi fondanti l’assoluzione
La Corte d’appello, dopo aver rinnovato l’istruttoria dibattimentale con l’escussione dell’ufficiale di PG che aveva condotto le indagini, ha ritenuto l’imputato colpevole del reato di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. 309/90 condannandolo alla pena di mesi nove di reclusione ed C “100 0 di multa”.
Avverso la decisione propone ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, lamentando, con il primo motivo, la violazione di legge “per non essere stata riconosciuta l’inammissibilità dell’appello del PM, in quanto generico e non rispondente ai criteri di specificità di cui agli artt. 581 e 591 cpp” Si deduce, ribadendo quanto esposto con l’appello incidentale, che l’appello si limitava a rilevare il contrasto esistente fra le dichiarazioni rese in sede di convalid dall’imputato e quelle rese dal M.NOME COGNOME senza considerare che: l’operante non aveva mai visto l’imputato coltivare la piantagione; le perquisizioni avevano dato esito negativo; la spiegazione alternativa data da COGNOME non risultava smentita da elementi di segno contrario.
3.1 Con il secondo motivo, si deduce la violazione di legge processuale. Si lamenta che in appello si era preceduto a escutere nuovamente Ronci, nonostante fosse stato già sentito dal Tribunale, e che la sentenza impugnata non soddisfaceva “l’onere della motivazione rafforzata”.
3.2 Con il terzo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 73 comma 5 d.P.R. 309/90. Si deduce, anche alla luce degli argomenti fondanti l’assoluzione, che il compendio probatorio non giustificava il giudizio di condanna.
3.4 Con ultimo motivo, si denuncia la violazione di legge e l’assenza di motivazione in relazione alla mancata applicazione dell’art. 131 bis cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Appare opportuno, nello sviluppo delle tematiche rimesse allo scrutinio di questa Corte, in presenza di un ribaltamento del giudizio di assoluzione della sentenza di primo grado operato dal giudice di appello, preliminarmente ripercorrere le linee portanti del ragionamento seguito dalla prima pronuncia: indagine questa che si profila come imprescindibile al fine di verificare la tenuta sul piano logico argomentativo della sentenza che ad essa si sovrappone, che, per essere tale, deve intessere una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle opposte conclusioni raggiunte.
Il Tribunale, pur dando atto che a carico dell’imputato esistevano una pluralità di indizi, ritenne dirimente che Picciano non era stato visto coltivare l’appezzamento di terra e non era stato trovato in possesso di droga.
Il verdetto di condanna dell’imputato si fonda sulle dichiarazioni rese da COGNOME che, ad avviso della Corte, provavano che: l’imputato si era recato più volte nella località dove si trovava la piantagione, risultando tale dato dal tracciamento reso possibile dal GPS installato sul motorino del prevenuto; l’imputato era stato sorpreso all’uscita da un sentiero “a poche decine di metri dalla piantagione”; le piantine di canapa indiana al momento in cui erano state rinvenute dai Carabinieri erano state da poco innaffiate, risultando umido il terreno nel quale erano piantate; il luogo ove era stata realizzata la piantagione era impervio e isolato, tanto che i militari erano stati costretti a raggiungerlo a piedi, non essendo possibile arrivarci con l’auto di servizio, e era ubicato molto distante dall residenza dell’imputato; l’imputato, al momento in cui era stato sorpreso dai militari, aveva dei sacchi di plastica in mano; la versione difensiva non era vera, “non apparendo verosimile un appuntamento in un luogo del genere, con una persona di cui non è stata fornita alcuna indicazione idonea ad identificarla”.
Nella ritessitura dei filamenti emersi dall’espletata istruttoria, arricchita dall’audizione ex novo dell’operante nel giudizio di secondo grado, i giudici distrettuali hanno, quindi, confutato le valutazioni del Tribunale ritenendo che le risultanze probatorie si coagulassero attorno all’ipotesi accusatoria, l’unica in grado di spiegare la reiterata presenza dell’imputato in quella località isolata e impervia, risultando palesemente inverosimile la versione difensiva, apparendo non compatibile con le caratteristiche del luogo e, comunque, priva di qualsivoglia elemento di conferma, e lo stato di fatto in cui si trovava il terreno dell piantagione al momento dell’intervento degli operanti.
Al di là di contestare l’esito del giudizio di appello, il ricorso non si confron in termini critici con la pronuncia impugnata di cui non viene enucleata alcuna frattura argomentativa o aporia logica o insufficienza espositiva all’interno del tessuto motivazionale. Il che non consente alcun sindacato ad opera di questa Corte, che è circoscritto alla sola analisi della coerenza strutturale della decisione di cui va saggiata la tenuta sotto il profilo logico-argomentativo e, dunque, alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato ai due requisiti che lo rendono insindacabile, ovverosia l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, esulando perciò dal sindacato di legittimità la ricostruzio dei fatti e l’apprezzamento della prova da parte del giudice di merito (Sez. 2, n. 21644 del 13/02/2013, COGNOME, Rv. 255542).
Il ragionamento probatorio della Corte territoriale, ancora, risponde al requisito della motivazione rafforzata confutando le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della decisione assolutoria, supplendo alla mancanza della prova diretta
dell’attività incriminata con un ragionamento inferenziale che ha desunto dalla pluralità delle informazioni disponibili, attraverso massime di esperienza di senso comune, la riferibilità della coltivazione a Picciano, risultando l’ipotesi dell’accu l’unica in grado di spiegare il compendio probatorio.
Deve, quindi, concludersi che la Corte territoriale ha reso una motivazione che sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dimostra l’insostenibilità sul piano logico e giuridico dell’argomento fondante la sentenza del Tribunale fornendo adeguata spiegazione della scelta operata e della maggiore considerazione accordata agli elementi di prova diversamente valutati.
La idoneità della sentenza impugnata a rispondere all’onere motivazionale gravante sul giudice di appello in caso di ribaltamento della decisione assolutoria consente di disattendere anche il primo motivo di impugnazione, prospettante la genericità del gravame del pubblico ministero, che quella diversa valutazione aveva perseguito rilevando gli errori che viziavano il ragionamento probatorio del Tribunale.
Alla mancata motivazione in ordine alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale sopperisce l’iter argomentativo della sentenza impugnata che perviene alla condanna attraverso l’attribuzione di una maggiore significatività alla deposizione di COGNOME già escusso dinanzi al Tribunale, così che la rinnovazione contestata trova implicita giustificazione nell’obbligo imposto dall’art. 603 comma 3 bis cod. proc. pen.
Inammissibile risulta l’ultimo motivo di impugnazione, non risultando dalla ricostruzione del giudizio di appello sintetizzata in sentenza che la difesa avesse chiesto, in caso di ribaltamento della sentenza assolutoria, il riconoscimento della causa di non punibilità invocata. Secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dall’odierno Collegio, “in tema di ricorso per cassazione, la regola ricavabile dal combinato disposto degli artt. 606, comma terzo, e 609, comma secondo, cod. proc. pen. – secondo cui non possono essere dedotte in Cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di uf in ogni stato e grado del giudizio o di quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello – trova la sua “ratio” nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso, non investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame.” (Cass. Sez. 4, sent. n. 10611 del 04/12/2012, dep. 07/03/2013, Rv. 256631).
Il motivo è, comunque, generico in quanto la doglianza non individua le ragioni legittimanti la pretesa applicazione della causa di non punibilità, non
potendo a tale fine rilevare l’esclusione della recidiva e la qualificazione in termin di fatto lieve, e di conseguenza, considerati anche i plurimi precedenti specifici a
carico dell’imputato di cui dà atto la Corte territoriale, la rilevanza decisiva del lacuna motivazionale denunciata.
7. Segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 2/4/2025