Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 43761 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 43761 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 01/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da Procura Generale presso la Corte di appello di Milano nel procedimento penale promosso nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME nato a Milano il 10 novembre 1964 avverso la sentenza della Corte di appello di Milano del 23 ottobre 2023 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME sentita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per la inammissibilità del ricorso sentito il difensore dell’imputato, avvocato NOME COGNOME che ha concluso nei termini di cui alla memoria difensiva già depositata
RITENUTO IN FATTO
1.NOME COGNOME è stato condannato dal Tribunale di Milano alla pena ritenuta di giustizia perchè ritenuto responsabile del reato di corruzione propria in atti
giudiziari realizzato in concorso con NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
In particolare, secondo l’assunto dell’accusa validato dal Tribunale, l’imputato, tramite Sisca, officiato della sua difesa per alcuni ricorsi proposti innanzi alla Commissione Tributaria di appello di Milano, in riferimento alla definizione dei detti ricorsi, avrebbe corrisposto ottomila euro al COGNOME, componente della detta Commissione, il quale a sua volta ne aveva destinati tremila alla Seregni, componente della specifica sezione che ebbe a trattare e definire i ricorsi in questione.
Interposto gravame, la Corte di appello di Milano, con la sentenza descritta in epigrafe ha assolto l’imputato appellante per non avere commesso il fatto, ritenendo l’assenza di validi elementi probatori a sostegno del ritenuto coinvolgimento del COGNOME nell’azione corruttiva posta in essere da Sisca, tali non potendosi considerare quelli valorizzati dal Tribunale, sia perchè suscettibili di valutazioni alternative dotate peraltro di maggiore pregnanza (in particolare, riguardo alla scelta dell’imputato di continuare il rapporto professionale con lo studio RAGIONE_SOCIALE malgrado l’accusa di corruzione che pativa pur essendone rimasto del tutto estraneo, fatto che sarebbe stato sintomatico, semmai, della buona fede dell’imputato); sia perché frutto di mere suggestioni logiche (l’affermata, dal Tribunale, inverosimiglianza della tesi della autonoma scelta di RAGIONE_SOCIALE di corrompere qualcuno con fondi propri nell’interesse di un terzo).
Il tutto a fronte di altri elementi a discarico non apprezzati dalla sentenza appellata, che smentivano piuttosto che supportare, il dato della compartecipazione del COGNOME all’accordo corruttivo tessuto da COGNOME e COGNOME (avuto riguardo, in particolare ., alle registrazioni di due colloqui, intervenuti presso lo studio Sisca dopo l’avviso di garanzia legato al procedimento che occupa, operata dal COGNOME e dalla di lui moglie all’insaputa dell’asserito concorrente, il cui contenuto scagionava l’appellante).
Propone ricorso la Procura Generale presso la Corte di appello di Milano e lamenta vizio di motivazione, illogica, contraddittoria e incompleta.
Muovendo dal presupposto della incontroversa sussistenza dell’accordo corruttivo occorso tra NOME COGNOME e la COGNOME, l’Ufficio ricorrente ribadisce l’assurdità logica di una corruzione realizzata senza la compartecipazione del centro di interessi in favore della quale la stessa sarebbe stata realizzata nonché l’assenza di un valido confronto argomentativo con le considerazioni spese in primo grado nel deprivare di genuinità la registrazione dei colloqui valorizzati
nella sentenza impugnata a sostegno del ribaltamento della condanna resa in primo grado.
Nell’interesse delle parti civili Presidenza del Consiglio dei ministri e Agenzia delle Entrate, l’Avvocatura distrettuale dello Stato, ribadendo la fondatezza dei motivi di ricorso, ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata.
La difesa dell’imputato ha trasmesso una memoria con la quale lamenta la inammissibilità del ricorso, generico e prospettato per motivi non consentiti, comunque infondati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non merita l’accoglimento per le ragioni precisate di seguito.
Giova in primo luogo ribadire che, anche in caso di esito assolutorio assunto in riforma della condanna resa in primo grado, il giudice di appello è tenuto a confutare in modo specifico e completo le argomentazioni poste a sostegno della valutazione di segno opposto resa con la prima decisione, dovendo per forza di cose scardinare l’impianto argomentativo-dimostrativo di una decisione assunta da chi ha avuto diretto contatto con le fonti di prova (in motivazione, S.U. n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta).
Più precisamente, è stato sottolineato (S.U. n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise), che, nel riformare la condanna pronunciata in primo grado con una sentenza di assoluzione, il giudice dell’appello deve confrontarsi con le ragioni addotte a sostegno della decisione impugnata, giustificandone l’integrale riforma senza limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della riformata pronuncia delle generiche notazioni critiche di dissenso, ma riesaminando, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito, per offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia adeguata ragione delle difformi conclusioni assunte.
2.1. Se, dunque, anche in caso di overturning che porti all’assoluzione, la motivazione che supporta la decisione deve certamente risultare connotata da uno sforzo argomentativo di stringente rilievo, va tuttavia escluso che siffatto onere assuma un profilo ponderale analogo a quello della riforma in senso condannatorio dell’assoluzione resa in primo grado.
L’obbligo di motivazione si atteggia, infatti, diversamente a seconda che si verta nell’ipotesi di sovvertimento della sentenza assolutoria ovvero di ribaltamento di una statuizione di condanna.
2.2.AI mutare della regola di giudizio che fonda il relativo esito decisorio, muta in coerenza l’intensità dello sforzo argomentativo da rendere: presunzione di innocenza e ragionevole dubbio nel giudicare impongono soglie probatorie asimmetriche in relazione alla diversa tipologia delle conclusioni da rendere sulla responsabilità dell’imputato; e tanto, oltre a rilevare sul diverso atteggiamento da tenere in ordine alla valutazione della prova dichiarativa, se decisiva rispetto all’epilogo decisorio, nell’ottica della necessaria rinnovazione istruttoria (indispensabile solo in caso di reformatio in peius), incide parimenti anche sul diverso portato che la motivazione deve assumere nel caso, quale quello di specie, di reformatio in melius della sentenza di condanna pronunciata in primo grado.
Mentre in caso di riforma della originaria sentenza di assoluzione al giudice d’appello si impone, quindi, l’obbligo di argomentare circa la plausibilità del diverso apprezzamento come l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano inficiato la permanente sostenibilità del primo giudizio; di contro, per il ribaltamento della sentenza di condanna, il giudice d’appello può limitarsi a giustificare la perdurante sostenibilità di ricostruzioni alternative del fatto, sulla base di un’operazione di tip essenzialmente demolitivo.
Non è dunque possibile “far confluire all’interno dell’indistinta locuzione “motivazione rafforzata” ogni ipotesi di ribaltamento della prima decisione, accomunandovi obblighi dimostrativi che hanno origine e finalità sostanzialmente differenti, perchè derivanti da una insuperabile asimmetria di statuti probatori necessariamente imposti dalla interazione della presunzione di innocenza e del canone del ragionevole dubbio con la peculiare tipologia di esito decisorio della pronuncia riformata” ( in termini la citata sentenza “Troise” delle Sezioni Unite).
3.Alla luce delle superiori coordinate, ritiene questa Corte che la sentenza impugnata non meriti le censure proposte dal ricorso, perché affronta e disattende gli snodi nevralgici del motivare sotteso alla condanna, pervenendo all’assoluzione secondo valutazioni di merito che sono state puntualmente argomentate in funzione di una corretta applicazione della regola di giudizio di cui all’ad 533, comma 1, cod. proc. pen.
Giova subito rimarcare che le due decisioni di merito muovono da una ricostruzione dei fatti a giudizio sostanzialmente sovrapponibile.
In particolare, anche quella di appello, dà per incontroversa la vicenda relativa alla corruzione dei due giudici tributari per la definizione di più ricorsi proposti d NOME COGNOME nell’interesse.di COGNOME; al contempo, in termini non differenti dalla sentenza appellata, dà parimenti atto della incontroversa insussistenza di
emergenze che attestino il materiale coinvolgimento dell’imputato nelle condotte poste in essere da Sisca nel definire il patto illecito occorso con COGNOME, anche sotto il versante della mera consapevolezza dei contatti intrattenuti dal primo con il secondo nell’ottica della definizione del contenzioso proposto per conto di Livera n i.
5.A fronte di una tale situazione in fatto cristallizzata dalle acquisizioni probatorie, a ben vedere, lé due statuizioni di merito divergono nel valutarne il portato inferenziale.
5.1. In primo grado si è essenzialmente fatto leva sulla inaccettabilità logica di una corruzione contratta e sostenuta economicamente solo da Sisca senza la partecipazione del soggetto nel cui interesse il patto illecito sarebbe stato concordato (per l’appunto il COGNOME).
In appello, di contro, si è ritenuto che tale giudizio di inverosimiglianza non potesse assurgere al rango di prova del coinvolgimento dell’asserito concorrente in assenza di elementi diretti ad attestarne concretamente il supporto anche solo morale all’altrui condotta materiale.
5.2. Considerazione, questa, contrastata dal ricorso, che, di contro, non pare censurabile nella sua stringente linearità logico giuridica.
Muovendo da un fatto noto (la corruzione realizzata da Sisca nell’interesse finale del cliente COGNOME), il primo giudice è pervenuto alla prova del fatto ignoto (il consapevole contributo anche solo morale garantito dall’odierno imputato) secondo un raccordo logico fondato sulla mera plausibilità che, in quanto tale, finisce per assumere un portato essenzialmente congetturale, che, in quanto tale, all’evidenza mal si attaglia alla regola dell’oltre ogni ragione dubbio, canone al quale occorre conformare l’accertamento dei fatti e il giudizio da rendere sulla responsabilità.
Quello valorizzato in primo grado, in altre parole, non rappresentava altro che uno spunto logico, una possibile chiave di lettura di altri momenti probatori, magari dal portato equivoco, quale possibile collante di una interpretazione complessiva dei dati acquisiti; ma noi” poteva e non può costituire il supporto logico essenzialmente fondante il giudizio di responsabilità concorsuale ascritto a Livera n i.
La sentenza di appello, del resto, ha anche messo in evidenza altri elementi diretti a sostenere il ribaltamento del giudizio di responsabilità reso in primo grado, rimarcando la non decisività logica di quelli valorizzati dal Tribunale nel supportare la condanna e segnalandone altri pretermessi dal primo giudice, da apprezzare quali prove a discarico.
6.1. In particolare, avuto riguardo al mantenimento del rapporto professionale con l’asserito concorrente RAGIONE_SOCIALE – ribadita da COGNOME malgrado l’acquisita consapevolezza dell’accusa loro comunemente mossa rispetto ai fatti di corruzione ora a giudizio-, la Corte del merito ha correttamente puntualizzato che il dato non assume nel caso valenza dirimente, perché suscettibile di più letture logiche, atteso che ben potrebbe essere valorizzato a sostegno della buona fede dell’imputato.
Il tutto secondo margini valutativi estranei a profili di incongruenza manifesta.
6.2. Sotto altro versante, si è evidenziato il mancato apprezzamento delle registrazioni operate da COGNOME e dalla moglie presso lo studio professionale di Sisca, che darebbero materialmente conto della estraneità del primo rispetto agli accordi illeciti intrapresi dal secondo.
Vero è che la sentenza di appello manca di affrontare con la dovuta puntualità il tema inerente alla dubbia genuinità di tali acquisizioni, in linea con quanto prospettato dal ricorso.
Vi è tuttavia che, a prescindere dalla forza logica delle relative considerazioni critiche esposte dall’Ufficio ricorrente, resta comunque da evidenziare che le dette acquisizioni altro non rappresentavano che un elemento a discarico, messo in discussione dal ricorso e dalla decisione di primo grado nella sua effettiva rilevanza probatoria a sostegno dell’assoluzione.
In quanto tale, l’eventuale carenza argomentativa mostrata sul punto dalla decisione gravata finisce per lasciare immutato il relativo giudizio finale, perché elemento non apprezzabile a supporto della prospettazione accusatoria, per altri versi non altrimenti sostenuta dalle relative acquisizioni probatorie, per quanto in precedenza evidenziato.
Da qui la ritenuta infondatezza dell’impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso il 1/10/2024.