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Riabilitazione speciale: buona condotta solo da liberi

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un individuo che chiedeva la riabilitazione speciale dopo essere stato sottoposto a sorveglianza. La Corte ha chiarito che il requisito della “buona condotta” deve essere dimostrato con prove costanti ed effettive di un cambiamento nello stile di vita, valutabili solo nel periodo in cui la persona è in piena libertà, e non durante la detenzione o l’affidamento in prova. Poiché il richiedente aveva commesso nuovi reati dopo la cessazione della prima misura di prevenzione, la richiesta è stata respinta.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Riabilitazione Speciale: La Buona Condotta si Dimostra Solo in Piena Libertà

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10013/2025, ha affrontato un tema cruciale nell’ambito delle misure di prevenzione: i requisiti per ottenere la riabilitazione speciale. Questo istituto, disciplinato dall’art. 70 del D.Lgs. 159/2011 (Codice Antimafia), permette di estinguere gli effetti pregiudizievoli delle misure di prevenzione personali. La Corte ha ribadito un principio fondamentale: la “buona condotta”, requisito essenziale per il beneficio, non può essere valutata durante il periodo di detenzione o di esecuzione di misure alternative, ma richiede una prova concreta e costante di ravvedimento in uno stato di piena libertà.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Riabilitazione Speciale

Il caso riguarda un individuo che, dopo aver terminato l’esecuzione di una misura di prevenzione della sorveglianza speciale, aveva presentato istanza per ottenere la riabilitazione. La sua richiesta era stata respinta sia in primo grado che dalla Corte d’appello. I giudici avevano rilevato che, anche dopo la cessazione della prima misura, il soggetto era stato nuovamente sottoposto a sorveglianza e aveva trascorso periodi in custodia cautelare e in esecuzione di pena. Durante questo tempo, secondo la difesa, avrebbe mantenuto una condotta ineccepibile. Tuttavia, i giudici di merito avevano ritenuto che il tempo trascorso in stato di restrizione della libertà non fosse utile a valutare la sussistenza del requisito della buona condotta.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando le decisioni precedenti. Il fulcro della decisione si basa sull’interpretazione del concetto di “buona condotta” e sul momento in cui questa può essere effettivamente accertata.

La nozione di “Buona Condotta” e il suo impatto sulla riabilitazione speciale

La Cassazione ha chiarito che la buona condotta richiesta per la riabilitazione speciale è qualcosa di più della mera assenza di nuove denunce o condanne. Essa implica una “valutazione della personalità” basata su “fatti e comportamenti sintomatici di un effettivo e costante rispetto delle regole della convivenza sociale”. In altre parole, il richiedente deve dimostrare di aver reciso i legami con il passato criminale e di aver adottato un modello di vita corretto. Questo processo di ravvedimento, per essere genuino e verificabile, deve manifestarsi quando la persona è libera da costrizioni esterne.

L’irrilevanza del periodo di detenzione

Secondo la Corte, il periodo trascorso in carcere o in misura alternativa non è rilevante ai fini del calcolo del tempo necessario per la riabilitazione. La ragione è logica: in un regime di detenzione, il comportamento è necessariamente condizionato dalle regole dell’istituto penitenziario. La vera prova del cambiamento si ha solo quando il soggetto, restituito alla “piena libertà”, sceglie spontaneamente di rispettare la legge. Nel caso specifico, la Corte ha sottolineato come l’individuo, dopo la fine della prima misura, avesse continuato a delinquere, commettendo truffe online e persino reati di evasione mentre era ai domiciliari. Questi comportamenti contraddicevano palesemente qualsiasi affermazione di avvenuto ravvedimento.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della Corte si fonda su una giurisprudenza consolidata. Il principio chiave è che il ravvedimento deve essere “processualmente certo e storicamente costante”. Non può essere presunto dalla sola mancanza di infrazioni durante la detenzione. È necessaria una prova positiva di un comportamento corretto e costante, che può essere valutata solo quando il soggetto è fuori dal “condizionamento conseguente al regime di detenzione”. La Corte ha evidenziato che i nuovi reati commessi dal ricorrente dopo la cessazione della prima sorveglianza speciale erano della stessa natura di quelli che avevano originariamente giustificato la misura, dimostrando l’assenza di un reale mutamento dello stile di vita. Pertanto, l’intervenuta revoca della seconda misura di prevenzione per cessata pericolosità sociale non era sufficiente a superare la prova negativa fornita dai suoi comportamenti precedenti.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce con fermezza che la riabilitazione speciale non è un automatismo che consegue al semplice trascorrere del tempo, ma un beneficio concesso a chi dimostra un cambiamento radicale e consolidato. La valutazione di tale cambiamento deve avvenire in un contesto di libertà, dove le scelte della persona non sono influenzate dalla restrizione. Questa decisione rafforza l’idea che le misure di prevenzione e i relativi istituti riabilitativi mirano a un recupero sociale effettivo, che deve essere provato con fatti concreti e non solo con l’assenza di violazioni in un ambiente controllato. Per chi aspira a questo beneficio, è quindi indispensabile dimostrare, una volta tornato libero, di aver intrapreso un percorso di vita nuovo e rispettoso della legalità.

Il tempo trascorso in carcere o in misura alternativa è valido per ottenere la riabilitazione speciale?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che il periodo di tempo trascorso in esecuzione di pena detentiva o in misura alternativa non è rilevante. La “buona condotta” richiesta deve essere provata quando il soggetto è restituito alla piena libertà.

Cosa si intende per “buona condotta” ai fini della riabilitazione speciale?
Non è sufficiente la semplice astensione dal commettere reati. La “buona condotta” implica una prova positiva, costante ed effettiva di un cambiamento dello stile di vita, con un rispetto concreto delle regole della convivenza sociale.

La revoca di una misura di prevenzione per “cessata pericolosità sociale” garantisce l’ottenimento della riabilitazione?
No, non è automatico. Nel caso specifico, anche se la misura di prevenzione era stata revocata, il ricorrente aveva continuato a commettere reati dopo la cessazione della prima misura, dimostrando di non aver mantenuto una condotta costantemente buona, requisito indispensabile per la riabilitazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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