Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 47358 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 47358 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a GROSSETO il 27/12/1983
avverso l’ordinanza del 18/07/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE di FIRENZE udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto annullarsi on rinvio il provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata nel preambolo, il Tribunale di sorveglianza di Firenze ha respinto l’opposizione proposta da NOME COGNOME avverso il provvedimento, in data 9 aprile 2024, con cui era stata dichiarata l’inammissibilità dell’istanza di riabilitazione.
A ragione osserva che non è decorso il termine di cui all’art. 179, primo e secondo comma, cod. pen., a mente del quale il termine per ottenere la riabilitazione è di almeno otto anni dal “giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o siasi in altro modo estinta .. se si tratta d recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell’articolo 99”.
L’istanza di riabilitazione è stata avanzata da COGNOME con riferimento alla sentenza di applicazione pena del Tribunale di Grosseto del 10 dicembre 2018, divenuta irrevocabile in data 28 dicembre 2018, che ha riconosciuto la recidiva reiterata specifica come contestata nel capo di imputazione. Non rileva in senso contrario che l’accordo tra le parti non specifichi alcunché in merito alla recidiva contestata né che il calcolo della pena non preveda un aumento correlato a tale aggravante. E’ sufficiente, alla luce dei due precedenti specifici annotati nel certificato del Casellario giudiziale, che la recidiva contestata non sia stata espressamente esclusa dal giudice procedente.
Ricorre COGNOME per il tramite del difensore di fiducia, articolando un unico motivo con cui deduce violazione degli artt. 178 e 179 cod. pen. nonché vizio di motivazione.
Lamenta che il ragionamento seguito dal Tribunale non sia rispettoso del principio del favor rei. Una volta accertato che la sentenza, nella parte motiva e dispositiva, oggetto di riabilitazione non consente di comprendere se il giudice della cognizione abbia escluso o riconosciuto la recidiva, l’ordinanza impuganta avrebbe dovuto propendere per l’interpretazione più favorevole al condannato, considerando quale termine per chiedere il beneficio quello più breve di tre anni previsto per le sentenze emesse nei confronti di soggetti non dichiarati recidivi. D’altra parte, tale interpretazione è l’unica conforme alla giurisprudenza di legittimità richiamata, che ha ripetutamente affermato che il termine di otto anni previsto per la presentazione della domanda di riabilitazione da parte recidivi non è applicabile se la recidiva non sia stata esplicitamente dichiarata nelle sentenze di condanna. E’ irrilevante il riferimento alle risultanze del Casellario giudiziale.
Con memoria tempestivamente depositata la difesa di COGNOME ha ribadito la fondatezza delle censure dedotte nel ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
L’art. 179, secondo comma, cod. pen. prevede che il termine minimo per la riabilitazione è di otto anni dal giorno in cui la pena principale è stata eseguita o è estinta “se si tratta di recidivi, nei casi preveduti dal capoverso dell’art. 99”.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che la previsione di tale termine, superiore a quello ordinario, trova applicazione solo se detta recidiva sia stata accertata con sentenza di condanna. (Sez. 1, n. 45768 del 25/11/2008, COGNOME, Rv. 242352; Sez. 1, n. 36751 del 17/09/2008, COGNOME, Rv. 241139).
In effetti, la recidiva, sia in quanto costituisce uno status personale dell’imputato, sia in quanto rappresenta una circostanza aggravante del reato, può essere presa in considerazione, a tutti gli effetti penali, solo se sia stata dichiarata dal giudice di merito.
Il principio non soffre eccezioni nell’applicazione dell’istituto della riabilitazione, attenendo pur sempre la decisione alla fase della esecuzione, che non consente l’esame o il riesame di situazioni e circostanze interdette a seguito della formazione del giudicato (Sez. U, n. 2 del 23/01/1971, Piano, Rv. 118018).
In quest’ottica, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha precisato che le preclusioni connesse al decorso del tempo previste nei riguardi di recidivi dai capoversi dell’art. 99 cod. pen., in relazione alla disciplina contemplata dall’art. 179 cod. pen., sono operative soltanto se la recidiva sia stata dichiarata nel giudizio di merito, non potendosi ritenere sufficienti, a tal fine, le semplici annotazioni del certificato penale del casellario (cfr. Sez. 1, n. 36751 del 17/09/2008, Siciliano, Rv. 241139 – 01.).
Il principio in esame trova applicazione anche quando la recidiva è stata dichiarata con la sentenza resa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., che è equiparata alla sentenza di condanna e suppone un patteggiannento tra le parti, la cui legittimità è sottoposta alla verifica del giudice quanto alla insussistenza dei presupposti per la pronuncia di una sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 1836 del 13/09/2022, dep. 2023, COGNOME Rv. 284040 – 01; Sez. 1, n. 4688 del 10/01/2007, dep. 06/02/2007, COGNOME, Rv. 236622).
Perché sia operativo il termine più lungo di cui all’art. 179 secondo comma, cod. pen. è sufficiente che lo scrutinio sulla recidiva da parte del giudice di merito emerga dal corpo motivazionale della sentenza. Ciò che rileva è che la recidiva sia stata ritenuta e considerata (anche solo per ritenerla equivalente nel giudizio ex art. 69 cod. proc. pen.) nel calcolo del trattamento sanzionatorio. Non è invece necessario che (della recidiva medesima) si faccia menzione nel dispositivo dove è richiesta invece la sola indicazione della pena complessiva.
Il Tribunale non ha fatto corretta applicazione dei ricordati principi ritenendo operante la preclusione temporale di cui all’art. 179, secondo comma, cod. pen. anche nel caso di recidiva contestata ma non espressamente riconosciuta né nel dispositivo né nella motivazione e nemmeno nella determinazione della vik pena, che non comprende l’aumento mino di due terzi.
Per quanto qui osservato, l’ordinanza impuganta deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Firenze che riesaminerà l’istanza applicando i principi indicati.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Firenze. Così deciso, in Roma 7 novembre 2024.