Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 2095 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 2095 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Spoleto il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa il 27/06/2023 dal Tribunale di sorveglianza di Roma lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 13 giugno 2023 il Tribunale di sorveglianza di Roma, pronunciandosi sull’opposizione proposta da NOME COGNOME, ai sensi dell’art. 667, comma 4, cod. proc. pen., per quanto di interesse ai presenti fini, rigettava la richiesta di riabilitazione presentata dal condannato in relazione alle sentenze irrevocabili emesse dal Tribunale di Roma nelle date del 13 maggio 1998, del 10 aprile 2000 e del 19 maggio 2003.
Il rigetto dell’opposizione proposta da COGNOME, quanto alle sentenze irrevocabili emesse nelle date del 13 maggio 1998 e del 19 maggio 2003, veniva pronunciato dal Tribunale di sorveglianza di Roma sull’assunto che il condannato non aveva fornito la prova di avere soddisfatto i creditori delle procedure fallimentari relative alla società RAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALE rendendosi inottemperante alle prescrizioni imposte dall’art. 179, quarto comma, n. 2, cod. pen.
Quanto, invece, alla sentenza irrevocabile del 10 aprile 2000, riguardante la procedura fallimentare relativa alla società RAGIONE_SOCIALE, il rigetto dell’opposizione veniva giustificato dal fatto che, con ordinanza emessa dalla Corte di appello di Roma il 18 aprile 2014, era stata revocata la sospensione condizionale della pena concessa al condannato per il reato di bancarotta collegato a tale fallimento, che rendevano evidente l’insussistenza dei presupposti previsti dall’art. 179, primo comma, cod. pen. per la concessione del beneficio riabilitativo.
Avverso questa ordinanza NOME AVV_NOTAIO, a mezzo dell’AVV_NOTAIO, proponeva ricorso per cassazione, articolando, mediante tre correlate censure difensive, la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato.
Si deduceva, in particolare, quanto alla sentenza irrevocabile emessa dal Tribunale di Roma il 13 maggio 1998, che la giustificazione addotta dall’opponente era diversa da quella indicata nel provvedimento impugnato, atteso che il condannato aveva evidenziato l’impossibilità di individuare i creditori del fallimento della società RAGIONE_SOCIALE e, al contrario di quant affermato dal Tribunale di sorveglianza di Roma, non aveva fatto riferimento all’indisponibilità delle risorse economiche necessarie per adempiere alle obbligazioni civili derivanti dal reato, ai sensi dell’art. 179, quarto comma, n. 2, cod. pen.
Quanto, invece, alle sentenze irrevocabili pronunciate dal Tribunale di Roma nelle date del 10 aprile 2000 e del 19 maggio 2003, riguardanti le procedure
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fallimentari relative alla società RAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALE, nel respingere l’opposizione, non si era tenuto conto dell’inadeguatezza delle risorse reddituali di cui disponeva il ricorrente, attestata dalla documentazione allegata all’istanza originaria, che non gli consentivano di soddisfare i creditori.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato.
Occorre premettere che l’istituto della riabilitazione, così come prefigurato dall’art. 179 cod. pen., si caratterizza rispetto alle cause di estinzione del reato o della pena per un connotato di efficacia generale e residuale, in quanto è astrattamente idoneo a estinguere anche tutti gli effetti della condanna per cui lo stesso è intervenuto.
L’istituto riabilitativo, infatti, mira alla reintegrazione del condannato nel capacità giuridica rimasta menomata, conseguita mediante l’estinzione delle pene accessorie e degli altri effetti penali derivanti dalla condanna dell’imputato. Ne consegue che la riabilitazione è ammissibile tutte le volte in cui il condannato abbia mostrato di essersi ravveduto, serbando buona condotta e astenendosi dal compiere ulteriori atti riprovevoli, non essendo, invece, necessario che ponga in essere comportamenti positivi di valore morale indicativi di volontà di riscatto dal passato.
L’art. 179 cod pen. richiede due condizioni positive, ontologicamente diverse e indipendenti, attenendo, l’una, a un profilo temporale, l’altra, a un profilo comportamentale. Tali condizioni sono rappresentate dal decorso di tre anni – otto per i recidivi, nei casi previsti dai capoversi dell’art. 99 cod. pen. dal giorno dell’esecuzione della pena principale irrogata all’imputato ovvero dell’estinzione della stessa e l’avere dato prova effettiva e costante di buona condotta.
Ai fini della verifica del requisito della buona condotta, che deve consistere in fatti positivi e costanti di ravvedimento, la valutazione del comportamento tenuto dall’interessato deve comprendere non solo il periodo minimo di tre anni dall’esecuzione o dall’estinzione della pena inflitta, ma anche quello successivo, fino alla data della decisione sull’istanza (tra le altre, Sez. 1, n. 1274 del 2 febbraio 1996, Politi, Rv. 204698 – 01).
L’attivarsi del reo al fine dell’eliminazione, per quanto possibile, di tutte l conseguenze di ordine civile derivanti dalla condotta criminosa costituisce la condizione imprescindibile per l’ottenimento del beneficio anche nel caso in cui nel processo penale sia mancata la costituzione di parte civile e non vi sia stata, conseguentemente, alcuna pronuncia in ordine alle obbligazioni civili conseguenti al reato (tra le altre, Sez. 5, n. 6645 del 27 novembre 1998, dep. 1999, Marchesini, Rv. 212150 – 01).
Deve, infine, evidenziarsi, che tra le obbligazioni civili derivanti dal reato che il condannato deve soddisfare per ottenere la riabilitazione, ex art. 179 cod. pen., deve essere compresa anche quella del pagamento delle spese processuali, che deve essere soddisfatta nel rispetto della regola della solidarietà. Pertanto, tra i condannati per lo stesso reato o per reati connessi, l’obbligazione non si estingue con il pagamento pro quota, ma con il pagamento dell’intero ammontare delle spese processuali (tra le altre, Sez. 1, n. 18030 del 26 gennaio 2006, Condello, Rv. 234438 – 01).
Tanto premesso, deve anzitutto ritenersi corretto il rigetto dell’istanza di riabilitazione formulata da NOME COGNOME in relazione alle sentenze irrevocabili di condanna pronunciate nei suoi confronti dal Tribunale di Roma il 13 maggio 1998 e il 10 aprile 2000, riguardanti i fallimenti delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
Si consideri che, in entrambi i casi, COGNOME si limitava a censurare il fraintendimento processuale nel quale era incorso il Tribunale di sorveglianza di Roma, che aveva sovrapposto il fallimento dei due enti societari, senza indicare le ragioni per cui non aveva provveduto a soddisfare i creditori di tali procedure fallimentari, che costituiva il nucleo essenziale del diniego della riabilitazione invocata dal ricorrente.
Rispetto a tali profili decisori, con i quali la difesa del ricorrente non confrontava, priva di rilievo appare la questione della distinzione tra il fallimento della società RAGIONE_SOCIALE e quello della società RAGIONE_SOCIALE, atteso che in entrambe le procedure fallimentari i creditori erano rimasti insoddisfatti, non essendosi il ricorrente attivato, come prescritto dall’art. 179, sesto comma, n. 2, cod. pen. per adempiere alle «obbligazioni civili derivanti dal reato ». Ne consegue che il Tribunale di sorveglianza di Roma, per entrambe le procedure fallimentari, pacificamente riconducibili allo stesso COGNOME, rigettava l’istanza di riabilitazione invocata dal condannato sull’assunto che le obbligazioni civili che traevano origine dalle condanne non erano state soddisfatte e non si era fornita alcuna dimostrazione della condizione di indisponibilità reddituale del condannato, rilevante ex art. 179, sesto comma, n. 2, cod. pen.
A sostegno della correttezza della decisione adottata dal Tribunale di sorveglianza di Roma non si può che richiamare la giurisprudenza di legittimità, da tempo consolidata, secondo cui nelle ipotesi «di riabilitazione, qualora sia certa ed incontestata la percezione di un reddito da parte dell’interessato, quest’ultimo deve dimostrare quantomeno un suo intento risarcitorio in misura compatibile con le proprie entrate e per l’ipotesi in cui egli assuma un’inesigibilità assoluta è tenuto ad allegare elementi oggettivi concernenti gli introiti disponibili ed il carico familiare: solo in tal modo è consentito al giudice di merito i necessario controllo circa la ricorrenza della condizione posta dall’articolo 179, comma quarto, n. 2, cod. pen. per la concessione del beneficio in questione» (Sez. 5, n. 5048 del 21/10/1998, G., Rv. 215631 – 01).
Si muove, del resto, nella stessa direzione il seguente principio di diritto: «In tema di riabilitazione, l’assenza di reddito del condannato costituisce un’ipotesi di rimozione del limite alla concedibilità del beneficio, valutabile a sensi dell’art. 179, comma 6, n. 2, cod. pen., in quanto tale circostanza giustifica l’inadempimento delle obbligazioni civili da reato» (Sez. 1, n. 23359 del 11/05/2018, Rv. 273143 – 01).
Le considerazioni esposte impongono di ribadire l’infondatezza delle doglianze riguardanti il rigetto dell’istanza di riabilitazione presentata da NOME COGNOME in relazione alle sentenze irrevocabili di condanna pronunciate dal Tribunale di Roma il 13 maggio 1998 e il 10 aprile 2000, relative ai fallimenti delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
Ad analoghe conclusioni deve giungersi per il rigetto dell’istanza di riabilitazione presentata da NOME COGNOME per la condanna relativa al fallimento della RAGIONE_SOCIALE, pronunciata con la sentenza irrevocabile del Tribunale di Roma del 19 maggio 2003, a proposito della quale il ricorrente si limitava ad affermare di non essere stato in grado di soddisfare le obbligazioni civili derivanti dal reato, senza fornire un’adeguata dimostrazione delle condizioni di indisponibilità reddituale giustificative dell’inadempimento, ex art. 179, comma 1, cod. proc. pen.
A queste, pur dirimenti, considerazioni deve aggiungersi che, in questo caso, ostava alla concessione del beneficio invocato un ulteriore elemento processuale, costituito dal fatto che, con ordinanza emessa dalla Corte di appello di Roma il 18 aprile 2014, era stata revocata la sospensione condizionale della pena concessa al condannato in relazione alla sentenza in questione; sospensione condizionale i cui effetti processuali operavano ai sensi dell’art. 179, comma 1, cod. proc. pen., a tenore del quale la riabilitazione «è conceduta quando siano decorsi almeno tre anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o si
sia in altro modo estinta, e il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta»
Non può, in ogni caso, non rilevarsi, che la revoca della sospensione condizionale della pena concessa con la sentenza per la quale si invoca la riabilitazione impedisce di ritenere che il condannato abbia dato prova, effettiva e costante, di buona condotta, dovendosi, in proposito, richiamare il seguente principio di diritto: «A norma dell’art. 179 cod. pen. la riabilitazione può essere concessa quando, in presenza degli altri presupposti di legge, il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta. La condotta da considerarsi è quella successiva alla condanna, e la valutazione di essa non può fondarsi sui precedenti penali dell’arrestato» (Sez. 1, n. 1274 del 27/02/1996, Politi, Rv. 204698 – 01).
Queste ragioni impongono di ribadire l’infondatezza della doglianza riguardante il rigetto dell’istanza di riabilitazione formulata da NOME COGNOME i relazione alla sentenza irrevocabile di condanna pronunciate dal Tribunale di Roma 19 maggio 2003, relativa al fallimento della RAGIONE_SOCIALE.
Le considerazioni esposte impongono conclusivamente il rigetto del ricorso proposto da NOME COGNOME, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12 dicembre 2023.