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Riabilitazione penale: il risarcimento e il giudice

Un soggetto condannato per reati legati agli stupefacenti ha richiesto la riabilitazione penale dopo aver versato 500 euro a una comunità terapeutica. Il Tribunale di Sorveglianza ha rigettato l’istanza, ritenendo la somma esigua. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, stabilendo che il giudice, pur non dovendo quantificare l’esatto ammontare del danno, ha l’obbligo di spiegare in modo specifico perché la somma offerta è inadeguata, soprattutto quando il danno (alla salute pubblica) è di difficile quantificazione.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Riabilitazione Penale: Il Dovere del Giudice di Motivare sull’Inadeguatezza del Risarcimento

La riabilitazione penale rappresenta un istituto fondamentale del nostro ordinamento, un ponte verso il reinserimento sociale per chi ha scontato la propria pena e dimostrato un effettivo ravvedimento. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 19784/2024) ha fatto luce su un aspetto cruciale di questo percorso: il risarcimento del danno. La Corte ha stabilito un principio di grande importanza pratica, specificando gli obblighi del giudice di sorveglianza nel valutare l’adeguatezza della somma offerta dal condannato.

I Fatti del Caso

Un uomo, condannato in via definitiva per associazione finalizzata al narcotraffico e traffico di sostanze stupefacenti, ha presentato un’istanza per ottenere la riabilitazione penale. A dimostrazione del suo ravvedimento e come adempimento delle obbligazioni civili, aveva effettuato un bonifico di 500 euro a favore di una comunità terapeutica attiva nel recupero di tossicodipendenti. Sia il Magistrato che il Tribunale di Sorveglianza, tuttavia, hanno respinto la sua richiesta, giudicando l’importo versato come “esiguo” e quindi insufficiente a integrare un valido risarcimento del danno. L’interessato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando che il tribunale non avesse specificato le ragioni di tale inadeguatezza, né indicato una somma congrua.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza e rinviando la questione per un nuovo giudizio. Il punto centrale della decisione è che il giudice, pur non essendo tenuto a quantificare in modo preciso l’entità del danno risarcibile, ha il dovere di motivare in modo specifico le ragioni per cui ritiene inadeguata la somma versata dal richiedente.

Le Motivazioni: Il Principio della Quantificazione del Danno nella Riabilitazione Penale

La Corte ha ribadito che l’adempimento delle obbligazioni civili è una precondizione essenziale per la riabilitazione penale. Tuttavia, ha chiarito che il sistema non può creare una situazione di stallo per il condannato. Quando il danno è di difficile quantificazione, come nel caso dei reati legati agli stupefacenti dove la vittima è la collettività (danno alla salute pubblica), non si può pretendere dal richiedente un’offerta precisa se non vi sono richieste specifiche da parte di enti o creditori.

Il Ruolo Chiave del Giudice di Sorveglianza

In questo contesto, il ruolo del giudice diventa fondamentale. Se ritiene l’offerta insufficiente, deve fornire una motivazione che vada oltre la semplice affermazione di “esiguità”. Deve spiegare, almeno “in negativo”, perché quella specifica cifra non può essere considerata congrua, tenendo conto delle circostanze del reato e della situazione economica del condannato. Questo onere di motivazione è ancora più forte quando, come nel caso di specie, è lo stesso interessato a chiedere al giudice di indicare una somma adeguata. La mancata quantificazione del danno da parte di terzi o l’intrinseca difficoltà nel calcolarlo non può trasformarsi in un ostacolo insormontabile per chi aspira alla riabilitazione, ma deve essere gestita dal giudice attraverso una valutazione motivata.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza rafforza le garanzie per chi richiede la riabilitazione penale. Si stabilisce che il rigetto di un’istanza per inadeguatezza del risarcimento non può essere basato su una valutazione generica e immotivata. Il giudice deve fornire al condannato elementi concreti per comprendere le ragioni della decisione, consentendogli eventualmente di integrare l’offerta. Si tratta di un principio di trasparenza e di equità, che bilancia l’esigenza di un effettivo ristoro del danno con il diritto del condannato, che ha dato prova di buona condotta, a veder cancellati gli effetti penali della condanna e a reinserirsi a pieno titolo nel tessuto sociale.

Per ottenere la riabilitazione penale è sempre necessario risarcire il danno?
Sì, l’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato è una precondizione essenziale, a meno che il condannato non dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempiere.

Se il giudice ritiene insufficiente la somma offerta come risarcimento, cosa deve fare?
Il giudice non può limitarsi a definire la somma “inadeguata” o “esigua”. Deve fornire una motivazione specifica, chiarendo almeno le ragioni per le quali il versamento effettuato viene valutato come insufficiente ai fini del ristoro del danno.

Cosa succede se il danno derivante dal reato è difficile da quantificare?
La difficoltà nel quantificare il danno, come nel caso dei reati in materia di stupefacenti dove la vittima è la collettività, non può impedire la riabilitazione. Anzi, proprio in questi casi, il giudice ha un dovere ancora più stringente di motivare la sua valutazione sulla congruità dell’offerta risarcitoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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