Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 36921 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 36921 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 16/04/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di BRESCIA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, ASSUNTA COGNOME, che ha richiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 16 aprile 2024, il Tribunale di sorveglianza di Brescia ha respinto l’opposizione proposta da NOME COGNOME avverso l’ordinanza dello stesso Tribunale che aveva rigettato la richiesta di riabilitazione da costui avanzata con riferimento alle condanne suo carico emesse dal Tribunale di Napoli in data 03/02/2009 per resistenza a pubblico ufficiale e dalla Corte di appello di Napoli in data 30/03/2010 per concorso in furto.
Il Tribunale ha ritenuto che alla mancanza del requisito del risarcimento del danno, al quale l’istante non aveva proceduto, non potesse sopperirsi con una generica disponibilità ad eventuali prestazioni in favore di indeterminati enti od opere di beneficienza, peraltro dichiarata dal difensore e non direttamente dal COGNOME. Tanto più alla luce del fatto che il COGNOME risultava lavorare da circa dieci anni e percepire da ultimo uno stipendio discreto di C 1.500,00 mensili.
Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore di NOME COGNOME denunciando, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b), cod. proc. pen., erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 179, comma 6 n. 2, cod. pen.
A fronte della concreta impossibilità di procedere all’adempimento delle obbligazioni civili per la natura dei reati commessi e per l’irreperibilità dell persona che aveva subito il furto, il Tribunale di sorveglianza non aveva tenuto conto del fatto che le disponibilità economiche del COGNOME erano assai limitate e la mancata concessione della riabilitazione nonostante il lungo periodo di buona condotta trascorso dalla data di commissione dei fatti gli precludeva il reinserimento sociale.
Il Procuratore Generale ha chiesto di rigettare il ricorso, perché il provvedimento è motivato in maniera congrua e adeguata. Il difensore ha insistito nel ricorso depositando memoria con allegate le sentenze in relazione alle quali si richiede la riabilitazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.
Com’è noto, ai fini della riabilitazione del condannato «l’adempimento dell’obbligazione risarcitoria, o comunque l’attivarsi del condannato al fine di eliminare tutte le conseguenze di ordine civile derivanti dal reato, costituisce condizione imprescindibile per la concessione del beneficio anche quando sia mancata nel processo la costituzione di parte civile e non vi sia stata alcuna pronuncia in ordine alle obbligazioni civili conseguenti al reato» (Sez. 1, n. 49446 del 07/11/2014, Rv. 261276-01); così come anche quando le parti civili non si siano mai attivate per richiedere al condannato un ristoro del pregiudizio subito (Sez. 1, n. 47347 del 30/11/2011, Rv. 251421-01).
In ogni caso «non ha efficacia liberatoria in ordine all’adempimento delle obbligazioni civili nascenti dal reato la mancata richiesta di risarcimento del danno da parte della persona offesa che non può essere considerata equivalente alla rinuncia» (Sez. 1, n. 35714 del 10/10/2006, Rv. 234903-01)
Tale condizione resta imprescindibile «a prescindere da qualsiasi ulteriore considerazione circa la struttura dell’illecito, quale reato di danno o di pericolo» (Sez. 1, n. 48148 del 18/11/2008, Rv. 242809-01).
Pertanto «il giudice è tenuto ad accertare se il condannato che richiede il beneficio si sia in qualche modo attivato al fine di eliminare le conseguenze
civilistiche derivate dalla sua condotta criminosa ovvero quali siano le ragioni per le quali il medesimo sia stato nella impossibilità di adempiere le obbligazioni civili nascenti dal reato ascrittogli» (Sez. 1 n. 4004 del 09/01/2014, Rv. 259141-01).
Ma nel valutare queste ragioni si dovrà tenere presente che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che «l’adempimento delle obbligazioni civili ha valore dimostrativo dell’emenda del condannato, onde la stessa non può essere concessa se il richiedente si sia limitato semplicemente ad affermare di non essere riuscito a reperire le parti offese, anche perché a tale impossibilità potrebbe ovviarsi mediante un’offerta reale» (Sez. 6, n. 1147 dell’08/03/2000, Rv. 216135-01).
In altre pronunce si è affermato che il mancato adempimento delle obbligazioni civili non può essere di ostacolo quando non vi sia un debito liquido ed esigibile, quantificato e dovuto ad una specifica persona offesa, se vi è comunque prova dell’iniziativa del condannato nel richiedere al giudice la determinazione di una somma da questi ritenuta congrua nel caso concreto e da versare ad enti esponenziali o a soggetti rappresentativi degli interessi lesi (cfr. Sez. 1, n. 19784 del 10/04/2024, Rv. 286401-01).
In ogni caso «sussiste a carico dell’interessato uno specifico onere probatorio di avere fatto quanto in suo potere per adempiere alle obbligazioni civili derivanti dal reato ovvero di dimostrare la impossibilità di adempiervi» (Sez. 1, n. 17952 del 30/03/2004, Rv. 228291-02). E «l’attivazione per l’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato non deve essere valutata solo alla stregua delle regole proprie del cod. civ., ma anche quale onere imposto al condannato in funzione del valore dimostrativo dell’emenda» (Sez. 1, n. 9755 del 27/01/2005, Rv. 231589-01), «in base al quale egli è tenuto alla dimostrazione dell’emenda e della condotta di ravvedimento successiva alla condanna.» (Sez. 1, n. 6704 del 12/12/2005, dep. 2006, Rv. 233406).
Infine va ricordato che «la dimostrazione, spettante al condannato e idonea a prevalere sull’onere all’adempimento stabilito dall’art. 179, ultimo comma n. 2, cod. pen., di non avere potuto adempiere le obbligazioni civili nascenti dal reato, deve fondarsi su dati oggettivi, relativi agli introiti disponibili e al carico famili e non può ritenersi raggiunta con un’autocertificazione generica, di contenuto valutativo, con la quale si faccia riferimento a un concetto di sufficienza delle entrate limitata al mantenimento della famiglia, implicante un giudizio meramente soggettivo che non consente al tribunale un controllo di conformità al vero» (Sez. 1, n. 7269 del 31/01/2006, Rv. 234073-01; analogamente Sez. 1, n. 10556 del 07/11/2018, de. 2019, Rv. 274887-01).
3. Il Tribunale di sorveglianza di Brescia buon governo di questi principi e le doglianze del ricorrente appaiono infondate.
La riabilitazione è stata richiesta in relazione ad una sentenza di patteggiamento che aveva inflitto una pena di mesi dieci di reclusione ed C 1.500,00 di multa per un reato di resistenza a pubblico ufficiale e ad un’altra sentenza di condanna ad anni tre, mesi uno e giorni venti di reclusione ed C 800,00 di multa per un reato di furto pluriaggravato.
Il ricorrente dinanzi al giudice di merito si è limitato ad allegare la circostanza della restituzione delle merce sottratta in occasione del furto alla persona offesa e dell’astratta difficoltà di reperirla (trattandosi di un autotrasportatore di nazionali tedesca), nonché la propria condizione reddituale insufficiente all’assolvimento dell’obbligo risarcitorio.
Non consta che egli si sia concretamente adoperato per una quantificazione del danno, né con riferimento al furto né tantomeno con riferimento al reato di resistenza a pubblico ufficiale per il quale pure deve ritenersi sussistente l’obbligo risarcitorio.
La difficile reperibilità della persona offesa del furto ed il suo disinteresse a risarcimento, come emerso nel paragrafo precedente, non possono assumere alcun rilievo ai fini della valutazione dell’impossibilità. Tantomeno rileva l’avvenuta restituzione della merce sottratta, che non esaurisce l’obbligo risarcitorio e che comunque è avvenuta nel corso del giudizio e non potrebbe essere valutata oggi come prova dell’emenda.
Infine la condizione economica del COGNOME non appare tale da pregiudicare in via definitiva e assoluta la possibilità di assolvere all’obbligo; la percezione d un pur modesto stipendio non può valere ad escludere la possibilità di uno sforzo riparatorio, anche da eseguirsi con rateazioni o differimenti, e non può in ogni caso giustificare – non esseno idonei nemmeno gli altri elementi a giustificarlo l’omissione di ogni utile iniziativa per quantificare un eventuale importo a titolo di risarcimento, da versare ai fini dell’emenda.
Il ricorso deve essere quindi respinto e la sua reiezione importa, a norma dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, I’ll luglio 2024 iMP DI CASSAZIONE Il Cons , igliere estensore
Il Presidente