Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 19724 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 19724 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata a Giurdignano il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza del 23/11/2023 del TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI LECCE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
lette le conclusioni del difensore della ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con provvedimento del 30 settembre 2022 il Tribunale di sorveglianza di Lecce ha dichiarato inammissibile l’istanza di riabilitazione presentata da NOME COGNOME. L’istanza è stata dichiarata inammissibile in quanto la condannata non ha provato di aver risarcito il danno erariale cagionato dalla condotta, di cui è stata giudicata responsabile, di emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti, di cui al capo C30) della imputazione.
Con ordinanza del 23 novembre 2023 il Tribunale di sorveglianza di Lecce ha respinto l’opposizione presentata dalla condannata.
Il Tribunale di sorveglianza ha respinto l’opposizione, in quanto ha ritenuto che, a differenza di quanto dedotto nell’opposizione, il reato di cui al capo C30) ha determinato l’esistenza di un danno risarcibile, atteso che l’emissione di fatture per operazioni inesistenti ha creato crediti i.v.a. fittizi in favore dei soggett destinatari delle fatture, e, quindi, evasione di imposta, cui ha concorso la condannata con la condotta di cui è stata giudicata responsabile.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso la condannata, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Con il primo motivo deduce vizio di motivazione, in quanto nell’ordinanza impugnata si fa un riferimento, generico e laconico, ad obblighi risarcitori in favore dello Stato, la cui esistenza risulta essere sconosciuta alla ricorrente, atteso che nessun organo dello Stato le ha mai chiesto di risarcire alcunchè; l’originario capo di imputazione non faceva riferimento alcuno a danni di natura patrimoniale nei confronti dello Stato, ma solo a danno a carico di RAGIONE_SOCIALE, cui si è provveduto a pagare quanto richiesto; nel capo C30) dell’imputazione si indicano le due fatture che la ricorrente ha emesso per operazioni inesistenti per un importo complessivo di 33.786,48 euro, ma non si indica un ipotetico danno a carico dello Stato.
Con il secondo motivo deduce assenza di riferimento normativo circa la sussistenza di obbligo risarcitorio nei confronti dello Stato per l’emissione di fatture per operazioni inesistenti; si evidenzia che l’unica richiesta avanzata nei confronti della condannata è stata quella di RAGIONE_SOCIALE, che è stata già adempiuta.
Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione, in quanto, ammesso che il reato di cui al capo C30) produca un danno risarcibile, gli obblighi risarcitori gravano in capo ai soggetti terzi che si sono giovati patrimonialmente di tali condotte; la stessa circostanza che l’imputata abbia potuto patteggiare senza che le fosse richiesto il pagamento di danni è indice che l’ordinanza non si attaglia alla realtà di quello che è stato il processo a carico della ricorrente.
Con requisitoria scritta, il Procuratore Generale, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
Con memoria scritta il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
Nel primo motivo il ricorso attacca la motivazione dell’ordinanza impugnata deducendo anzitutto che il soggetto danneggiato (ovvero, lo Stato) non ha mai chiesto alla ricorrente il risarcimento di tale danno, ma l’argomento è infondato.
La giurisprudenza di questa Corte si è espressa, infatti, fin da tempo risalente nel senso che “la mancata richiesta di risarcimento della persona offesa, non equivalendo a rinuncia, non può esplicare efficacia liberatoria in ordine all’omesso adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato che impedisce la concessione della riabilitazione” (Sez. 6, Sentenza n. 5445 del 16/12/1988, dep. 1989, COGNOME, Rv. 180276; conforme Sez. 1, Sentenza n. 357:14 del 10/10/2006, PG in proc. COGNOME, Rv. 234903; nel senso della irrilevanza, a tal fine, della mancata costituzione di parte civile nel processo v. anche Sez. 1, Sentenza n. 49446 del 07/11/2014, PG in proc. Ramirez, Rv. 261276).
Il ricorso attacca la motivazione dell’ordinanza impugnata deducendo, inoltre, che neanche nel capo di imputazione contestato alla ricorrente si era fatto riferimento a tale danno, ma anche questo argomento è infondato.
Secondo l’art. 417, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. il capo d imputazione della richiesta di rinvio a giudizio deve contenere “l’enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, con l’indicazione dei relativi articoli di legge” (per il decreto di citazione a giudizio del rito a citazione dirett l’art. 552, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. dispone nel medesimo modo).
In definitiva, nel capo di imputazione non è prevista l’indicazione del danno cagionato dal reato, talchè l’argomento contenuto nel motivo di ricorso si rivela del tutto eccentrico rispetto al sistema processuale.
Nel secondo motivo il ricorso attacca la motivazione dell’ordinanza impugnata deducendo che non esiste una norma che preveda un tale obbligo risarcitorio per questo tipo di reato, ma anche questo argomento è infondato.
La norma che prevede l’obbligo di risarcimento non va rintracciata nelle disposizioni incriminatrici di parte speciale, ma nell’art. 179, comma 6, cod. pen., che in linea generale, per ogni tipo di reato, dispone espressamente che “la riabilitazione non può essere conceduta quando il condannato (…) 2) non abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che dimostri di trovarsi nella impossibilità di adempierle”. Non serve,, pertanto, una specifica norma che preveda l’obbligo di risarcimento del danno per ottenere la riabilitazione dalla condanna per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, perché
l’obbligo deriva per questo, come per ogni altro reato, dalla regola generale appena citata.
Perché possa scattare la norma dell’art. 179, comma 6, cod. pen. citata, occorre, pertanto, soltanto che il reato per cui si chiede la riabilitazione abbia cagionato un danno ad un soggetto passivo.
Il ricorso sostiene che nella struttura del reato di cui all’art. 8 d.lgs. n 74 del 2000 non è contenuto il danno, Ma anche questo argomento, in realtà, è infondato.
La fattispecie penale dell’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, infatti, è un reato a consumazione anticipata, in cui il danno nei confronti dell’amministrazione finanziaria fa parte della fattispecie penale, sia pure non quale evento del reato, ma come dolo specifico dello stesso. La norma penale è costruita, infatti, in termini di “reato di pericolo o di mera condotta, perché il legislatore ha inteso rafforzare in tal modo la tutela, anticipandola al momento della commissione della condotta tipica (Sez. U, Sentenza n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248869).
Da ciò consegue che il reato è integrato anche con la mera emissione della fattura accompagnata dal dolo specifico di evasione, pur se poi l’evasione – e quindi il danno nei confronti dell’amministrazione finanziaria – non si verifica. In tal caso nulla c’è da risarcire agli effetti di cui all’art. 179, comrna 6, cod. pen.
Se, però, poi l’evasione si verifica, perché il destinatario delle fatture per operazioni inesistenti utilizza nelle proprie dichiarazioni fiscali i documenti contabili emessi dall’autore del fatto di cui all’art. 8, il reato, pur consumato già al momento dell’emissione della fattura, finisce con il cagionare un danno all’amministrazione finanziaria, il cui risarcimento deve essere valutato nel giudizio di cui all’art. 179, comma 6, cod. pen.
Il motivo è, pertanto, infondato.
Nel terzo motivo il ricorso attacca la motivazione dell’ordinanza impugnata deducendo che, al più, l’obbligo risarcitorio grava sui soggetti che hanno utilizzato le fatture inesistenti, ma l’argomento è infondato.
Non occorre confondere il soggetto passivo su cui grava l’obbligazione tributaria con il soggetto che ha cagionato, o ha concorso a cagionare, il danno all’amministrazione finanziaria.
L’obbligazione tributaria grava, infatti, sul soggetto individuato dalle singole norme tributarie (nel caso in esame, che riguarda l’i.v.a., in linea generale, e salvo deroghe per cessioni speciali di beni e servizi, dall’art. 17 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633) nei limiti del presupposto d’imposta definito dalle stesse (artt. 1 e 13 stesso decreto). Il danno il cui risarcimento deve essere valutato agli effetti di cui all’art. 179, comma 6, cod. pen., comprende, invece, in termini generali oltre il
danno patrimoniale in senso proprio, anche interessi e rivalutazione, le spe eventualmente sostenute per il recupero della somma, l’equivalente economico del tempo impiegato e degli oneri affrontati dalla persona offesa, nonché – qualo applicabile alla tipologia di fattispecie – l’eventuale danno morale (Sez. 1, n. 2 del 03/06/2010, Perfundi, rv. 247991). Si tratta, pertanto, di obbligazioni coincidenti.
Si tratta di obbligazioni non coincidenti, che neanche gravano necessariamente sulle stesse persone, posto che la solidarietà passiv nell’obbligazione tributaria ha limiti stringenti che sono definiti dalle singole n speciali (per l’iva v., ad esempio, art. 60-bis d.p.r. n. 633 del 1972), men sistema di responsabilità civile è informato alla solidarietà, che non è derogato caso in esame, atteso che il regime derogatorio previsto dall’art. 9 d.lgs. n. 7 2000 – che impedisce il concorso dell’emittente le fatture per operazioni inesiste nel reato di chi se ne avvale – esclude l’applicazione del principio solidaristico riferimento, però, alla responsabilità penale, ed alla consequenziale confisca p equivalente (Sez. 3, Sentenza n. 43952 del 05/05/2016, PM in proc. Sanna, Rv. 267925).
Il ricorso attacca, da ultimo, la motivazione dell’ordinanza impugnata deducendo di aver definito il proprio procedimento mediante applicazione pena senza che nulla sia stato disposto sul risarcimento di tale danno, ma l’argoment è infondato.
La giurisprudenza di questa Corte, infatti, ritiene che “in tema di riabilitazio l’attivarsi del condannato al fine dell’eliminazione, per quanto possibile, di tut conseguenze di ordine civile derivanti dalla condotta crirninosa ha valor dimostrativo della sua emenda e costituisce condizione irnprescindibile per l’ottenimento del beneficio, anche nel caso in cui nel processo penale non vi s stata pronuncia in ordine alle obbligazioni civili conseguenti al reato” (Sez Sentenza n. 7752 del 16/11/2011, dep. 2012, NOME, Rv. 252412).
Il motivo è, pertanto, infondato.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e processuali. o condanna la ricorrente al pagamento delle spese
Così deciso il 4 aprile 2024.