Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 189 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 189 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a LOCRI il 23/11/1977
avverso il decreto del 17/02/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso,
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 17 febbraio 2023, la Corte di appello di Catanzaro ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza, avanzata da NOME COGNOME di revocazione della confisca disposta dal Tribunale di Reggio Calabria, nell’ambito del procedimento di prevenzione originariamente promosso nei confronti di NOME e NOME COGNOME con decreto del 5 febbraio 2014, confermato dalla Corte di appello e divenuto irrevocabile il 13 dicembre 2021.
La Corte di appello ha, preliminarmente, dato atto del tortuoso iter del procedimento di prevenzione che, dopo l’adozione, in primo e secondo grado, di decreti di confisca, è regredito per effetto dell’annullamento disposto dalla Corte di cassazione che, con sentenza del 3 ottobre 2012, ha dichiarato la nullità del decreto del Tribunale, con ogni effetto consequenziale, in considerazione dell’omessa partecipazione all’udienza di trattazione dei proposti, i quali, essendo detenuti, avevano, a tal fine, rivolto espressa richiesta, rimasi:a inevasa.
Ha, quindi, ricordato che il procedimento iscritto presso il Tribunale a seguito della pronuncia della Cassazione si è concluso – previa declaratoria della perdita di efficacia del sequestro illo tempore disposto – con nuovo decreto di confisca, emesso il 5 febbraio 2014 e confermato dalla Corte di appello di Reggio Calabria con provvedimento del 7 aprile 2021, avverso il quale sono stati proposti ricorsi per cassazione, dichiarati inammissibili con sentenza n. 4811 del 13/12/2021.
La Corte di appello ha, subito dopo, esposto che, formatosi il giudicato, NOME COGNOME, erede di NOME, medio tempore deceduto, ha chiesto – stante l’impossibilità, unanimemente attestata dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le altre, Sez. 1, n. 46433 del 12/01/2017, Pelle, Rv. 271398 – 01), di attivare la procedura prevista dall’ad. 625-bis cod. proc. pen. – la revocazione, ai sensi dell’ad. 28 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, del decreto di confisca.
Con l’istanza introduttiva del presente procedimento, COGNOME ha dedotto la presenza, nella più recente decisione del giudice di legittimità, di due errori di fatto, vedenti, l’uno, sulla collocazione temporale della proposta finalizzata all’adozione del provvedimento ablativo (profilo rilevante in funzione dell’individuazione della normativa applicabile e del rispetto del termine perentorio di efficacia del sequestro) e, l’altro, sulla compromssione del diritto di difesa dell’originario proposto, NOME Ruga, conseguenza del suo decesso, verificatosi il 13 gennaio 2011 e, dunque, prima dell’instaurazione del, procedimento di prevenzione.
3. La Corte calabrese ha stimato l’inammissibilità della richiesta di NOME COGNOME il cui oggetto ha ritenuto del tutto incompatibile con l’istituto della revocazione della confisca, che, per espressa previsione normativa, risulta attivabile unicamente: a) in caso di scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento; b) quando i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludano in modo assoluto l’esistenza dei presupposti di applicazione della confisca; c) quando la decisione sulla confisca sia stata motivata, unicamente o in modo determinante, sulla base di atti riconosciuti falsi, di falsità nel giudizio ovvero di un fatto previsto dalla legge come reato.
Al riguardo, ha ricordato che la revocazione non può essere utilizzata per far valere vizi che, essendosi verificati, in ipotesi, nel corso del procedimento di prevenzione, avrebbero dovuto essere dedotti mediante la proposizione delle impugnazioni ordinarie.
Ha, comunque, sancito l’insussistenza, nel merito, delle nullità denunciate, atteso:
-che l’inefficacia del sequestro non preclude l’adozione della confisca, alla cui definitività consegue l’apprensione coattiva dei beni assoggettati ad ablazione;
-che l’annullamento dell’originario decreto di confisca e la conseguente declaratoria di inefficacia del sequestro hanno indotto la rinnovazione della richiesta di emissione del provvedimento cautelare, ma non anche l’instaurazione di un procedimento di prevenzione diverso da clKquello>” introdotto dall’unica proposta, depositata prima dell’adozione del decreto di sequestro dell’8 giugno 1998, mai caducata né travolta dalla dichiarazione di nullità, sicché, tenuto conto della norma transitoria dettata dall’art. 117, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, la fattispecie resta soggetta all’applicazione della previgente disciplina;
-che, pertanto, è del tutto fisiologico, perché previsto dall’art. 2-bis, comma 6-bis, della legge 31 maggio 1965, n. 575, che il procedimento di prevenzione, instaurato a carico, tra gli altri, di NOME COGNOME sia proseguito, alla sua morte, nei confronti dell’erede.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato a due motivi, dei quali si darà conto, in ossequio a quanto indicato all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
4.1. Con il primo motivo, lamenta violazione di legge, processuale e sostanziale, e vizio di motivazione per avere la Corte di appello indebitamente escluso che, nel procedimento di prevenzione, eventuali errori di fatto verificatisi in itinere possano essere fatti valere attraverso l’istituto della revoca e, dopo l’introduzione del c.d. «codice antimafia», quello della revocazione.
Segnala, nel merito, che la Corte di cassazione è caduta in errore laddove ha omesso di considerare che la proposizione, il 5 febbraio 2014, di una nuova richiesta di sequestro ha determinato l’avvio di un autonomo procedimento di prevenzione, soggetto alla disciplina dell’art. 27 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, in forza della quale avrebbe dovuto dichiarare la perdita di efficacia della confisca, oltre che del sequestro, per superamento, a far data dalla pronuncia di primo grado e fino a quella di appello, del termine massimo di un anno e sei mesi.
4.2. Con il secondo motivo, NOME COGNOME si duole, ancora nella prospettiva della violazione di legge, sostanziale e processuale, e del vizio di motivazione, che il procedimento suggellato dalla confisca definitiva si sia svolto in palese pregiudizio del diritto di difesa dell’originario proposto, ormai deceduto nel momento in cui, sanato il vizio che aveva determinato l’annullamento dei primi provvedimenti ablativi, è stato compiuto, in modo finalmente ortodosso, l’accertamento a cui egli non ha potuto dare il proprio decisivo contributo.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché vedente su censure manifestamente infondate.
I temi introdotti da NOME COGNOME con la richiesta di revocazione e reiterati, stante l’esito sfavorevole della decisione della Corte di appello, con il ricorso per cassazione sono stati affrontati e risolti dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 4811 del 13/12/2021.
Nel dichiarare la manifesta infondatezza del motivo articolato, in punto di perdita di efficacia del decreto di confisca, da altri ricorrenti, il giudice legittimità ha osservato, in premessa, che «l’art. 27, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011 stabilisce che “in caso di appello, il provvedimento di confisca perde efficacia se la corte d’appello non si pronuncia entro un anno e sei mesi dal
deposito del ricorso”, norma che è stata interpretata nel senso che entro tale termine va depositato il decreto motivato e non il solo dispositivo (così, tra le altre, Sez. 6, n. 52774 del 10/11/2016, COGNOME, Rv. 268437)».
Subito dopo, ha aggiunto, tuttavia, che detta disposizione «non è applicabile a tutti i procedimenti nei quali il decreto motivato della Corte di appello sia stato emesso dopo la data del 13 ottobre 2011 di entrata in vigore del suddetto d.lgs., in quanto il legislatore della novella, con una apposita norma transitoria contenuta nell’art. 117, comma 1, dello stesso decreto, ha stabilito che “le disposizioni contenute nel libro I non si applicano ai procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sia già stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione. In tali casi, continuano ad applicarsi le norme previgenti”».
La Corte di cassazione ha, quindi, reputato che «E’ a tale norma transitoria che, in una vicenda processuale certamente complicata anche per effetto dell’annullamento disposto da questa Corte nell’anno 2015 e dal nuovo provvedimento di sequestro (ri)adottato dalla Corte competente nell’anno 2014 oltre che per la protrazione del giudizio di rinvio, occorre, in definitiva far riferimento, pervenendo alla conclusione che nella vicenda in esame, precisamente ricostruita nel decreto impugnato a partire dal decreto emesso il 24 maggio 2000, occorre far riferimento per individuare le disposizioni che regolano l’iter procedimentale e l’efficacia dei provvedimenti di sequestro e confisca alle norme vigenti prima dell’entrata in vigore della disposizione di cui all’art. 27, richiamata dalla difesa nei motivi di ricorso, prevista proprio in chiave di accelerazione dei tempi del procedimenti di prevenzione, ma che non trova dunque applicazione nella concreta vicenda».
A fronte di una statuizione di cristallino nitore e saldamente ancorata al quadro normativo, il ricorrente pone l’accento sulla formulazione, a seguito della declaratoria di inefficacia del sequestro, di una nuova, ulteriore richiesta che, però, ha pacificamente avuto ad oggetto l’adozione del provvedimento cautelare e non anche la reiterazione della proposta di applicazione della misura di prevenzione reale che, come correttamente argomentato dalla Corte di appello, non risulta caducata dalla pronunzia della Corte di cassazione.
In proposito, occorre, invero, rimarcare che il giudice di legittimità, nell’annullare i decreti di primb’ e secondo grado, nulla ha detto – né avrebbe potuto dire – sull’atto di esercizio dell’azione di prevenzione, che
ha dato impulso a tutti i successivi sviluppi, a partire dal sequestro operato con decreto dell’8 giugno 1998 sino all’emissione, da parte del giudice di legittimità, della menzionata sentenza del 13 dicembre 2021.
Il ricorso si impernia, perciò, sulla fallace sovrapposizione tra la proposta di confisca e la richiesta di sequestro, atti che, lungi dal potere essere equiparati, assumono, nell’architettura del procedimento di prevenzione, struttura e funzioni distinti, ferma restando, in particolare, la strumentalità del vincolo cautelare rispetto alla fruttuosità del provvedimento ablatorio finale.
Rebus sic stantibus, la decisione della quale è stata chiesta la revocazione si pone perfettamente in linea con il quadro normativo e, precipuamente, con l’art. 117, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, che prevede che «le disposizioni contenute nel libro I non si applicano ai procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sia già stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione. In tali casi, continuano ad applicarsi le norme previgenti».
Il percorso argomentativo testé sviluppato conduce a ritenere che il decorso di circa quattro anni tra i decreti di confisca emessi, rispettivamente, in primo e secondo grado non comporta la perdita di efficacia del sequestro, non prevista dalla disciplina applicabile alla fatti:specie e, sotto altro aspetto, che de tutto fisiologica si palesa la prosecuzione del giudizio, a seguito della morte del proposto, nei confronti dei suoi eredi.
Anche questo aspetto, introdotto dal ricorrente con il secondo motivo, è stato, peraltro, compiutamente sviscerato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 4811 del 13 dicembre 2011, nella quale si legge che: «La Corte di appello di Reggio Calabria, dopo la puntuale ricostruzione dell’iter processuale che aveva condotto all’annullamento con rinvio disposto da questa Corte, ha compiuto una precisa ricostruzione del diritto di partecipazione della persona sottoposta a misura di prevenzione – nella specie relativamente alla posizione di NOME COGNOME nel frattempo deceduto poiché, invece la partecipazione di NOME COGNOME cl. 1951 era pienamente tutelata attraverso la sua personale partecipazione al giudizio seguito all’annullamento coordinandola con le norme sostanziali e, in particolare, con l’art. 2-bis della i. 575 del 1965, che prevedeva la possibilità di azionare la confisca, in caso di decesso del proposto, nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare, entro cinque anni dal decesso», onde «L’intervenuto decesso di NOME COGNOME osservano i giudici di merito, non ha impedito, dopo l’annullamento con rinvio disposto dalla Corte di Cassazione, la confisca nei confronti degli eredi, così sanando la nullità e
consentendo il pieno esercizio del contraddittorio a questi ultimi che restano, alfine, i soggetti incisi dal provvedimento».
5. Nella medesima prospettiva, deve rilevarsi, vieppiù, che, come già notato dalla Corte di appello, la perdita di efficacia del sequestro e della confisca, disposti in primo grado, non fanno venire meno il potere del giudice di appello di confermare il provvedimento ablatorio, come, del resto, univocamente attestato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le altre, Sez. 5, n. 49149 del 11/09/2019, Strano, Rv. 277652 – 01; Sez. 6, n. 41735 del 26/06/2019, Verterano, Rv. 277197 – 01).
Assolutamente insussistenti appaiono, pertanto, gli errori di fatto evocati dal ricorrente il quale, a ben vedere, tenta di riproporre, attraverso l’impropria attivazione dello strumento della revocazione, questioni che, già esaminehal giudice della prevenzione e, quindi, da quello di legittimità, sono state ormai definitivamente risolte, in termini non più sindacabili ed in coerenza con la normativa di riferimento.
È, quindi, ineccepibile il rilievo con cui la Corte di appello stigmatizza l’evocazione di un istituto riservato ad ipotesi, tassativamente enucleate dal legislatore, in alcun modo assimilabili a quella in esame, connotata dalla pretesa dell’istante, che si è visto essere manifestamente infondata, di rimettere in discussione questioni già analizzata e risolte nella sede competente.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 1:3 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
P.Q. M .
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 21/09/2023.