Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2843 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2843 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME COGNOME nato in Albania il 19/01/1990
NOME nato in Albania il 28/08/1992
avverso l’ordinanza emessa il 6 maggio 2024 dalla Corte di appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; lette le richieste del difensore, Avv. NOME COGNOME che ha insistito per
l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata la Corte di appello di Bresca ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza presentata da NOME COGNOME e NOME COGNOME istanza
qualificata come richiesta di revocazione della confisca di prevenzione di un immobile sito a Villa Cortese disposta nel procedimento nei confronti del padre dei due istanti, NOMECOGNOME
Va, in primo luogo premesso che, secondo quanto risulta dall’ordinanza impugnata: il provvedimento di confisca è divenuto definito a seguito di sentenza della Corte di cassazione del 30/9/2020; il proposto e i tre figli hanno successivamente proposto istanza di revocazione della confisca, deducendo l’omessa valutazione della risalenza della provvista utilizzata per l’acquisto del bene ad epoca in cui il proposto non era ancora socialmente pericoloso, circostanza, questa, emergente da un’attestazione contabile rilasciata da una banca di Tirana; l’istanza di revocazione è stata dichiarata inammissibile con provvedimento definitivo a seguito della sentenza della Corte di cassazione del 7/2/2023; quindi NOME e NOME COGNOME hanno investito il Tribunale di Milano di una istanza, qualificata come incidente di esecuzione, fondata sulla omessa valutazione del documento già prodotto e della tesi difensiva relativa alla risalenza della provvista ad epoca antecedente l’inizio della pericolosità sociale del proposto, sul cui presupposto hanno chiesto la revocazione della confisca; il Tribunale di Milano ha qualificato l’istanza come richiesta di revocazione della confisca ed ha dichiarato la propria incompetenza, disponendo la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Brescia.
La Corte di appello, condividendo tale diversa qualificazione dell’istanza, l’ha dichiarata inammissibile per un triplice ordine di ragioni: i) la mancata allegazione all’istanza della procura speciale al difensore, contenendo questa solo la nomina difensiva con l’elezione di domicilio; ii) la mancanza, per stessa ammissione degli istanti, dei presupposti per la revocazione, non ricorrendo né prove nuove sopravvenute né altra delle ipotesi previste dall’art. 28 d.lgs. n. 159 del 2011; iii) tardività dell’istanza in quanto proposta oltre i sei mesi dalla data in cui si è scoperta la prova, che risulta acquisita il 19 agosto 2017.
NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono per cassazione tramite il loro procuratore speciale e chiedono l’annullamento dell’ordinanza sulla base di due motivi, ulteriormente illustrati con i motivi aggiunti in cui si fa riferimento anche ad alt decisione della Corte territoriale emessa il 7 ottobre 2024.
2.1. Con il primo motivo deducono la violazione dell’art. 28 d.lgs. n. 159 del 2011 ed insistono sulla erronea riqualificazione dell’istanza da parte del Tribunale di Milano, trattandosi di incidente di esecuzione fondato su un elemento decisivo già sottoposto all’esame dei Giudici, ma mai esaminato né valutato.
2.2. Con il secondo motivo deducono l’omessa pronuncia sulla prova decisiva relativa alla legittima provenienza delle risorse economiche e, in particolare, alla garanzia chiesta dalla banca per l’erogazione del mutuo, rappresentata da un deposito di 204.091,61 euro, somma proveniente «da una forma di risparmio a medio termine» risalente, come chiarito nei motivi aggiunti, agli anni 2013-2014. Si richiamano, a tal fine, i documenti allegati all’istanza e, in particolare, l corrispondenza con il Consolato generale di Albania a Milano.
I ricorrenti hanno presentato istanza di trattazione orale che, tuttavia, non è stata presa in considerazione, trattandosi di ricorso da trattare con procedimento ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen. per il quale non è prevista tale facoltà per le parti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili per le ragioni di seguito esposte.
Il primo motivo è generico e manifestamente infondato. I giudici di merito hanno correttamente qualificato l’istanza come domanda di revocazione, trattandosi di una confisca disposta a seguito di proposta presentata nella vigenza del d. Igs. n. 159 del 2011 e di istanza volta a dimostrare il difetto originario di uno dei presupposti della misura di prevenzione patrimoniale, ovvero la legittima provenienza della provvista utilizzata per l’acquisto del bene immobile attinto dalla misura (cfr. Sez. U, n. 3513 del 16/12/2021, dep. 2022, Fiorentino, Rv. 282474).
Il secondo motivo di ricorso è generico e si fonda su argomentazioni che, oltre a non illustrare il concreto interesse dei due ricorrenti, avuto riguardo alla eventuale titolarità formale del bene confiscato, omettono di confrontarsi criticamente con il contenuto della decisione impugnata, soprattutto con i due assorbenti rilievi attinenti la mancata allegazione della procura speciale e la tardività dell’istanza proposta.
Rileva, peraltro, il Collegio che, in altra precedente decisione, questa Corte ha già dichiarato inammissibili i ricorsi proposti, tra l’altro, anche dagli odierni ricorrenti nell’ambito di un precedente procedimento per la revocazione della confisca, rilevando, peraltro, che l’immobile risultava formalmente intestato a NOME COGNOME ritenuto intestatario fittizio e che, comunque, la questione dedotta, riproposta anche con l’istanza in esame, era stata già valutata nel giudizio principale che aveva portato
alla confisca dell’immobile (si tratta della sentenza n.14248 emessa da questa Sezione il 7/2/2023).
All’inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno da versare in favore della Cassa delle ammende, non potendosi ritenere che gli stessi abbiano proposto i ricorsi senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 30 ottobre 2024
Il Consigliere estensore