Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 2650 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 2650 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a PARETE il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 28/02/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza in data 28.2.2023, la Corte d’appello di Roma ha rigettato l’istanza avanzata da NOME, ex art. 28, d.lgs. n. 159 del 2011, di revocazione della confisca dei beni della medesima, disposta dalla Corte d’appello di Napoli.
Avverso tale provvedimento la COGNOME ha proposto ricorso per cassazione articolando due censure.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione di legge in relazione all’art. 2-ter, I. n. 575 del 1965 e art. 22, d.lgs. n. 159 del 2011. Il decreto di confisc emesso nei confronti della ricorrente sarebbe inefficace perché pronunciato oltre il termine di un anno e sei mesi stabilito dall’art. 27, d.lgs. n. 159 del 2011. Ai f del computo di tale termine, infatti, la Corte d’appello avrebbe erroneamente tenuto conto del periodo di sospensione previsto dalla normativa emergenziale per Covid 19, la quale tuttavia è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale con sentenza n. 140 del 2021.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione di legge, lamentandosi che la Corte territoriale avrebbe escluso che potesse considerarsi “prova nuova” ai fini dell’art. 28, d.lgs. n. 159 del 2011, la relazione dell’amministratore giudizia che, pur essendo prodotta ali atti, non era mai stata valutata. Secondo la ricorrente, l’ordinanza impugnata si porrebbe in contrasto con la sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione n. 43668 del 26/05/2022, la quale ha affermato che la prova nuova, sopravvenuta o preesistente, rileva ai fini della proposizione della revocazione ex art. 28, d.lgs. n. 159 del 2011.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
La ricorrente ha proposto motivi nuovi con cui ha svolto ulteriori argomentazioni in ordine alla intervenuta scadenza del termine per il deposito del decreto di confisca.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito esposte.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
La ricorrente ha proposto istanza di revocazione ai sensi dell’art. 28, d.lgs. n. 159 del 2011 sostenendo, innanzitutto, che il decreto con cui la Corte d’appello di Napoli aveva disposto la confisca dei suoi beni era inefficace in quanto pronunciato oltre il termine di un anno e sei mesi dal deposito del ricorso, stabilito dall’art. 2 comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011, sostenendo che tale termine non poteva considerarsi sospeso per effetto della legislazione emergenziale dettata a seguito
della pandemia da Covid 19 alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 140 del 2021 che ne aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale.
Trattasi di argomentazione destituita di ogni fondamento.
L’art. 83, comma 9, d.l. 17 marzo 2020, n. 18 conv. in I. 24 aprile 2020, n. 27, stabilisce che «Nei procedimenti penali il corso della prescrizione e i termini di cui agli articoli 303, 308, 309, comma 9, 311, commi 5 e 5-bis, e 324, comma 7, del codice di procedura penale e agli articoli 24, comma 2, e 27, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 rimangono sospesi per il tempo in cui il procedimento è rinviato ai sensi del comma 7, lettera g), e, in ogni caso, non oltre il 30 giugno 2020».
Esso dunque dispone la sospensione, tra l’altro, del corso della prescrizione, nonché dei termini previsti dall’art. 27, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011 per la pronuncia sull’appello avente ad oggetto il provvedimento di confisca di prevenzione.
Ebbene, la Corte costituzionale, con la richiamata sentenza n. 140 del 2012, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 83, comma 9, cit. «nella parte cui prevede la sospensione del corso della prescrizione per il tempo in cui i procedimenti penali sono rinviati ai sensi del precedente comma 7, lettera g), e in ogni caso, non oltre il 30 giugno 2020».
La pronuncia di incostituzionalità è stata pertanto limitata alla parte della richiamata disposizione che si riferisce ai termini di prescrizione del reato, per violazione del principio di legalità in quanto, la sospensione di tali termini era fat dal legislatore dipendere dal contenuto delle misure organizzative del capo dell’ufficio giudiziario, «così esibendo un radicale deficit di determinatezza, per legge, della fattispecie, con conseguente lesione del principio di legalità limitatamente alla ricaduta di tale regola sul decorso della prescrizione».
La previsione concernente la sospensione dei restanti termini contenuta nell’art. 83, comma 9 non ha invece costituito oggetto della pronuncia di incostituzionalità, sicché essa, per tale parte, è rimasta in vigore. Pertanto, correttamente nella specie l’ordinanza impugnata ne ha fatto applicazione al fine di valutare la tempestività della decisione sull’appello avverso il provvedimento che aveva disposto la confisca dei beni della NOME.
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza COGNOME (sent. n. 43668 del 26/05/2022, Rv. 283707 – 01), hanno affermato il seguente principio di diritto: « In tema di confisca di prevenzione, la prova nuova, rilevante ai fini della revocazione della misura ai sensi dell’art. 28 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è sia quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione,
essendosi formata dopo di essa, sia quella preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva, mentre non lo è quella deducibile e non dedotta nell’ambito del suddetto procedimento, salvo che l’interessato dimostri l’impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore».
Tale pronuncia ha, altresì precisato che, nel procedimento di revocazione, a differenza di quanto avviene per il procedimento di revisione, la valutazione della decisività della nuova prova deve essere effettuata alla luce della previsione di cui all’art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 e perciò solo «nella prospettiva della sua stretta correlazione all’accertamento di un vizio genetico del provvedimento definitivo, ossia di un difetto originario dei presupposti per l’applicazione dell misura patrimoniale».
Inoltre, sotto diverso profilo, si è rilevato come la previsione di un termine, stabilito a pena di inammissibilità, entro il quale la richiesta di revocazione deve essere proposta (sei mesi dalla data in cui si verifica uno dei casi che la consentono: art. 28, comma 3), nonché l’intero assetto normativo del procedimento di prevenzione, portano alla conclusione per cui «le nuove prove che rendono ammissibile il rimedio straordinario devono individuarsi in quelle che non è stato possibile dedurre nell’ambito del procedimento, perché riguardanti fatti decisivi e mezzi per dimostrarli incolpevolmente sconosciuti al momento del giudizio». In particolare, la previsione di uno stretto termine decadenziale entro cui far valere le deduzioni è «strutturalmente incompatibile con il caso di una prova introdotta nel procedimento ma, in ipotesi, neppure implicitamente valutata, dal momento che, in siffatta evenienza, sarebbe impossibile individuare il dies ad quem da cui far scattare l’operatività del termine». Pertanto, la Corte ha affermato che non possano avere rilievo prove introdotte nel procedimento ma, in ipotesi, neppure implicitamente valutate. Tale scelta del legislatore trova la sua ragione giustificatrice nell’intento di realizzare «una tendenziale stabilizzazione del giudicato in materia di prevenzione patrimoniale, consolidandone gli effetti nel massimo grado possibile». Le sole prove nuove che rendono ammissibile la revocazione sono quelle formate dopo la conclusione del procedimento di prevenzione, ovvero quelle che non è stato possibile dedurre perché riguardanti fatti all’epoca incolpevolmente sconosciuti, non invece quelle che, «pur accessibili e dunque sottoponibili alla valutazione del giudice nel procedimento, abbiano assunto consistenza o un particolare significato dopo la sua conclusione, anche semplicemente sulla base dell’esperimento delle corrispondenti iniziative difensive». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Alla luce di tale pronuncia, appare senz’altro priva di pregio la censura della ricorrente volta a qualificare come nuova prova, rilevante ai fini della revocazione,
una prova già agli atti, quale la relazione dell’amministratore giudiziario, asseritamente non considerata ai fini della decisione in ordine alla confisca.
Inammissibile è il motivo aggiunto. Trattasi di censura incentrata sull’asserito decorso del termine di efficacia del provvedimento di confisca in ragione del mancato rispetto del termine previsto dall’art. 27, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011 per la pronuncia sull’appello. Tale censura, oltre ad essere formulata in termini palesemente generici, perché articolati in proposizioni con valenza astratta e senza alcun effettivo collegamento con le vicende del processo, avrebbe dovuto essere fatta valere con gli ordinari mezzi di impugnazione e non già con il rimedio straordinario della revocazione.
Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 ottobre 2023.