Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 22285 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 22285 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nata a Carmagnola (TO) il DATA_NASCITA
NOME, nato a Sanremo (IM) il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 31/01/2023 della Corte di appello di Milano;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con distinti ricorsi dei loro comuni difensori, NOME COGNOME e NOME COGNOME impugnano il decreto della Corte di appello di Milano in epigrafe indicato, che ne ha respinto la richiesta di revocazione della confisca loro applicata, a norma dell’art. 24, d.lgs. n. 159 del 2011, con decreto del Tribunale di Torino del 31 gennaio 2019, divenuto definitivo il 7 settembre 2021.
La Corte d’appello ha giustificato la sua decisione rilevando l’inesistenza di alcuna delle ipotesi in cui tale mezzo d’impugnazione straordinario è ammesso, a norma dell’art. 28, d.lgs. cit.
In particolare – hanno osservato gut), giudici, disattendendo la diversa tesi difensiva – non si è in presenza, nel caso in esame, di un’istanza giustificata dalla «scoperta di nuove prove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento», come recita il comma 1, lett. a), di tale disposizione di legge: vale a dire – secondo l’interpretazione offertane dalla Sezioni unite di questa Corte, con sentenza n. 43668 del 26 maggio 2022, ric. Lo Duca, Rv. 283707 – di prove formatesi dopo la conclusione del procedimento di prevenzione, od anche preesistenti ma incolpevolmente scoperte dopo che la misura è divenuta definitiva, con esclusione, invece, di quelle deducibili ma non dedotte nel suddetto procedimento, salvo che l’interessato dimostri l’impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore.
Nello specifico, infatti, si legge nel decreto che la prova “nuova” è rappresentata da una consulenza tecnico-contabile di parte, che si sarebbe limitata ad una diversa valutazione di dati probatori già presenti nel procedimento definitivamente concluso, emendando – secondo quanto affermato dal suo stesso autore – precedenti «valutazioni erronee».
Entrambi i ricorsi, con affermazioni spesso testualmente sovrapponibili, denunciano la violazione della disciplina di riferimento e consistono essenzialmente in una critica della citata sentenza delle Sezioni unite, nella parte in cui ha escluso l’estensione del rimedio in questione anche ai casi di prove deducibili ma non dedotte nel corso del procedimento, come pure dedotte ma non valutate, in simmetria con quanto previsto per la revisione delle sentenze di condanna, a norma dell’art. 630, lett. c), cod. proc. pen..
Premesso che, in fatto, secondo gli esiti di quell’indagine tecnico-contabile, risulterebbe dimostrata una disponibilità finanziaria e patrimoniale dei ricorrenti ampiamente sufficiente a giustificare la legittima acquisizione dei beni loro confiscati, gli argomenti difensivi possono così sintetizzarsi:
nel caso specifico si è in presenza di un «lapalissiano errore giudiziario», che già di per sé giustificherebbe l’estensione del rimedio;
la consulenza di parte costituisce un novum probatorio, avendo valutato dati inspiegabilmente non considerati dai giudici del procedimento di prevenzione;
la misura di prevenzione patrimoniale, al pari della pena, incide anch’essa su beni di primaria rilevanza costituzionale, che perciò meritano la stessa tutela della libertà personale: proprietà privata (art. 42, Cost.), iniziativa economica
privata (art. 41, Cost.), diritto alla salute, all’abitazione, all’inviolab domicilio;
il rimedio della revisione è applicabile anche ai decreti penali di condanna e, comunque, a pene incidenti solo sul patrimonio e di portata afflittiva spesso significativamente inferiore, in concreto, alla confisca di prevenzione; la distinzione in ragione della natura preventiva di quest’ultima, e non repressiva, è soltanto formale, identici essendo gli effetti sul destinatario delle diverse forme di ablazione;
non costituisce significativo elemento differenziale la previsione, in materia di misure di prevenzione, della restituzione dei beni per equivalente (art. 46, d.lgs. cit.), perché, anche nel caso di assoluzione a sèguito di revisione, il ristoro per l’errore giudiziario è esclusivamente di natura economica;
il modello processuale delineato dal d.lgs. n. 159 del 2011 presenta plurimi elementi di similitudine con il rito penale; l’assimilazione all’omonimo rimedio previsto dall’art. 395, cod. proc. civ., prospettata dalla Sezioni unite è errata: insignificante è la mera identità di denominazione; inoltre, il processo civile ha ad oggetto pretese di natura economico-patrimoniale tra privati ed è governato dal principio dispositivo della domanda, mentre il procedimento di prevenzione patrimoniale costituisce un’azione pubblica, incidente su beni di rilievo costituzionale;
l’effetto della revisione e della revocazione è identico, consistendo nella eliminazione del provvedimento pregiudizievole per l’istante;
l’art. 28, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011, e l’art. 630, cod. proc. pen., si esprimono in termini soltanto apparentemente diversi; dando rilievo, per giustificare il loro assunto, al diverso dato testuale ed al riferimento, cioè, nell’art. 28, alle sole prove «sopravvenute» e non anche preesistenti ma «scoperte» dopo la decisione definitiva, le Sezioni unite hanno dunque finito per cadere in contraddizione, allorché hanno comunque esteso la revocazione pure alle seconde; in realtà, la dicitura «scoperta di nuove prove» non può che riferirsi a prove preesistenti alla decisione, ma solo dopo venute alla luce;
nel giudizio di prevenzione patrimoniale, anzi, costituendo oggetto di prova il momento di acquisizione di un dato cespite patrimoniale o l’effettiva disponibilità dello stesso da parte di un dato soggetto, la relativa dimostrazione potrà essere offerta soltanto attraverso elementi di prova esistenti in quel momento storico; anche nella revocazione civilistica, la norma si riferisce ai documenti «trovati» dopo la sentenza, e quindi necessariamente preesistenti ad essa;
la categoria della prova preesistente ma incolpevolmente sconosciuta all’interessato, collocata dalla Sezioni unite nel perimetro applicativo dell’art. 28, lett. a), cit., in realtà si rivela poco compatibile con tale disposizione, perché sia il
proposto che il terzo dovrebbero conoscere sin dall’inizio del procedimento le prove da far valere in giudizio a sostegno delle proprie ragioni;
m) anche nel giudizio di revisione, le prove “nuove” costituiscono il frutto di indagini difensive che, in astratto, si sarebbero potute effettuare anche prima; escludendo tale possibilità per la revocazione, le Sezioni unite di fatto rendono inapplicabile l’art. 28, lett. a), cit.;
n) inconferente è la previsione, per la revocazione e non per la revisione, di un termine di decadenza per la proposizione della relativa istanza: per un verso, esso non vale a soddisfare l’esigenza di stabilità ed irreversibilità della confisca, perché i presupposti per l’esercizio del rimedio, dal verificarsi dei quali decorre detto termine, possono manifestarsi anche a distanza di molto tempo dalla decisione; per altro verso, nel caso di prova non dedotta o non valutata, il dies a quo del decorso di quel termine non solo sarebbe individuabile, ma addirittura sarebbe certo, consistendo nella data di irrevocabilità della decisione di confisca;
o) la non imputabilità a colpa dell’interessato, cui fa riferimento il comma 3 del predetto art. 28, riguarda non la mancata conoscenza della causa di revocazione, bensì le ragioni che gli hanno impedito di osservare il termine per la proposizione della relativa domanda: tanto si evince dall’indicazione, tra le cause di revocazione, di precedenti sentenze che escludessero i presupposti per disporre la confisca, le quali, riguardando lo stesso proposto o suoi coimputati separatamente giudicati, sarebbero sempre da lui conoscibili con l’impiego dell’ordinaria diligenza;
p) la previsione, per la revocazione, di una competenza fissata in base all’art. 11, cod. proc. pen., si giustifica proprio se ed in quanto il rimedio debba intendersi esteso anche alle prove esistenti ma non valutate, perché è in tale ipotesi – e non in quelle delle prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio – che si può profilare una carenza di diligenza del giudice e, quindi, la sua maggiore resistenza a rivedere la propria decisione, che giustifica lo svolgimento del procedimento di revocazione in altra sede giudiziaria;
q) l’art. 4, par. 2, prot. addiz. 7, CEDU, prevede la possibilità di riapertura di un processo in caso di “fatti sopravvenuti” e di “nuove rivelazioni”, e quindi non solo in presenza di nuove prove, ed altresì nell’ipotesi di un “vizio fondamentale nella procedura precedente”, per tale dovendo intendersi il vizio della decisione, ovvero l’errore giudiziario: una tale lettura costituisce logico corollario del principio del “giusto processo”.
4. Ha depositato requisitoria scritta il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
Non è necessario soffermarsi sulle specifiche obiezioni con essi mosse alla citata “sentenza Lo Duca” delle Sezioni unite, che peraltro consistono nella riproposizione di argomenti affacciatisi nella giurisprudenza precedente e superati da tale arresto oppure in evidenti forzature del testo normativo.
Nel caso specifico, infatti, non si è in presenza di prove deducibili ma non dedotte nel procedimento di prevenzione esauritosi, sicché non si versa nell’ipotesi che legittimerebbe la richiesta di revisione del giudicato di condanna ma non secondo le Sezioni unite – quella di revocazione della misura di prevenzione e che, per i ricorrenti, darebbe luogo ad un’ingiustificata disparità di disciplina tra í due istituti.
La richiesta di revocazione avanzata dai ricorrenti poggia, piuttosto, sulle stesse risultanze probatorie acquisite nel corso del procedimento conclusosi con la confisca: quella che cambia è soltanto la valutazione di esse, compiuta dal consulente tecnico officiato dalle difese successivamente alla decisione definitiva.
Né può ritenersi che la prova nuova sia rappresentata dalla consulenza in sé, laddove – come nel caso in esame – tale indagine tecnica costituisca esclusivamente il prodotto di un procedimento valutativo di dati già presenti nel processo, non compiuto sulla base di conoscenze scientifiche o dispositivi tecnologici resisi disponibili soltanto successivamente alla decisione.
Sotto il profilo esaminato, dunque, l’assunto difensivo è manifestamente infondato.
3. Per altro verso, i ricorsi sono generici.
Vero è che il provvedimento impugnato non ha esaminato la fondatezza nel merito dell’istanza, e quindi la decisività o meno delle valutazioni – in tesi errate – compiute dai giudici del procedimento definito.
Ciò non di meno, il ricorso tace del tutto sulle ragioni per cui l’errore di quei giudici sarebbe stato così evidente, ma, ancor prima, non spiega perché costoro avrebbero del tutto omesso di considerare alcune prove versate in atti e perché debba escludersi, invece, che semplicemente essi le abbiano valutate ma, quand’anche errando, non le abbiano ritenute concludenti.
All’inammissibilità dei ricorsi consegue obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna dei proponenti al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non
ravvisandosi una loro assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro per ognuno di essi.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2024.