Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 2978 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 2978 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOMECOGNOME nato a Catanzaro il 28/10/1956, avverso il decreto del 14/06/2024 della Corte di appello di Milano. Letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con istanza dell’11 luglio 2023 NOME COGNOME chiedeva la revocazione della confisca di alcuni strumenti finanziari acquistati nel 2010 dall’intestataria fittizia RAGIONE_SOCIALE, disposta dal Tribunale di Torino con decreto del 30 maggio 2013, confermato dalla Corte di appello di Torino (dopo l’annullamento con rinvio di un primo decreto del marzo 2014, disposto da Sez. 1, n. 26880 del 26/05/2015, RAGIONE_SOCIALE, n.m.) con decreto del 21 marzo 2016, divenuto definitivo a seguito di rigetto del ricorso per cassazione presentato dalla RAGIONE_SOCIALE.
Il giudizio di pericolosità del Mauro, ai sensi degli artt. 4, lett. c), e 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, veniva formulato sulla base dei giudicati penali e di altri elementi investigativi dai quali si evinceva il suo coinvolgimento nella perpetrazione di plurimi delitti contro il patrimonio (truffa, riciclaggio, possesso di banconote false); la provenienza illecita dei capitali investiti negli strumenti finanziari confiscati veniva desunta dagli esigui (o, in alcuni anni, nulli) redditi dichiarati dal NOME; la fittizietà dell’intestazione dei beni alla RAGIONE_SOCIALE (madre dei due figli del NOME) veniva ricavata dalla sua anomala situazione finanziaria, nonchØ dalle implausibili giustificazioni dalla stessa fornite nel corso della procedura.
La richiesta di revocazione prendeva le mosse dai provvedimenti definitivi che avevano respinto la richiesta di applicare al Mauro una misura di prevenzione personale per carenza dell’attualità della pericolosità alle date del 7 dicembre 2012 e 27 giugno 2013, e si fondava sulla assoluzione del NOME, intervenuta nel 2022, per fatti di truffa e riciclaggio commessi fino al 2013:
elementi, questi, che, nella prospettiva del ricorrente, avrebbero impedito di ritenere il Mauro nell’anno 2010 soggetto pericoloso nei termini descritti e pretesi dal codice antimafia, e, dunque, avrebbero precluso la confisca, che, secondo l’oramai incontrastato insegnamento dei giudici di legittimità, può aggredire solo i beni patrimoniali acquistati nell’arco temporale in cui si Ł manifestata la pericolosità sociale.
Con il provvedimento qui impugnato la Corte di appello di Milano dichiarava la richiesta inammissibile.
Si evidenziava, innanzitutto, che unitamente all’istanza non era stata prodotta la copia autentica della citata sentenza assolutoria, adempimento richiesto a pena di inammissibilità dall’art. 633, comma 2, cod. proc. pen.
Si rappresentava, inoltre, che le motivazioni della richiesta imponevano di ritenere che la stessa fosse stata presentata non ai sensi dell’art. 28, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 159 del 2011 (« quando i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludano in modo assoluto l’esistenza dei presupposti di applicazione della confisca»), poichØ gli elementi desunti dal procedimento penale conclusosi con l’assoluzione costituivano «una frazione soltanto dei fatti storici valutati dal giudice, certo non la piø cospicua, poichØ al contrario il giudizio di pericolosità Ł stato il frutto combinato dei giudicati penali di condanna per reati offensivi della sicurezza pubblica commessi dal richiedente prima dell’applicazione a suo carico della misura di prevenzione personale poi revocatagli, e degli accadimenti comunque antigiuridici accertati in procedimenti archiviati per ipotesi di truffa collocate temporalmente nel 2009» (sicchØ non poteva sostenersi che l’intervenuta assoluzione escludesse «in modo assoluto», come richiesto dalla norma, l’esistenza dei presupposti di applicazione della confisca), ma bensì ai sensi dell’art. 28, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 159 del 2011 (« in caso di scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento»).
In proposito, per un verso si riteneva decisiva l’inosservanza di quanto prescritto a pena di inammissibilità dal terzo comma del citato art. 28 del d.lgs. n. 159 del 2011, a mente del quale la richiesta di revocazione deve essere proposta «entro sei mesi dalla data in cui si verifica uno dei casi di cui al comma 1, salvo che l’interessato dimostri di non averne avuto conoscenza per causa a lui non imputabile»: nel caso di specie, «la sentenza nella quale consiste la prova dedotta come nuova Ł stata emessa il 26.10.2022, depositata il 19.1.2023 ed Ł passata in giudicato il giorno 11.3.2023; la richiesta di revocazione Ł stata depositata il 12.7.2023 , dopo sei mesi sia alla conoscenza delle fonti di prova assunte nel processo conclusosi con l’assoluzione, sia dalla pronuncia della sentenza assolutoria», non avendo, invece, rilievo la data di intervenuta irrevocabilità della sentenza, poichØ «ciò che rileva non Ł l’irrevocabilità dell’assoluzione in sede penale del proposto, bensì Ł l’emergenza probatoria del fatto invocato dal richiedente come inconciliabile con l’accertamento, ritenuto nella decisione definitiva di confisca di sussistenza dei presupposti della confisca di prevenzione». Dunque, «la carenza di prova della sussistenza del delitto di riciclaggio Ł stata resa conoscibile al richiedente, allora nella sua veste di imputato, dalla stessa pronuncia del dispositivo in data 26.10.2022, piø di sei mesi prima del deposito della richiesta di revocazione della confisca»: la richiesta avrebbe dovuto essere presentata entro sei mesi dal 26 ottobre 2022, e, dunque, entro il 26 aprile 2023, data nella quale, peraltro, la sentenza era già divenuta irrevocabile da 46 giorni (precisamente dall’11 marzo 2023), sicchØ «la richiesta concretamente poteva essere depositata tempestivamente pur dopo avere messo in sicurezza, con prudente attesa del giudicato, il risultato assolutorio conseguito in sede penale».
Per altro verso, si osservava che nessuna delle due ragioni poste a fondamento del giudicato assolutorio era idonea a costituire prova nuova decisiva, nei termini di cui all’art. 28, comma 1, lett.
a), del d.lgs. n. 159 del 2011: non la ritenuta assenza di prove in ordine al fatto «che lo scambio degli euro con i dollari sia stato finto», e neppure la ritenuta assenza di prove in ordine al fatto «che, con tale finto scambio, si sia realizzato l’ultimo step della ripulitura del denaro»; ed invero, si osservava che «la fonte di prova della ritenuta inconfigurabilità del riciclaggio nei fatti realizzati nel 2013 Ł stata indicata innanzitutto nelle dichiarazioni autoaccusatorie, riferite ad altro reato diverso dal delitto di riciclaggio, rese dal richiedente stesso. Trattandosi di prova proveniente dallo stesso richiedente, allora in veste di imputato, per di piø relativa all’essenza stessa e alla genesi degli accadimenti del 2013, Ł allora evidente che il contenuto di tale prova era noto al richiedente sin dai gradi di merito del procedimento di prevenzione sfociato nell’adozione definitiva della confisca della cui revocazione si discute. Ne consegue che la prova asseritamente nuova e altrettanto asseritamente decisiva, in quanto valsa in sede penale ad escludere la sussistenza del riciclaggio con riferimento ai fatti del 2013, era concretamente deducibile nell’ambito del procedimento di prevenzione conclusosi con la confisca in revocazione, ma non Ł stata ivi dedotta, senza che emerga alcuna causa ostativa di forza maggiore. Come evidenziato dalla sentenza assolutoria stessa e come evincibile dal loro contenuto, le due ragioni del decidere si pongono in rapporto di concorrenza, ma anche di reciproca indipendenza concettuale, dimodochØ la previa notorietà in capo al richiedente della prova su cui riposa una di tali ragioni decisorie Ł di per sØ sufficiente a escludere la novità della prova valorizzata nella sopravvenuta sentenza. Tanto piø che la seconda ragione decisoria, diversamente dalla prima, consiste non in una prova nuova, bensì in una ritenuta carenza di prova ai fini penali».
Ritenuta, per i motivi che precedono, l’inammissibilità della richiesta di revocazione, i giudici milanesi evidenziavano da ultimo le ragioni della «manifesta infondatezza nel merito della richiesta», ulteriore causa di inammissibilità della stessa: ed invero, sulla base degli elementi emersi nel corso di quel procedimento e del contenuto di una conversazione intercettata, si sottolineava che «il giudicato assolutorio inammissibilmente invocato come prova nuova Ł, anche nel suo intrinseco contenuto, radicalmente inidoneo a suscitare dubbi sul fatto che anche dopo il 2009, quindi anche nel 2010, il proposto odierno richiedente ha continuato a vivere almeno in parte con il provento di attività delittuose. Il giudicato assolutorio conferma anzi la prova di ciò, accertando che egli nel 2013 ha non solo commesso una truffa, ma anche riconosciuto per telefono con un soggetto a lui vicino che egli commetteva truffe a danno di persone interessate a riciclare capitali di provenienza a loro volta illecita».
Il difensore di fiducia del COGNOME, Avv. NOME COGNOME ha impugnato il decreto in questione, articolando due motivi con i quali deduce «inesistenza di motivazione sulla persistenza di pericolosità» e «nullità per inesistenza di motivazione sull’attualità».
Evidenzia, citando plurimi passaggi della già citata Sez. 1, n. 26880 del 26/05/2015, COGNOME, n.m., che l’intervenuta assoluzione del NOME nel procedimento che lo vedeva imputato di riciclaggio avrebbe dovuto condurre alla chiesta revocazione, dal momento che il decreto di confisca aveva ritenuto di poter ricavare «elementi indicativi di una perdurante pericolosità sociale di NOME anche in epoca successiva al 2009» proprio da quel procedimento penale; si duole della omessa valutazione del dedotto elemento di novità; sottolinea che, peraltro, i fatti ascritti al Mauro in quel procedimento erano contestati come commessi nell’anno 2013, sicchØ la Corte d’appello di Torino, nel confermare il decreto di confisca, era incorsa in una «contraddizione», poichØ, rispetto all’acquisto di strumenti finanziari avvenuto nel 2010, il coinvolgimento in fatti di riciclaggio del 2013 avrebbe dovuto essere ritenuto del tutto irrilevante.
Chiede dunque annullarsi il provvedimento impugnato, le cui motivazioni devono essere censurate tanto in punto di asserita tardività della richiesta di revocazione, dovendo il termine
semestrale necessariamente decorrere dalla data di irrevocabilità della sentenza assolutoria, quanto in punto di mancata allegazione di copia autentica della sentenza assolutoria (adempimento non richiesto a pena di inammissibilità nel caso di specie), quanto, infine, in punto di attualità della pericolosità sociale nell’anno 2010, poichØ il decreto non mette in luce elementi idonei a comprovarla adeguatamente con riferimento al periodo nel quale si verificò l’accrescimento patrimoniale in questione.
3. Il Sostituto Procuratore generale ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile.
Rileva che una sentenza di assoluzione passata in giudicato non può essere ritenuta prova nuova sopravvenuta ai sensi dell’art. 28, comma 1, lett. a) del Codice antimafia: nel caso di specie viene, dunque, in rilievo la fattispecie disciplinata dalla successiva lettera b) del citato art. 28; sottolinea che «non può, attraverso la invocazione di una prova nuova che nuova non Ł, introdursi nel giudizio di revocazione la sollecitazione a un nuovo giudizio sulla pericolosità sociale in relazione ad elementi di fatto già fatti oggetto di valutazione. Solo se la prova nuova sia tale da sovvertire il giudizio sulla sussistenza dei presupposti applicativi della misura può essere valutata in sede di revocazione»; evidenzia che la sentenza assolutoria non poteva essere validamente invocata nØ come nuova prova, e neppure quale elemento in grado di escludere in modo assoluto l’esistenza dei presupposti per l’applicazione della confisca, poichØ dalla sua motivazione si evince nitidamente che le condotte illecite – sostanzialmente confessate dallo stesso imputato – erano state effettivamente poste in essere, ma erano «qualificabili come truffa e non come riciclaggio e come tali non erano piø procedibili, perchØ estinte per intervenuta prescrizione» («le prove nuove contenute nella sentenza passata in giudicato nuove non erano, essendo esse le dichiarazioni confessorie degli imputati in ordine alla natura truffaldina delle operazioni compiute e non già riciclatorie. In sostanza veniva ammesso che erano stati dati in cambio di euro veri dollari falsi, truffando il soggetto detentore della somma da riciclare»).
Dunque, «correttamente la corte territoriale ha dichiarato la inammissibilità dell’istanza per la constatazione della assenza di novità della prova dedotta e che era già a suo tempo deducibile e invero già valutata nella motivazione per la portata rivelatrice di pericolosità sociale (la dichiarazione confessoria del ricorrente in quel procedimento). Correlativamente quindi anche risulta corretta la constatazione che tali nuove prove erano conosciute ben prima dei sei mesi antecedenti al passaggio in giudicato della sentenza che ha poi portato alla assoluzione. Si aggiunga peraltro che nel ricorso la asserita nuova prova rimane sempre sfumata e mai chiaramente descritta, così da suscitare il dubbio che per essa si intenda la sentenza in sØ e non già le prove ivi utilizzate. Da questo punto di vista il ricorso si presenza privo di pregio anche per la genericità del motivo dedotto, non essendo chiaramente specificato se la nuova prova invocata sia altra e ulteriore rispetto alle dichiarazioni confessorie degli imputati ammissive di aver perpetrato una truffa. Conclusivamente quindi la sentenza invocata non Ł nuova prova, le prove in essa richiamate per giungere alla assoluzione erano deducibili già al momento del giudizio di prevenzione, di esse il giudice di prevenzione nel provvedimento genetico ne ha comunque tenuto conto per valutare la pericolosità sociale, la sentenza invocata non esclude in modo assoluto i presupposti su cui si Ł fondata la decisione oggetto di istanza di revocazione, ma anzi ne fornisce un’ulteriore riscontro per la qualificazione illecita delle condotte produttive di lucro illecito perpetrate. Da questo punto di vista il giudicato assolutorio invocato non può valere come automatismo della esclusione della sussistenza dei presupposti della misura, avendo accertato nel merito proprio la natura illecita e fraudolenta delle condotte che erano state prese a riferimento indicativo della pericolosità sociale».
Il ricorso Ł infondato, e deve pertanto essere rigettato.
2. Il provvedimento impugnato ha ritenuto la richiesta di revocazione inammissibile perchØ tardiva, perchØ non Ł stata ad essa allegata in copia autentica la sentenza assolutoria in essa richiamata, e perchØ manifestamente infondata nel merito (poichØ «il giudicato assolutorio inammissibilmente invocato come prova nuova Ł, anche nel suo intrinseco contenuto, radicalmente inidoneo a suscitare dubbi sul fatto che anche dopo il 2009, quindi anche nel 2010, il proposto odierno richiedente ha continuato a vivere almeno in parte con il provento di attività delittuose»).
Rileva la Corte come la complessiva disamina della documentazione in carteggio lasci intendere che la revocazione della decisione definitiva sulla confisca di prevenzione fosse stata invocata ai sensi dell’art. 28, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, essendosi in presenza non di un elemento di prova sopravvenuto e decisivo, ma di un accertamento compiuto da una sentenza penale definitiva asseritamente idoneo a far venire meno i presupposti di applicazione della confisca: ed invero, tenendo a mente l’insegnamento di Sez. U, n. 43668 del 26/05/2022, COGNOME, Rv. 283707 – 01, secondo cui «In tema di confisca di prevenzione, la prova nuova, rilevante ai fini della revocazione della misura ai sensi dell’art. 28 del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 159, Ł sia quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, sia quella preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura Ł divenuta definitiva», occorre osservare che l’esser stata pronunciata in data 26 ottobre 2022 nei confronti del NOME sentenza assolutoria in relazione a delitti contro il patrimonio a lui ascritti non equivale certo alla «scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento» di cui all’art. 28, comma 1, lett. a); peraltro, come ha correttamente rilevato il provvedimento impugnato, quella sentenza assolutoria poggia le sue radici, per un verso, nelle dichiarazioni rese dallo stesso NOME nell’ambito di pregresso procedimento (una prova, dunque, tutt’altro che nuova e sopravvenuta), e, per altro verso, nella inidoneità degli elementi acquisiti a ritenere provata la sussistenza del contestato delitto di riciclaggio (dunque, non una prova nuova e sopravvenuta, ma una carenza di prova).
L’art. 28, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 prevede che la revocazione della decisione definitiva sulla confisca di prevenzione possa essere richiesta «quando i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludano in modo assoluto l’esistenza dei presupposti di applicazione della confisca».
Ebbene – pur essendo senz’altro fondate le doglianze con le quali il ricorrente ha attaccato il provvedimento impugnato nella parte in cui ha ritenuto la richiesta inammissibile per la mancata produzione in copia autentica della sentenza assolutoria (adempimento che l’art. 633, comma 2, cod. proc. pen. prescrive solo per i casi – diversi da quello di specie – di cui alle prime due lettere dell’art. 630, comma 1, cod. proc. pen.) e per la sua tardività (non potendo dubitarsi che il termine semestrale di cui all’art. 28, comma 3, del codice antimafia abbia iniziato il suo decorso l’11 marzo 2023, giorno in cui la sentenza assolutoria Ł divenuta irrevocabile: Ł, dunque, certamente tempestiva la richiesta di revocazione, presentata dal Mauro in data 11 luglio 2023) – occorre rilevare che l’elemento valorizzato dal ricorrente non scardina la complessiva motivazione del decreto di confisca, non avendo la forza e la capacità di sovvertire quanto già definitivamente accertato in merito alla pericolosità del Mauro ed in merito alla genesi della provvista finanziaria che era stata utilizzata per effettuare l’investimento poi sottoposto a confisca.
Appare in proposito utile richiamare le motivazioni con le quali questa Corte rese definitivo il decreto di confisca, respingendo il ricorso per cassazione proposto dalla formale intestataria degli
strumenti finanziari: si citeranno, dunque, i piø significativi passaggi di Sez. 5, n. 32994 del 30/03/2017, RAGIONE_SOCIALE, n.m., al fine di meglio inquadrare il contesto nel quale vanno ad inserirsi gli elementi di novità addotti dal ricorrente.
«Con decreto del 21 marzo 2016, la Corte di appello di Torino, decidendo in sede di rinvio a seguito dell’annullamento disposto da questa Corte con sentenza del 26 maggio 2015, confermava il decreto del locale Tribunale, del 20 febbraio 2012, che aveva disposto nei confronti di NOME COGNOME la misura di prevenzione patrimoniale della confisca di prodotti finanziari, collocati da Az RAGIONE_SOCIALE per un valore di circa 1.480.000 euro ed intestati a NOME COGNOME, convivente del NOME, che aveva interposto appello quale terza interessata. Questa Corte aveva annullato il decreto del Tribunale di Torino perchØ non era emerso con sufficiente chiarezza che, nel periodo di tempo in cui la terza interessata, legata al proposto da vincoli sentimentali, aveva acquisito i prodotti finanziari sottoposti alla misura, potesse ritenersi che il proposto stesso fosse socialmente pericoloso La Corte territoriale, decidendo in sede di rinvio, confermava il decreto impugnato in base alle seguenti considerazioni: la somma in questione era stata trasferita in Italia con un’operazione di rientro di capitali dalla Svizzera, nel corso del 2010, ed era stata investita negli indicati prodotti finanziari; il Tribunale aveva, come si Ł visto, rigettato la richiesta di applicazione della misura di prevenzione personale perchØ difettava il presupposto della attualità della pericolosità sociale; – il Tribunale aveva, invece, disposto la misura di prevenzione patrimoniale perchØ la somma investita non era proporzionata ai redditi maturati, negli anni precedenti, dal NOME (che nulla aveva denunciato fino al 2003 e, negli anni seguenti fino al 2006, aveva conseguito redditi per circa 15.000 euro) e della RAGIONE_SOCIALE (che, dal 2003 al 2008, aveva denunciato redditi per complessivi 60.000 euro circa ed ulteriori entrate per euro 517.483,74), e che doveva, pertanto, ritenersi il frutto delle precedenti attività illecite del Mauro; la Corte acquisiva i nuovi elementi di giudizio offerti dalla pubblica accusa, ed in particolare la sentenza di legittimità che aveva rigettato analogo ricorso della Trubchaninova avverso la confisca di ulteriori beni e tre intercettazioni a carico del NOME; valorizzava le risultanze di un procedimento, pur chiusosi con un decreto di archiviazione, nel quale era emerso che NOME si era posto a capo di una organizzazione operante nel canavese che realizzava truffe operando cambi di valute o scambiando denaro contante con gioielli; il danno ed il corrispettivo lucro derivavano dal fatto che il denaro ed i gioielli consegnati erano falsi; nell’abitazione di uno dei complici erano state rinvenute le banconote false con cui operare gli scambi; l’archiviazione era conseguita al fatto che non si era nØ tentata nØ realizzata alcuna truffa concreta, nel periodo di attenzione (da gennaio a marzo 2009); in una conversazione intercettata NOME aveva riferito all’interlocutore di essere nel “ramo” da 25 anni; quanto all’attualità di tale attività si era individuato un procedimento penale nel quale era emerso che NOME era coinvolto in un riciclaggio di denaro per 10 milioni di euro, consumato nel 2013, con l’utilizzo di dollari falsi. Il ricorso Ł infondato e va, pertanto, rigettato. Il primo motivo Ł infondato perchØ muove da una premessa errata, che la pericolosità del NOME fosse cessata nel 2006 e che ciò costituisse un giudicato interno al presente procedimento, e conclude in modo altrettanto erroneo, considerando irrilevanti le risultanze del procedimento penale instaurato nei confronti del medesimo nel 2009, sol perchØ lo stesso si era chiuso con un provvedimento di archiviazione, non potendosi così tenere conto delle circostanze che erano, comunque, emerse nel corso delle indagini. La sentenza di annullamento di questa Corte infatti, si era limitata a prendere atto che i giudici del merito avevano accertato, ricavandole dalle emergenze dagli stessi esaminate, che la pericolosità del Mauro era cessata nel 2006. Avevano, nel contempo, rilevato come la provvista finanziaria che aveva generato l’investimento sottoposto a confisca era del 2010. Avevano pertanto richiesto al giudice del rinvio di riesaminare la questione alla luce del principio di diritto fissato dalla pronuncia delle Sezioni unite n. 4880 del 02/02/2015, COGNOME circa la necessaria coincidenza temporale fra
l’acquisto del bene e la pericolosità sociale. Così demandando alla Corte territoriale del rinvio la verifica della coincidenza dei tempi, se, pertanto, l’uno o l’altro dei termini in gioco (l’acquisto dei beni o la pericolosità del NOME) potesse mutare fino a generare la necessaria sovrapposizione dei periodi. Il giudice del rinvio aveva così valorizzato un procedimento penale iniziato nel 2009 dal quale era emerso che NOME si era organizzato per condurre una truffa di rilevanti proporzioni, già in fase di avanzata preparazione visto che si erano rinvenuti, nel domicilio di uno dei complici, dei dollari falsi da usare per lo scambio di valuta. Ed aveva sottolineato come, in una conversazione telefonica intercettata, lo stesso COGNOME aveva affermato di occuparsi di attività truffaldine da molti anni. Il procedimento era stato, poi, archiviato perchØ dalla preparazione non si era passati alla realizzazione della truffa ma ciò non toglieva rilevanza, ai fini della verifica della pericolosità sociale, alle circostanze sopra evidenziate. Una motivazione, quella della Corte territoriale, che ha risposto alla sollecitazione fatta di questa Corte con la sentenza di annullamento NØ era vietato al giudice del rinvio utilizzare tali circostanze perchØ le stesse erano già a conoscenza della Corte territoriale che aveva pronunciato il primo decreto annullato e che non avevano determinato l’allargamento temporale del giudizio di pericolosità agli anni successivi al 2006, ben potendo il giudice del rinvio trarre, dalle medesime fonti di prova un diverso giudizio sul fatto, tanto piø quando, come nel caso di specie, il primo giudizio non aveva ritenuto necessario per pervenire al medesimo risultato, la confisca dei beni, allargare il giudizio di pericolosità sociale del Mauro agli anni successivi al 2006. Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono, pertanto, complessivamente infondati, non assumendo, infine, rilevanza ai fini del giudizio di pericolosità il procedimento instaurato nel 2013, e, quindi, in epoca successiva alla pronuncia del decreto di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, del 20 febbraio 2012. La Corte territoriale, poi, nel decreto impugnato, aveva rinviato alla motivazione del primo decreto circa le censure mosse sulla costituzione della provvista ad opera dei benefattori della ricorrente, affermando, in fatto (con motivazione certo non apparente) che i due soggetti in questione avevano riferito di ingentissime regalie del tutto prive di supporto documentale, smentite poi dal procedere, negli anni, della provvista sul conto della ricorrente, assai contenuta nel periodo indicato ed esplosa solo negli ultimi anni. La mera affermazione labiale del deposito dei contanti, per anni, in cassetta di sicurezza Ł, ancora, una questione di mero fatto, del tutto priva di supporto documentale e, anche, priva di logicità visto che postula l’occultamento di denaro che non sarebbe stato di illecita provenienza».
Le motivazioni con le quali questa Corte ha rigettato il ricorso avverso il decreto della Corte di appello di Torino del 21 marzo 2016 rendono evidente che l’elemento di novità oggi valorizzato dal ricorrente non ha di per sØ solo la capacità e la forza di «esclud(ere) in modo assoluto l’esistenza dei presupposti di applicazione della confisca», così come preteso dall’art. 28, comma 1, lett. b), del codice antimafia.
Occorre, invero, ricordare che la norma appena richiamata richiede quale presupposto fondamentale della revocazione non una qualsiasi sentenza liberatoria, ma un’assoluzione che abbia avuto ad oggetto proprio i fatti che avevano giustificato il giudizio di pericolosità (cfr. Sez. 2, n. 31549 del 06/06/2019, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 277225 – 06: «In tema di confisca di prevenzione, il sopravvenuto giudicato penale di assoluzione non integra automaticamente la causa di revocazione di cui all’art. 28, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n.159, attesa l’autonomia del giudizio di prevenzione da quello penale, con la conseguenza che la misura può essere revocata solo ed esclusivamente se il processo penale abbia accertato, nel merito, l’assoluta estraneità del proposto ai fatti reato sulla base dei quali, essendo stato ritenuto pericoloso, era stata ordinata la confisca»), ed altresì che la revocazione non può essere invocata per sollecitare un nuovo giudizio sugli elementi di fatto già oggetto di esame nei giudizi di impugnazione ordinaria al di fuori delle ipotesi tipizzate dall’art. 28, comma 1, del codice antimafia (cfr. Sez. 5, n. 18000 del 14/02/2024, COGNOME
Rv. 286450).
Ciò posto, si deve rilevare che l’intervenuta assoluzione del Mauro non scalfisce gli elementi che erano stati posti a fondamento del suo giudizio di pericolosità, poichØ questa Corte, rigettando il ricorso interposto avverso il decreto di confisca del 21 marzo 2016 della Corte di appello di Torino, aveva già espressamente chiarito che «non assume(ndo) rilevanza ai fini del giudizio di pericolosità il procedimento instaurato nel 2013, e, quindi, in epoca successiva alla pronuncia del decreto di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, del 20 febbraio 2012»; peraltro, le motivazioni della piø recente sentenza assolutoria lasciano chiaramente intendere che il Mauro aveva effettivamente perpetrato – e sostanzialmente confessato, non solo in spontanee dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria, ma anche nelle conversazioni intercettate puntualmente richiamate alle pagine 10 e 11 del provvedimento qui impugnato – delitti contro il patrimonio, consegnando dollari falsi a soggetti che si erano rivolti a lui ed ai suoi complici per riciclare circa dieci milioni di euro di provenienza illecita, ed aveva in questo modo accumulato ingenti profitti illeciti: sicchØ Ł del tutto irrilevante, ai fini che qui interessano, che l’autorità giudiziaria abbia ritenuto che quei fatti non potessero essere contestati al Mauro ai sensi dell’art. 648 bis cod. pen., ma solo ai sensi dell’art. 640 cod. pen., reato oramai improcedibile perchØ estinto per prescrizione, poichØ, come ineccepibilmente osservato dai giudici milanesi, lungi dal negare il presupposto della pericolosità, la sopravvenuta sentenza assolutoria ha comunque ricondotto l’attività illecita perpetrata dal Mauro «ad un delitto lucrogenico, quello di truffa», in sostanziale continuità «con il modo di operare ascritto al proposto dal giudicato di prevenzione, proprio con specifico riferimento alla sua attività delittuosa lucrogenica. Il richiedente, infatti, nel primo procedimento di prevenzione a suo carico aveva ammesso di aver perpetrato numerose truffe nei confronti di soggetti facoltosi mediante spendita di denaro falsificato».
Dunque, i fatti accertati con la sentenza penale valorizzata dal ricorrente non sono affatto idonei ad escludere in modo assoluto l’esistenza dei presupposti di applicazione della confisca, e, anzi, confermano e forniscono un ulteriore elemento di riscontro al giudizio di pericolosità che fu formulato nei confronti del Mauro con riferimento all’arco temporale nel quale venne a crearsi la provvista necessaria all’acquisto degli strumenti finanziati poi confiscati; inoltre, quei fatti non sono in alcun modo idonei a scalfire i plurimi elementi (analiticamente indicati alle pagine 3 e 4 del provvedimento oggi impugnato) sulla base dei quali si ritenne che i beni confiscati fossero di fatto nella disponibilità del NOME, e che gli stessi fossero stati acquistati con capitali di provenienza illecita, sicchØ, anche in considerazione di tali ulteriori aspetti, deve ritenersi che i motivi posti dal ricorrente a fondamento della richiesta di revocazione della confisca fossero manifestamente infondati.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 05/12/2024
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME