Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30561 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 30561 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il DATA_NASCITA a ROMA
avverso il decreto in data 05/07/2023 della CORTE DI APPELLO DI PERU- visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME, per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna il decreto in data 05/07/2023 della Corte di appello di Perugia, che ha rigettato l’istanza di revocazione parziale della confisca disposta dal Tribunale di Roma con il decreto in data 22/11/2016. In particolare, la richiesta di revocazione è stata avanzata in relazione a 39.378 azioni intestate alla società RAGIONE_SOCIALE (del valore nominale di euro 1,44 ciascuna) della società RAGIONE_SOCIALE SRAGIONE_SOCIALE, con annessi beni in godimento. La richiesta di revocazione veniva avanzata sulla base di una prova nuova, indicata nella scoperta che tali titoli venivano acquistati a titolo oneroso da NOME COGNOME (padre del ricorrente e originario proposto in relazione alla confisca) tra il 1986 e 1990, prima del perimetro di pericolosità, individuata dal tribunale delle misure di prevenzione nel 1992. Il ricorrente specifica di essere venuto a conoscenza di tale circostanza soltanto di recente, quando rinveniva tali titoli azionari presso la sede sociale e dopo avere
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NOME;
estratto copia autentica degli stessi, così dovendosi ritenere prova nuova.
Deduce:
Violazione di legge e vizio di motivazione “in relazione all’art. 28 Decreto legislativo n. 159/2011, travisamento della prova, carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione”.
1.1. Il ricorrente premette che la Corte di appello ha rigettato l’istanza di revocazione ritenendo che la conoscenza della data di acquisto dei titoli azionari non potesse considerarsi prova nuova, in quanto la relativa documentazione era stata restituita al genitore dell’odierno ricorrente già nel 2017, quando era ancora in corso il giudizio di appello avverso il decreto del tribunale. Specifica ulteriormente che la Corte di appello ha osservato che «se il NOME non fosse stato nella materiale disponibilità dei certificati, era certamente a conoscenza, unitamente al padre, effettivo “dominus” dell’atto di compravendita, della loro esistenza e della circostanza che attraverso la loro produzione avrebbe potuto provare che l’acquisto da parte di NOME COGNOME era avvenuto prima dell’anno DATA_NASCITA, circostanza di cui non risulta che abbiano neppure fatto cenno ne corso del giudizio».
1.2. Ciò premesso, la prima doglianza si rivolge alla sostanziale identificazione della posizione di NOME con quella del padre NOME, operata dalla Corte di appello nella parte in cui osserva che la posizione dell’odierno ricorrente non può essere distinta da quella del padre, il quale per forza di cose era a conoscenza del momento in cui aveva acquistato le azioni in rapporto al momento in cui si era manifestata la sua pericolosità.
Si sostiene che un tale argomentare si poggia su un doppio salto logico, perché la Corte di appello -con motivazione apodittica- ritiene che NOME dovesse avere il medesimo bagaglio conoscitivo del padre e, conseguentemente, non potesse non sapere della data di acquisto dei titoli.
Precisa il ricorrente che la conoscenza della data di acquisto è pervenuta al ricorrente solo nel momento in cui rinveniva i titoli stessi, fino ad allora incolpevolmente non conosciuti.
1.3. Il ricorrente denuncia, inoltre, il travisamento della motivazione e il mancato confronto con gli elementi di prova offerti in valutazione, là dove la Corte di appello afferma che lo stesso COGNOME era a conoscenza della data di acquisto dei titoli azionari, in quanto li aveva acquistati a titolo oneroso dal padre nel 2013 ed erano nella sua disponibilità, negli armadi della società, in INDIRIZZO.
A tale proposito viene evidenziato che, in realtà, la società era inattiva da oltre un decennio e che quei titoli dovevano essere nella disponibilità dell’amministrazione e, anzi, già nel 2017 risultavano acquisiti dall’RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione e per la destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati alla Criminalità.
Aggiunge che, ancorché l’immobile in INDIRIZZO della Guerra di Liberazione gli venisse restituito nel 2016, soltanto nel 2023 decideva di riordinare le scritture contabili, così venendo in possesso dei titoli soltanto in quel momento, così venendo a conoscenza della loro data di acquisto.
Da ciò si deduce la buona fede e il legittimo affidamento riposto da NOME nell’operato della procedura concorsuale.
Vengono dedotte ulteriori circostanze utili a dimostrare la fallacia delle argomentazioni sviluppate dalla Corte di appello.
1.4. Il ricorrente richiama, quindi, la nozione di prova nuova così come elaborata dalla giurisprudenza di legittimità, con particolare riferimento alla sentenza delle Sezioni Unite Lo COGNOME (Sez. Un., Sentenza n. 43668 del 26/05/2022, Rv. 283707 – 01), e rimarca come la vicenda in esame sia rispettosa del principio di diritto quivi fissato, in quanto la circostanza fondante l’istanza di revocazione deve essere incasellata nell’ipotesi di una prova preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo la definitività della misura ablativa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. In punto di fatto, va premesso che NOME ha proposto l’istanza di revocazione in relazione al provvedimento di confisca di prevenzione assunto nei confronti del padre (NOME) e nella qualità di erede di quest’ultimo, deceduto dopo la definitività del decreto di cui oggi si chiede la parziale revocazione.
Ciò detto, il ricorrente censura il decreto impugnato nella parte in cui la Corte di appello parifica la sua posizione con quella del padre, NOME, trasferendo al primo il patrimonio cognitivo di quest’ultimo e facendo riferimento alle conoscenze di NOME al fine di stabilire la colpevolezza o meno della mancata deduzione nel corso del giudizio della prova preesistente, ma non conosciuta da NOME, odierno istante in revocazione.
A tale proposito NOME COGNOME fa presente di essere venuto a conoscenza della circostanza addotta come prova nuova -ossia l’acquisto dei titoli azionari a titolo oneroso, tra il 1986 e il 1990, in data antecedente al perimetro di pericolositàsoltanto nel 2017, quando nel riordinare la sede della società RAGIONE_SOCIALE, veniva in possesso dei titoli azionari in questione, quando il procedimento di prevenzione si era oramai definitivamente.
1.2. Ciò premesso, le conclusioni raggiunte dalla Corte di appello si mostrano corrette e coerenti rispetto all’indiscutibile dato processuale che vede NOME COGNOME -ossia il padre dell’odierno ricorrente- quale proposto, partecipe e protagonista del procedimento di prevenzione sfociato nella misura patrimoniale di cui oggi si chiede la parziale revocazione.
Il ricorrente, in sostanza, chiede di stabilire se il requisito della mancata
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conoscenza incolpevole della prova preesistente debba essere parametrata al medesimo soggetto che ha partecipato al giudizio o possa essere calibrata a un soggetto estraneo a quel giudizio e che nella sua qualità di erede del proposto sia entrato in possesso di documenti e sia venuto a conoscenza di notizie che già facevano parte del patrimonio conoscitivo del de cuius, ma che questi non ha fatto valere in giudizio.
Va, dunque, ricordato che in tema di confisca di prevenzione, la prova nuova rilevante ai fini della revocazione della misura ai sensi dell’art. 28 del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 159, è sia quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, sia quella preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva, mentre non lo è quella deducibile e non dedotta nell’ambito del suddetto procedimento, salvo che l’interessato dimostri l’impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore, (Sez. U – , Sentenza n. 43668 del 26/05/2022, COGNOME, Rv. 283707 – 01).
Nell’ambito del rimedio previsto dall’art. 28 decreto legislativo n. 159 del 2011, quindi, non è possibile riaprire la sequenza procedimentale sfociata nell’emissione di decreto di confisca definitivo in ragione dell’allegazione di prove che si sarebbero potute e dovute allegare tempestivamente nel giudizio in corso, in mancanza di forza maggiore o caso fortuito che abbiano impedito tale deduzione o allegazione.
Va puntualizzato che l’astratta deducibilità dell’elemento dì prova, la colpevolezza o meno della sua mancata conoscenza o della mancata allegazione va verificata tenendo conto delle condizioni soggettive e oggettive presenti nel momento in cui il giudizio era ancora in corso, ossia nel momento dinamico dello svolgimento del giudizio e in riferimento ai protagonisti di esso.
Tanto vale a dire che la novità della prova -nel senso enunciato- deve essere verificata guardando alla posizione del proposto nel momento dello svolgimento del processo e alla possibilità che quello fosse -o meno- a conoscenza dell’elemento di prova e che non l’abbia colpevolmente -o meno- allegata o dedotta.
1.3. Quanto esposto evidenzia la manifesta infondatezza di quanto sostenuto con il ricorso, là dove del tutto correttamente la Corte di appello ha negato la revocazione facendo riferimento al patrimonio cognitivo del proposto, osservando che il tempo dell’acquisto dei titoli azionari in questione e delle modalità di tale acquisto erano circostanze necessariamente a conoscenza del proposto al tempo della celebrazione del giudizio, visto che era stato lui stesso ad averli acquistati, così che tali circostanze non possono considerarsi prova nuova nel senso già enunciato.
NOME Quanto COGNOME esposto COGNOME porta COGNOME alla NOME declaratoria COGNOME di COGNOME inammissibilità
dell’impugnazione, cui segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14/05/2024