Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 21887 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 21887 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Ricadi il DATA_NASCITA avverso il decreto del 28/06/2023 della Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; lette le richieste dei difensori del ricorrente,, AVV_NOTAIO e COGNOME COGNOME, che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con il decreto indicato in epigrafe la Corte di appello di Milano ha dichiarato inammissibile la richiesta della revocazione, ex art. 28 d.lgs. n. 159 del 2011, della confisca disposta nei confronti di NOME COGNOME, della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE con decreto del Tribunale di Torino del 9 novembre 2020, confermato dal decreto della Corte di appello di Torino del 14 ottobre 2021.
Nel decreto del Tribunale di Torino si afferma che la pericolosità qualificata del proposto trova giustificazione nel rapporto con gli ‘ndranghetisti NOME COGNOME e NOME COGNOME, a vantaggio dei quali egli aveva assunto il ruolo di amministratore fittizio della RAGIONE_SOCIALE, e che dalla ‘9ne degli anni ‘ egli ha fittiziamente intestato beni e partecipaizioni a terzi e familiari, tra i qu NOME COGNOMECOGNOME suo storico collaboratore.
Nel 2011 il COGNOME è stato condannato per violazioni della normativa contro la criminalità organizzata e per i reati di cui agli artt. 648-bis e 648-t cod. pen. In quel processo è emerso che egli sin dal 1991 era stato il commercialista di fiducia di società facenti capo a soggetti appartenenti alla ‘ndrangheta e in particolare alla cosca COGNOME, per la quale curava il riciclaggio dei proventi del narcotraffico. Il riciclaggio avveniva attraverso l’acquisto di beni immobili con denaro di provenienza illecita e la loro successiva rivendita o reimpiego.
Il Tribunale ha affermato che la pericolosità qualificata del COGNOME si è protratta dal 2005 sino alle due sentenze di patteggiamento, una pronunciata nel 2011 e l’altra nel 2014, per i reati di cui agli artt. 648-bis e 648-ter cod. pen.
Quanto alla pericolosità generica, nel decreto del Tribunai,e si afferma che il COGNOME era stato imputato per avere emesso tra il 2004 ed il 2008 fatture di importo ingente per operazioni inesistenti a favore di società ed imprese allo stesso riconducibili; il COGNOME è stato condannato in primo grado e poi prosciolto per essere i reati estinti per prescrizione; inoltre, si segnala che COGNOME nel 2015 è stato condannato con sentenza irrevocabile per il delitto di evasione dell’IVA per un importo di oltre euro 3.000.000,00 commesso nel 2012; al fine di evadere l’imposta il COGNOME ha simulatamente alienato alla figlia la sua quota di partecipazione al capitale della RAGIONE_SOCIALE La pericolosità generica è stata ritenuta sussistente dal 2004 al 2012 e nel decreto della Corte di appello si afferma (vedi pag. 38) che si «tratta di un’attività illecita seria sistematica, per valori decisamente significativi, posta in essere continuativamente per diversi anni».
La richiesta di revocazione poggia sulla sopravvenuta assoluzione del COGNOME, in sede di revisione, dalle imputazioni per le quali erano state emesse le sentenze di applicazione di pena del 4 aprile 2011 e del 10 novembre 2011.
NOME COGNOME e NOME COGNOME, titolari della RAGIONE_SOCIALE, sono stati prosciolti dal reato di riciclaggio in quanto è stato accettato che i capital impiegati in detta società non provenivano dal narcotraffico; a seguito del loro proscioglimento, NOME COGNOME ha avviato il procedimento per la revisione delle sentenze di applicazione di pena che ha condotto al suo proscioglimento.
A seguito del suo proscioglimento, deve ritenersi insussistente la sua pericolosità qualificata che aveva giustificato l’adozione della confisca quale misura di prevenzione. Poiché nei decreti emessi in seno al procedimento di prevenzione si affermava che la pericolosità qualificata e quella generica trovavano origine nel medesimo modus operandi del COGNOME, aduso a ricorrere alle intestazioni fittizie, il giudizio sulla pericolosità generica tr forza da quello sulla sua pericolosità qualificata, risultando i due profili inscindib tra loro.
In particolare, la confisca della totalità delle quote sociali, sebbene acquistate dal COGNOME al di fuori del perimetro temporale indicato nel provvedimento, troverebbe giustificazione solo nella pericolosità sociale qualificata del proposto e nella possibilità di applicare l’art. 24, comma 1-bis, d.lgs. n. 159 del 2011. L’annullamento delle sentenze di applicazione di pena all’esito del giudizio di revisione travolgerebbe la pericolosità qualificata e co essa la affermazione che le società sarebbero imprese mafiose e quindi la loro confisca.
Quanto alla pericolosità generica, i reati sui quali essa si fonda avrebbero generato solo dei risparmi di spesa e comunque essi non avrebbero inquinato l’intero processo produttivo delle società coinvolte, costituite molti anni prima dei fatti di reati. Quanto alla sentenza del 13 gennaio 2015 per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, il profitto a questo relativo aveva costituito oggetto di confisca, cosicché non potesse sostenersi che le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ne avessero tratto alcun vantaggio economico.
Pertanto, per effetto dell’esito del giudizio di revisione, doveva ritenersi che la confisca dei beni delle due società acquistati tra il 1988 ed il 2004 fosse stata disposta in mancanza di qualsiasi forma di pericolosità sociale ascrivibile al COGNOME in quel periodo.
La Corte di appello di Milano ha dichiarato inammissibile l’istanza di revocazione.
4.1. Ha in primo luogo osservato che le sentenze di assoluzione pronunciate all’esito del dibattimento nei confronti dei coimputati per i delitti di cui agli 648-bis e 648-ter cod. pen. sono state emesse una in data 10 gennaio 2019, divenuta irrevocabile il 27 maggio 2019, e l’altra il giorno 11 dicembre 2020, divenuta irrevocabile il 10 giugno 2021. Esse già esistevano e potevano essere prodotte nel procedimento per l’applicazione della misura di prevenzione, una già nel corso del giudizio di merito di primo grado e l’altra nel corso del giudizio d appello; né tali giudicati erano rimasti ignoti all’odierno ricorrente per causa a l non imputabile. Conseguentemente, i precedenti assolutori non potevano essere
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dedotti al fine di invocare la revocazione della misura di prevenzione, ostandovi l’art. 28, comma 1, d.lgs. n. 159 del 2011.
4.2. In secondo luogo, il COGNOME aveva certamente avuto conoscenza delle pronunce assolutorie più di sei mesi prima della proposizione della istanza di revocazione, avvenuta il 17 dicembre 2022, con la conseguenza che l’istanza era inammissibile anche a causa della maturazione del termine di decadenza di cui all’art. 28, comma 3, lett. b), d lgs. n. 159 del 2011.
Il termine aveva iniziato a decorrere dalle pronunce assolutorie nei confronti dei coimputati e non dalla pronuncia emessa nei confronti del COGNOME nel giudizio di revisione, poiché ai fini della revocazione della confisca di prevenzione non costituisce fatto nuovo il mero passaggio in giudicato della sentenza di assoluzione nel procedimento penale nel quale il proposto era imputato, costituendo l’irrevocabilità un dato meramente formale; rileva, invece, l’accertamento definitivo del fatto invocato dal richiedente come inconciliabile con i presupposti della confisca di prevenzione, ossia, nel caso di specie, l’accertamento della non provenienza da delitto delle somme che il proposto avrebbe riciclato attraverso la RAGIONE_SOCIALE, accertamento già contenuto nelle sentenze assolutorie pronunciate nei confronti dei coimputati; il COGNOME ben avrebbe potuto avviare contemporaneamente il giudizio di revisione della sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti e il procedimento di revocazione della misura di prevenzione patrimoniale, non essendovi un rapporto di necessaria pregiudizialità tra di essi.
4.3. Inoltre, la Corte di appello ha evidenziato l’infondatezza dell’istanza affermando che l’assoluzione dai delitti di cui agli artt. 648-bis e 648-ter cod. pen. non valeva di per se stessa a far ritenere caducato il giudizio di pericolosità del COGNOME sul quale poggiava il provvedimento di confisca.
La pronuncia assolutoria non consentiva di ritenere provenienti da delitto i capitali impiegati in RAGIONE_SOCIALE, ma la confisca trovava giustificazione, oltr che sui delitti fiscali definitivamente accertati, anche sul ricorso sistematico, ad opera del COGNOME, alla intestazione fittizia di beni e partecipazioni societarie al fine di sottrarsi alla responsabilità patrimoniale per le obbligazioni da lui assunte, in tal modo commettendo attività delittuose lucrogenetiche riconducibili alle fattispecie incriminatrici di cui all’art. 12-quinquies decreto-legge n. 306 del 1992, nonché agli artt. 56, 640, 483 cod. pen.
Quanto poi ai reati fiscali, nel provvedimento di confisca veniva sottolineato che l’attività delittuosa di evasione di imposta era attuata in modo stabile e sistematico; né poteva sostenersi che tale attività non fosse lucrogenetica, limitandosi essa a determinare un risparmio di imposta e non un arricchimento del proposto.
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Non può quindi ritenersi fondata la tesi, sostenuta nell’istanza di revocazione, secondo la quale il giudicato di prevenzione avrebbe escluso ogni manifestazione della sua pericolosità per gli anni dal 1988 al 2004, nei quali le società oggetto di confisca avevano visto accrescere il loro patrimonio.
Avverso il decreto della Corte di appello di Milano ha proposto ricorso NOME COGNOME, a mezzo dei suoi difensori, ognuno dei quali ha fatto pervenire un atto di impugnazione, chiedendone l’annullamento ed articolando complessivamente sette motivi di ricorso.
5.1. Con il primo motivo – corrispondente al primo motivo dell’atto sottoscritto dall’AVV_NOTAIO – il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 28, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011 nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto tardiva la istanza di revocazione.
Sostiene che illegittimamente la Corte di appello, per escludere la rilevanza della pronuncia assolutoria, ha invocato l’art. 28, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011, sebbene l’istanza fosse stata proposta ai sensi dell’art. 28, comma 1, lett. b), d.lgs. cit., considerando la pronuncia di proscioglimento alla stregua di una «prova nuova» sopravvenuta al giudicato di prevenzione, ipotesi diversa e disciplinata dalla lettera a) della medesima disposizione.
La ipotesi di cui alla lettera a) riguarda il sopravvenire d una prova nuova la cui idoneità a dimostrare la insussistenza del fatto sul quale si fonda il giudizio d pericolosità che ha condotto alla confisca dovrebbe essere valutata nel procedimento teso alla revocazione della misura ablativa; nella ipotesi di cui alla lettera b), invece, l’accertamento del fatto che esclude in modo assoluto la sussistenza dei presupposti di applicazione della confisca è già stato operato in altro procedimento ed è consacrato in altra sentenza penale definitiva.
Peraltro, i giudicati assolutori cui la Corte di appello ha fatto riferiment proprio perché pronunciati nei confronti dei coimputati, non consentivano la proposizione dell’istanza di revocazione ai sensi della citata lettera b), in quanto solo il giudicato assolutorio pronunciato nei confronti del COGNOME avrebbe assunto valore vincolante nei confronti del giudice della revocazione.
In relazione alla ipotesi di cui alla lettera b), viene in rilievo il principio di non contraddizione dell’ordinamento, per il quale in presenza di un contrasto tra il giudicato pronunciato all’esito del processo penale, caratterizzato da maggiori garanzie, e il giudicato di prevenzione deve accordarsi prevalenza al primo.
5.2. Con il secondo motivo – corrispondente al secondo motivo dell’atto sottoscritto dall’AVV_NOTAIO il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 28, comma 1, lett. b), cligs. n. 159 del 2011 nella parte in cui ha ritenuto la pronuncia assolutoria inidonea ad escludere in modo assoluto la
sussistenza dei presupposti per l’applicazione della confisca, anche in conseguenza del principio di legalità di cui all’art. 7 CEDU.
La Corte di appello ha ritenuto che, nonostante la pronuncia assolutoria, il giudizio di pericolosità rimarrebbe fermo in quanto fondato anche su altri elementi, sopra indicati.
Sostiene, allora, il ricorrente che l’avere egli svolto attività di commercialis in favore di ‘ndranghetisti come COGNOME, COGNOME COGNOME COGNOME non è una condotta illecita e costituisce un dato del tutto neutro sul quale non può fondarsi il giudiz di pericolosità, tanto che esso non era stato preso in considerazione dal Tribunale di Torino.
Proprio le condanne per i fatti per i quali egli era stato successivamente prosciolto a seguito di revisione avevano consentito di ritenere sussistente, a partire dal 2005, la sua pericolosità qualificata ai sensi dell’art. 4, lett. a), d.lgs. cit., sulla quale soltanto poggiava la confisca totalitaria delle società.
Peraltro, proprio l’identità del modus operandi, essendo egli solito intestare fittiziamente ad altri beni e partecipazioni sociali, aveva consentito di di attribu rilevanza alle condotte per le quali egli era stato successivamente condannato e che integravano delitti tributari e di considerare la sua pericolosità come protrattasi, senza soluzione di continuità, sino al 2012.
Il venir meno delle condotte di riciclaggio aveva incrinato lo schema logicogiuridico della connessione e continuità tra tali condotte e quelle, successive, finalizzate all’evasione fiscale e dimostrative della pericolosità generica.
Peraltro, le fatture per operazioni inesistenti emesse negli anni dal 2004 al 2007 ammontavano, quanto ad imposta evasa, a poche decine di migliaia di euro mentre il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte era stato commesso nel 2012.
In ogni caso, i fatti sui quali si fondava la pericolosità generica, in quant non commessi in forma abituale e sistematica, non possono giustificare la confisca, essendo a tal fine necessario che il proposto ed i suoi familiari abbiano tratto, in tutto o in parte, le risorse necessarie al loro sostentamento; né pu ritenersi sufficiente la mera condizione di indiziati di delitti lucrogenetici.
I residui fatti sui quali era stato fondato il giudizio di pericolosità, va isolatamente, senza considerare i delitti per i quali il COGNOME, all’esito d revisione, era stato prosciolto, non consentivano di conservare la base legale della confisca; sul punto, la motivazione offerta dalla Corte di appello di Milano è solo apparente, non essendo sufficiente a tal fine l’abitudine del COGNOME di intestare a soggetti a lui vicini, quale era il COGNOME, beni e partecipaz societarie. La intestazione formale di beni e partecipazioni in capo ad altre persone non equivaleva alla commissione del reato di intestazione fittizia,
essendo necessario a tale ultimo fine accertare la finalizzazione della intestazione alla elusione delle norme in materia di misure di prevenzione o di contrabbando.
Nello stesso decreto della Corte di appello di Milano si riconosce che le intestazioni fiduciarie erano finalizzate solo ad ostacolare i terzi interessati soddisfare sui beni simulatamente intestati ad altri soggetti le loro ragioni creditorie.
Non è, quindi, possibile retrodatare l’insorgenza della pericolosità generica ad un momento anteriore alla commissione dei delitti tributari per i quali sono state pronunciate le sentenze di condanna e del resto neppure il Tribunale di Torino aveva attribuito rilevanza alle mere condotte di intestazione fiduciaria.
In ogni caso, la riconducibilità delle intestazioni fiduciarie al paradigma legale della pericolosità generica viola l’art. 7 CEDU, atteso che all’epoca esse, previste e punite dall’art. 12-quinquies del decreto-legge n. 306 del 1992, non configuravano alcuna figura astratta di pericolosità sociale; i reati previst dall’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen. sono stati ritenuti rilevanti ai sensi dell’art. 4, lettera b), d.lgs. n. 159 del 2011 solo per effetto del decreto-legge n. 92 del 2008 il cui art. 10 estendeva la platea dei destinatari delle misure di prevenzione patrimoniale anche ai soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.; solo in epoca successiva alle condotte di intestazione fittizia queste hanno assunto rilievo ai fini dell’applicazione del misure di prevenzione. Pertanto, non essendo le suddette condotte penalmente illecite nel momento in cui erano state attuate, esse neppure potevano essere prese in considerazione ai fini della pericolosità sociale e della conseguente applicazione delle misure di prevenzione.
A tale proposito, il ricorrente segnala che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 24 del 2009 ha affermato che il proposto deve avere la possibilità di valutare, sin dal momento della condotta, le sue conseguenze di ordine personale e patrimoniale.
5.3. Con il terzo motivo – corrispondente al terzo motivo dell’atto sottoscritto dall’AVV_NOTAIO il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 28, comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 1, lett. 5), e 24 del d.lgs. n. 159 del 2011, nonché mancanza di motivazione in ordine al requisito legale della correlazione temporale tra acquisti e pericolosità sociale.
Il Tribunale aveva fatto decorrere la pericolosità sociale dal 2004 e, tuttavia, il provvedimento di confisca aveva colpito il capitale sociale delle società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE ed i rispettivi compendi aziendali, sebbene le predette società fossero state costituite ben prima del 2004 e prima di tale anno avessero acquistato tutti gli immobili oggetto di confisca, eccettuato uno acquistato nel 2006. Tale risultato era stato possibile affermando che le società
erano strumenti attraverso i quali il COGNOME aveva costruito il castello di fals fatture oggetto del procedimento conclusosi con sentenza di improcedibilità per estinzione del reato, in tal modo operando una indebita traslazione della pericolosità sociale del proposto alle società di cui egli aveva la disponibilità confondendo gli elementi costitutivi della pericolosità sociale del proposto con quelli dell’impresa mafiosa, ossia dell’impresa che esercita la sua attività avvalendosi della forza di intimidazione e ricevendo vantaggi illeciti.
Le due società erano, invece, state costituite molti anni prima della commissione dei delitti di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti attuati in un ambito temporale ristretto a soli tre anni. Inoltre, nel decreto del Corte di appello di Milano neppure si valuta l’incidenza di tali reati sul cic economico aziendale, occorrendo per la confisca totale delle partecipazioni societarie una contaminazione irreversibile dei meccanismi di accumulazione della ricchezza prodotta, cosicché non sia possibile distinguere tra capitali leciti ed illeciti, dovendo altrimenti la confisca essere limitata alla quota riferibile apporti illeciti.
Il Tribunale di Torino aveva proceduto alla confisca globale delle società ritenendole imprese mafiose.
Una volta esclusa la pericolosità qualificata del proposto, la Corte di merito avrebbe dovuto procedere alla verifica della conformità del decreto di confisca al paradigma legale, non potendo discendere dall’accertamento dei reati di evasione fiscale la ablazione dell’intero capitale sociale in assenza di un accertamento della misura in cui l’evasione fiscale aveva inciso sul patrimonio delle società.
5.4. Con il quarto motivo – corrispondente al primo motivo dell’atto sottoscritto dall’AVV_NOTAIO – il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, in relazione all’art. 24, comma 1-bis dello stesso d.lgs., sostenendo che sarebbe erronea la dichiarazione di inammissibilità della richiesta di revocazione per difetto della «base legale» del decreto di prevenzione.
Sostiene che la Corte di appello avrebbe errato nell’affermare che il rimedio della revocazione di cui all’art. 28, comma 2, d.lgs. cit. è esperibile al fine di valere il difetto originario dei presupposti della confisca a seguito dell sopravvenuta sentenza n. 24 del 2019 della Corte costituzionale, ma non anche ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. b), del citato d.lgs. nel caso in cui il proposto eccepisca il difetto di «base legale» del provvedimento ablatorio, in quanto emesso in relazione a condotte tenute prima dell’entrata in vigore della normativa richiamata e quindi in forza di un’applicazione retroattiva della misura di prevenzione patrimoniale. La Corte di merito avrebbe interpretato la sentenza
delle Sezioni Unite n. 3513 del 2022 ricavando dalla stessa un principio di diritto opposto rispetto a quello da essa affermato, avendo le Sezioni Unite voluto introdurre una nuova fattispecie di revocazione aperta da individuarsi nell’art. 28, comma 2, d.lgs. cit., indipendente dai casi indicati al comma 1 della stessa disposizione, ed alla quale non si applicherebbe il termine semestrale di decadenza fissato per i casi di cui al comma 1. Conseguentemente la revocazione di cui al comma 2 sarebbe esperibile non solo nei casi in cui la carenza di base legale derivi dalla sentenza della Corte costituzionale sopra citata, ma in tutti i casi di difetto originario dei presupposti della confisca tra i quali vi è appunto la mancanza di «base legale», intesa questa come possibilità per l’agente di prevedere le conseguenze delle proprie azioni già al momento del loro compimento, come affermato nella sentenza della Corte EDU COGNOME e come ribadito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 24 del 2019.
Nel caso di specie, sostiene il ricorrente, l’art. 24, comma 1-bis, d.lgs. cit. è stato utilizzato per scardinare la perimetrazione temporale della pericolosità del proposto fissata nel periodo tra il 2004 ed il 2012, onde confiscare le quote totalitarie delle società che erano state costituite molti anni prima di detto periodo, sebbene l’art. 24 comma 1-bis, d.lgs. cit. fosse stato introdotto solo con la legge n. 161 del 2017, ossia cinque anni dopo il termine delle condotte pericolose contestate al proposto.
5.5. Con il quinto motivo – corrispondente al secondo motivo dell’atto sottoscritto dall’AVV_NOTAIO – il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 28, comma 1, lett. b), e comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 in ordine alla tempestività della richiesta di revocazione e l’erronea applicazione dell’art. 28, comma 1, lett. a), d.lgs. cit. in ordine al requisito della novità della prova.
Il ricorrente ribadisce gli argomenti già sviluppati nel primo motivo, aggiungendo che il contrasto di giudicati non deriva automaticamente dalla diversità delle decisioni adottate da giudici diversi nei confronti di coimputati giudicati separatamente, potendo tale situazione derivare dal principio di libertà di valutazione del fatto da parte del singolo giudice, specie quando i coimputati abbiano scelto riti differenti. La sola circostanza che i coimputati del COGNOME fossero stati prosciolti nel processo ordinario non valeva di per sé a far ritenere sussistente un contrasto di giudicati con le sentenze di applicazione di pena pronunciate a carico del COGNOME. Solo a seguito dell’accertamento, operato dal giudice della revisione, della inconciliabilità dei fatti storici contenuti ne sentenze dei coimputati è stato possibile pervenire alla assoluzione del COGNOME e solo in conseguenza della sua assoluzione è divenuto possibile richiedere la revocazione della confisca ai sensi dell’art. 28, comma 1, lett. b), d.lgs. cit., essendo venuto meno il fatto che ha condotto il suo inquadramento
nella categoria dei pericolosi qualificati ex art. 4 d.lgs. cit. e non essendo più consentito al giudice della revocazione porre a base del giudizio di pericolosità le due sentenze di patteggiamento.
In particolare, il ricorrente segnala che solo le due sentenze di patteggiamento avevano consentito di affermare la sua pericolosità qualificata e quindi di ricorrere all’art. 24, comma 1-bis, d.lgs. cit. per superare la perinnetrazione temporale della pericolosità generica.
5.6. Con il sesto motivo – corrispondente al terzo motivo dell’atto sottoscritto dall’AVV_NOTAIO – il ricorrente lamenta la mancanza o mera apparenza della motivazione laddove è stato affermato che il proscioglimento del COGNOME dalle imputazioni per le quali erano state pronunciate nei suoi confronti le sentenze di applicazione di pena non dimostrerebbe in modo assoluto il difetto originario dei presupposti della misura di prevenzione.
Sostiene il ricorrente che il tema posto dalla difesa è la opravvenuta impossibilità di suo inquadramento nella categoria della pericolosità qualificata di cui all’art. 4 d.lgs. cit.
Il provvedimento di confisca ha ritenuto il COGNOME caratterizzato sia da pericolosità qualificata per il periodo dal 2005 al 2012, sia da pericolosità generica dal 2004 al 2012 e per giustificare la confisca totalitaria delle partecipazioni nelle società sopra indicate il decreto del Tribunale di Torino fa riferimento alla pericolosità qualificata affermando che essa trae origine dai rapporti del COGNOME con gli ‘ndranghetisti COGNOME e COGNOME, riciclatori dei proventi illeciti della cosca COGNOME, proventi che sarebbero confluiti nelle società del COGNOME.
A seguito della sentenza di revisione, il COGNOME non può essere più inquadrato nella categoria dei pericolosi qualificati, non avendo commesso alcuno dei reati di cui all’art. 4 d.lgs. cit.
Quanto alla pericolosità generica, questa è sorta solo nel 2004 ed isolatamente considerata non può valere a consentire la confisca di acquisti verificatisi prima del 2004.
La Corte di appello di Milano, invece, ha ritenuto che la pericolosità del COGNOME permanesse sulla base di altri elementi, che, tuttavia, farebbero tutti riferimento alla pericolosità qualificata ed alla conseguente possibilità di ricorrere all’art. 24, comma 1-bis, d.lgs. n. 159 del 2011.
Il ricorrente analizza i singoli elementi indicati dalla Corte territoria indicando le ragioni per le quali essi sarebbero irrilevanti. Il mero ricorso alle intestazioni fiduciarie non è di per se stesso un comportamento penalmente illecito, come riconosciuto dal Tribunale di Torino.
I suggerimenti forniti agli amministratori di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni da
rendere agli inquirenti in ordine ad alcuni versamenti da lui eseguiti in favore della società erano stati utilizzati per affermare la sua responsabilità per i delit di riciclaggio dai quali era stato prosciolto in sede di revisione,
Inoltre, la Corte di appello ha affermato che le assoluzioni sarebbero inidonee ad escludere ogni manifestazione della sua pericolosità negli anni dal 1988 al 2004, non considerando che il Tribunale di Torino ha escluso l’esistenza di elementi sulla base dei quali poter affermare la sua pericolosità in quegli anni, affermando espressamente che detta pericolosità si manifesta solo a partire dal 2004.
5.7. Con il settimo motivo – corrispondente al quarto motivo dell’atto sottoscritto dall’AVV_NOTAIO – il ricorrente sostiene che la pericolosità generica, fondata RAGIONE_SOCIALE sole condanne per reati in materia tributaria da lui riportate, non consentono di inquadrare le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE tra le imprese mafiose, completamente illecite, e che pertanto non è consentito il ricorso all’art. 24, comma 1-bis, d.lgs. n. 159 del 2011 per addivenire alla loro integrale confisca pur essendo esse state costituite diversi anni prima del 2004 e sempre prima abbiano proceduto all’acquisto di diversi beni immobili.
Entrambi i difensori del ricorrente hanno fatto pervenire memorie di replica alla requisitoria del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo ed il quinto motivo, con i quali il ricorrente si duole del pronuncia di inammissibilità per tardività della istanza di revocazione, sono fondati.
L’odierno ricorrente, nel richiedere alla Corte di appello di Milano la revocazione, ex art. 28 d.lgs. n. 159 del 2011, della confisca disposta nei confronti di NOME COGNOME, della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE con decreto del Tribunale di Torino del 9 novembre 2020, confermato dal decreto della Corte di appello di Torino del 14 ottobre 2021, ha invocato la lettera b) della disposizione appena citata, mentre la Corte di merito, nel giudicare tardiva l’istanza, ha fatto riferimento alla lettera a), equiparando la pronuncia di proscioglimento ad una «prova nuova» sopravvenuta al giudicato di prevenzione, ipotesi, questa, diversa da quella sulla quale l’istanza era fondata.
Come correttamente osservato dal ricorrente, l’ipotesi di cui alla lettera a) concerne la sopravvenienza di una prova nuova la cui idoneità a dimostrare
l’insussistenza del fatto sul quale poggia il giudizio di pericolosità al quale è conseguita la confisca dovrebbe essere valutata nel procedimento teso alla revocazione della misura di prevenzione; nella ipotesi di cui alla lettera b), invece, l’accertamento del fatto che esclude la sussistenza dei presupposti di applicazione della confisca è già stato operato in altro giudizio ed è racchiuso nella sentenza penale definitiva.
Le sentenze di assoluzione alle quali la Corte di appello ha fatto riferimento per affermare la tardività, in quanto non pronunciate nei confronti del COGNOME, non avrebbero consentito a quest’ultimo di avanzare istanza di revocazione ai sensi della citata lettera b), atteso che solo una sentenza assolutoria pronunciata direttamente nei confronti dello stesso avrebbe vincolato il giudice della revocazione.
L’ipotesi di revocazione di cui alla lettera b) si fonda sul principio di non contraddizione dell’ordinamento, per il quale laddove vi sia un contrasto tra il giudicato penale ed il giudicato di prevenzione deve riconoscersi la prevalenza del primo, caratterizzato da maggiori garanzie.
Affinché sussista contrasto tra il giudicato penale ed il giudicato di prevenzione non è però sufficiente che giudici diversi abbiano assunto decisioni diverse nei confronti di coimputati giudicati separatamente, potendo tale situazione derivare dal principio di libertà di valutazione del fatto da parte del singolo giudice, soprattutto laddove i coimputati abbiano scelto riti differenti.
La sola circostanza che i coimputati del COGNOME fossero stati prosciolti nel processo ordinario consentiva di ritenere sussistente un contrasto di giudicati con le sentenze emesse nei confronti del COGNOME e solo in conseguenza della assoluzione del COGNOME pronunciata dal giudice della revisione era divenuto possibile richiedere la revocazione della confisca ai sensi dell’art. 28, comma 1, lett. b), d.lgs. cit., non essendo più consentito al giudice della revocazione porre a base del giudizio di pericolosità le due sentenze di patteggiamento.
Ne consegue che la istanza di revocazione avanzata dal ricorrente non può ritenersi inammissibile per tardività ed il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Milano.
Non sono, invece, ammissibili in questa sede i motivi di ricorso con i quali il AVV_NOTAIO ha inteso attaccare la motivazione del provvedimento qui impugnato nella parte in cui si afferma che l’istanza di revocazione sarebbe anche infondata nel merito.
Con la declaratoria di inammissibilità il giudice definisce e chiude il giudizio, con la conseguenza che le considerazioni di merito, che comunque egli abbia inteso successivamente svolgere, restano irrimediabilmente fuori dalla decisione
in quanto dette valutazioni provengono da un giudice che, con la pregiudiziale declaratoria di inammissibilità, si è già spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della fattispecie controversa. Le ultrcnee considerazioni relative al merito del gravame non sono riconducibili alla decisione di inammissibilità che al riguardo egli ha adottato, ma a quella, semmai, che egli avrebbe adottato nell’ipotesi in cui il correlativo esame nori ne fosse risultato precluso e quindi trattasi di motivazioni del tutto virtuali che non sorreggono la decisione di inammissibilità per tardività adottata.
Del resto, proprio perché trattasi di argomenti attinenti al merito della istanza di revocazione e quindi alla sua fondatezza, non può affermarsi che ricorra nel caso di specie l’ipotesi, del tutto diversa, in cui a fondamento della medesima pronuncia il giudice ponga una pluralità di rationes decidendi, ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, che, pertanto può essere utilmente impugnata solo mediante la censura di tutte le rationes.
Le ragioni per le quali non è stata ritenuta fondata nel merito l’istanza non valgono a sorreggere una pronuncia di inammissibilità per tardività della istanza di revocazione.
Di conseguenza, la parte soccombente non ha l’onere o l’interesse ad impugnare le rationes attinenti al diverso profilo della fondatezza nel merito; mentre è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale di inammissibilità, è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nel provvedimento impugnato.
P.Q.M..
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Milano.