Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 10783 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 10783 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato a POTENZA il 01/02/1965 A.RAGIONE_SOCIALE
avverso il decreto del 16/10/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME COGNOME;
preso atto della memoria, con motivi nuovi, rassegnata da difensore dei ricorrente, avv. COGNOME con cui si è nuovamente richiesto l’annullamento del decreto impugnato;
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha richiesto la declaratoria di inammissibilità del decreto impugnato;
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento in epigrafe, emesso il 16 ottobre 2024 e depositato il 28 ottobre 2024, la Corte di appello di Salerno ha dichiarato inammissibile l’istanza presentata da NOME COGNOME COGNOME di revocazione della confisca di prevenzione disposta nei suoi confronti dal Tribunale di Catanzaro con decreto del 4 febbraio 2015, che aveva avuto ad oggetto beni mobili (motociclo, autovetture, mobilia), beni immobili (quota di proprietà su un cespite, due fabbricati, un locale e un terreno) e i rapporti bancari specificati nell’atto.
Il giudice della revocazione ha premesso che: con il suindicato decreto il Tribunale aveva applicato nei confronti di Aprile la misura di prevenzione patrimoniale della confisca sul presupposto dell’appartenenza del medesimo alla cosca dei Gaglianesi, appartenenza dal Tribunale tratta dal contenuto della sentenza di non luogo a procedere emessa a suo tempo dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro, appartenenza che, secondo quella decisione, non era sfociata nella partecipazione penalmente rilevante; era stata successivamente disposta dallo stesso Tribunale di Catanzaro, con decreto del 22 giugno 2022, l’applicazione nei confronti di Aprile della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale, fondandola sui medesimi presupposti del decreto di confisca, essendosi individuata in capo al proposto la pericolosità determinata dall’essere indiziato di appartenenza ad associazione di cui all’art. 416-bis cod. pen., ex art. 4, comma 1, lett. a), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159; tuttavia, la Corte di appello di Catanzaro, in accoglimento dell’impugnazione di Aprile, aveva, con provvedimento del 21 giugno 2023, annullato il decreto applicativo della misura di prevenzione personale, avendo ritenuto che non vi fosse ragione di far derivare da una pronuncia assolutoria una rivalutazione in malam partem in sede di prevenzione.
La Corte di appello di Salerno – preso atto che la difesa del proposto da quegli approdi ritenuti fra loro contrastanti, considerato anche che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro già con decreto del 25 maggio 1996 aveva archiviato il procedimento nei confronti di Aprile e in altro procedimento lo stesso era stato assolto per insussistenza del fatto, aveva desunto che all’istante competesse l’ottenimento della revocazione della confisca con i relativi provvedimenti restitutori, ovvero con la disposizione dei rimborsi di cui all’art. 46 d.lgs. cit. – ha, però, considerato che l’istanza non potesse superare il vaglio di ammissibilità, giacché l’atto dedotto come prova nuova risulta essere stato conosciuto da Aprile in tempo antecedente al termine decadenziale di sei mesi stabilito dall’art. 28 cit., senza che, per il resto potessero individuarsi altri atti costituenti prove nuove legittimanti la richiesta d
revocazione.
Avverso il provvedimento indicato NOME COGNOME ha proposto ricorso, per il tramite del difensore di fiducia, chiedendone l’annullamento e adducendo un unico motivo di impugnazione con cui si prospetta la violazione di legge, in relazione al disposto dell’art. 28 d.lgs. n. 159 del 2011, e anche il vizio della motivazione resa a sostegno della declaratoria di inammissibilità.
La Corte di appello, secondo la difesa, ha omesso di considerare come atto integrante la prova nuova il decreto del 26 maggio 1995 con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro aveva archiviato il procedimento nei confronti di Aprile per infondatezza della notizia di reato, relativa all partecipazione del medesimo a una associazione di stampo mafioso: ebbene, questo atto, integrante una prova decisiva, era stato scoperto soltanto nel mese di aprile 2024, ossia circa tre mesi prima della presentazione dell’istanza di revocazione, come risultava dalla richiesta della copia dell’atto suddetto.
Rispetto a tale pronuncia sussistevano i caratteri della novità, in quanto si trattava di prova emersa successivamente alla conclusione del procedimento di prevenzione, non conosciuta prima dell’aprile del 2024, dato che il decreto di archiviazione non era stato notificato all’interessato, e della decisività, poiché era idonea a infirmare la tenuta del costrutto motivazionale del provvedimento ablatorio, sicché essa rientrava fra quelle considerate dall’art. 28, comma 1, lett. b), in relazione al comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011.
La Corte di appello, nel provvedimento impugnato, ha liquidato la prospettazione con motivazione che il ricorrente reputa illogica, perché si è arrestata a constatare la data di emissione del decreto, risalente al 1995, e ha omesso di considerare il momento dell’acquisizione della conoscenza da parte dell’interessato: viceversa, ove fosse stata valutata la suddetta data di acquisizione della conoscenza, si sarebbe annessa alla prova la caratteristica della novità e avrebbe dovuto riconoscersi che la pericolosità sociale, che il Tribunale della prevenzione aveva considerato sussistente, risultava negata dall’archiviazione emessa proprio nel periodo in cui essa si era ritenuta manifestata nel decreto che aveva disposto la confisca.
La difesa di Aprile ha rassegnato successiva memoria contenente motivi nuovi con cui, esposta anche la linea ermeneutica maturata in materia sulla scorta delle pronunzie della Corte EDU, ha evidenziato l’approdo che cristallizza il processo di tassativizzazione della norma individuante la pericolosità del proposto, dal contenuto altrimenti indeterminato, da cui si è tratta la conclusione che il ricorrente era stato destinatario di un provvedimento di prevenzione
affetto da vizio endemico, per mancanza della condizione di pericolosità legittimante la confisca, essendo, al riguardo, evidente che la condotta materiale enucleata a suo carico dai giudici della prevenzione, ossia di aver fatto da autista a un partecipe, non potesse, né possa reputarsi idonea a consentire approdi diversi da quello pienamente liberatorio, pure nell’ambito prevenzionale, tenuto conto del giudicato assolutorio.
Il Procuratore generale ha concluso per la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, evidenziando che l’istanza di revocazione era stata fondata essenzialmente sul decreto della Corte di Appello di Catanzaro, che aveva revocato la sorveglianza speciale nei confronti del proposto, disposta il 22.06.2022, mentre, con riferimento al provvedimento di archiviazione su cui ha fatto leva primariamente il ricorso per cassazione, esso, oltre a essere risalente al 1995, ha riguardato l’ipotesi di associazione per delinquere semplice, non di tipo mafioso, finalizzata alla commissione di bancarotte fraudolente, sicché esso, da un lato, non costituisce una prova nuova e, dall’altro, appare privo di rilievo ai fini della revoca della confisca di prevenzione disposta in relazione all’ipotesi di pericolosità qualificata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso si rivela, nel suo complesso, infondato e va, pertanto, rigettato.
È utile specificare che nel provvedimento impugnato è stato osservato che l’indicato elemento di novità, costituito dal decreto della Corte di appello di Catanzaro emesso in data 21 giugno 2023, era antecedente di oltre sei mesi rispetto al deposito dell’istanza di revocazione, avvenuto il 24 luglio 2024, senza che Aprile avesse dedotto o dimostrato di non aver avuto tempestiva conoscenza per causa a lui non imputabile del provvedimento reso nei suoi confronti.
Si è anche rilevato che, in ogni caso, l’elemento suindicato non rientrava in nessuna delle ipotesi previste dall’art. 28 d.lgs. cit.: esclusa quella di cui alla le c), esso non poteva integrare la prova nuova decisiva sopravvenuta alla conclusione del procedimento, di cui alla lett. a), né l’accertamento con sentenza penale definitiva di un fatto incompatibile con i presupposti per l’applicazione della confisca di cui alla lett. b): in effetti, il substrato probatorio era quello a suo tempo accertato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro con la sentenza n. 34 del 2007, dal momento che la Corte di appello di Catanzaro, con il decreto del 21 giugno 2023, aveva raggiunto una conclusione diversa in merito alla misura di prevenzione personale sempre però riferendosi ai
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medesimi elementi di fatto già acclarati con il provvedimento succitato.
Sotto quest’ultimo aspetto, quindi, si è escluso che fosse inquadrabile come prova nuova sopravvenuta alla conclusione del procedimento o come fatto accertato con sentenza irrevocabile la valutazione operata, in riferimento alla pericolosità sociale di Aprile, dalla Corte di appello di Catanzaro nel decreto del 21 giugno 2023, valutazione – certo, di segno diverso rispetto a quello caratterizzante la valutazione in precedenza compiuta dal Tribunale della prevenzione, ma – basata pur sempre sulle medesime prove e sui medesimi fatti (ossia le conversazioni intercettate e gli esiti dei servizi di osservazione, pedinamento e controllo, che ne avevano fatto attestare il suo ruolo di autista di NOME COGNOME, membro apicale di quella associazione).
La critica svolta da COGNOME, peraltro basata su presupposti di fatto non del tutto coincidenti con quelli addotti con l’istanza di revocazione, non riesce a superare i rilievi opposti dalla Corte di appello nel decreto impugnato.
3.1. Occorre, sull’argomento, tenere primario conto delle ragioni della decisione resa dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 43668 del 26/05/2022, Lo Duca, Rv. 283707 – 01) nell’analisi compiuta per pervenire a puntualizzare il concetto di prova nuova nell’attuale procedimento di revocazione della confisca di prevenzione, essendosi affermato il principio secondo cui, in tema di confisca di prevenzione, la prova nuova, rilevante ai fini della revocazione della misura ai sensi dell’art. 28 d.lgs. cit., è sia quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, sia quella preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva, mentre non lo è quella deducibile e non dedotta nell’ambito del suddetto procedimento, salvo che l’interessato dimostri l’impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore: essa, secondo il Collegio, impone di accedere a un’interpretazione sorvegliata del concetto di novum rilevante ai presenti fini.
Si muove dall’ineludibile dato normativo, costituito dall’art. 28 d.lgs. n. 159 del 2011, secondo cui la revocazione della decisione definitiva sulla confisca di prevenzione può essere richiesta, nelle forme previste dagli artt. 630 e ss. cod. proc. pen., in quanto compatibili: a) in caso di scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento; b) quando i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludano in modo assoluto l’esistenza dei presupposti di applicazione della confisca; c) quando la decisione sulla confisca sia stata motivata, unicamente o in modo determinante, sulla base di atti riconosciuti falsi, di falsità nel giudizio ovvero di un fatto previsto d
legge come reato. Ciò, ferma la rilevante specificazione di chiusura per la quale, in ogni caso, la revocazione può essere richiesta solo al fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l’applicazione della misura (disposizione su cui si tornerà in prosieguo).
A parte i pure rilevati elementi di assonanza della disposizione con l’istituto della revocazione che opera nella procedura civile (agli artt. 395 e ss. cod. proc. civ.), si è approfondita la riconducibilità, avallata dal collegamento testuale operato dalla norma, della revocazione al modello storico della revisione della condanna penale, nella comune prospettiva entro cui gli istituti si collocano, costituendo altrettanti mezzi di impugnazione idonei a rimuovere provvedimenti la cui adozione si rivela il risultato di un errore giudiziario.
Ma, anche nella verifica della sfera di sovrapponibilità delle connotazioni dei due istituti, si sono evidenziate – con il conseguente limite di compatibilità – le divergenze obiettive fra gli stessi, emergenti, non soltanto dal raffronto fra gli elementi testuali del quadro normativo, ma anche dalla complessiva disamina dei presupposti sostanziali delle materie regolate, dei criteri di giudizio e della natura degli interessi rispettivamente tutelati.
Rimandando alla condivisa analisi compiuta nel citato arresto regolatore (a sua volta coordinato con i principi già enunciati da Sez. U, n. 3513 del 16/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282474 – 01), si prende atto che il relativo esito si è attestato su una conclusione sostanzialmente restrittiva rispetto all’ambito ammesso per la revisione – dell’individuazione delle prove nuove legittimanti il positivo esperimento dell’azione per revocazione della confisca di prevenzione di cui all’art. 28 cit., non essendosi considerata automaticamente trasponibile nell’area della prevenzione patrimoniale il concetto di prova nuova affermato per l’istituto della revisione ex art. 630 cod. proc. pen., rilevando in senso contrario il dato testuale della norma (con precipuo riferimento al momento della “scoperta” delle prove nuove e al connotato che le qualifica come “sopravvenute alla conclusione del procedimento”) ed essendosi valorizzata la funzione dell’istituto introdotto dall’art. 28 cit., volta a svincolar relativo ambito dalla sfera di operatività della revoca dei provvedimenti applicativi delle misure di prevenzione personali, intrinsecamente qualificata da maggiore instabilità del giudicato e, quindi, ad assicurare al provvedimento reale ablatorio un connotato di maggiore definitività, irreversibilità e stabilità, anche in relazione alla diversità della regola di giudizio, per le peculiari connotazioni dello statuto probatorio del procedimento di prevenzione, che presenta rilevanti chiari tratti di autonomia rispetto al giudizio penale.
3.2. Fra le considerazioni svolte nell’ambito di tale prospettiva ermeneutica appare, in ogni caso, influente evidenziare quelle relative alla portata del termine
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decadenziale.
Occorre muovere dalla considerazione che, diversamente dalla revisione delle sentenze di condanna (la quale, ai sensi dell’art. 629 cod. proc. pen., è ammessa “in ogni tempo”), l’istanza di revocazione della confisca è soggetta, alla previsione del termine di decadenza individuato nel decorso di un semestre dalla verificazione di una delle cause espressamente indicate nell’art. 28, comma 1, d.lgs. n.159 del 2011, la cui mancata osservanza viene sanzionata con l’inammissibilità dell’istanza.
È stata sottolineata l’importanza per l’istituto della revocazione del termine decadenziale.
La formulazione del comma 3 prevede che la richiesta di revocazione deve essere proposta, a pena di inammissibilità, entro sei mesi dalla data in cui si verifica uno dei casi che la consentono.
Nell’ipotesi descritta dalla richiamata lett. a), dunque, è possibile dedurre prove nuove, in relazione a fatti preesistenti o successivi alla conclusione del procedimento di prevenzione, a condizione che venga osservato il suddetto limite temporale.
In forza di tale sbarramento deve ritenersi che la scoperta della prova nuova costituisca, per l’interessato, il momento da cui decorre il termine per opporre alla definitiva statuizione della confisca elementi decisivi che nel corso del giudizio di prevenzione non era stato possibile allegare, nel rispetto delle cadenze individuate dal particolare modello procedimentale previsto nelle disposizioni di cui agli artt. 20, 23 e 24 d.lgs. cit.
Al proposto e ai terzi interessati chiamati ad intervenire nel procedimento è infatti consentito, laddove sussistano le condizioni di cui all’art. 20, comma 1, d.lgs. cit., di allegare qualsiasi elemento di prova idoneo a giustificare la legittima provenienza dei beni incisi dalla misura ablativa. L’udienza camerale viene celebrata nel contraddittorio delle parti, dopo il sequestro, proprio al fine di consentire agli interessati l’allegazione di ogni possibile deduzione al riguardo: di conseguenza, la revocazione non costituisce lo strumento per riaprire tardivamente una sequenza procedimentale ormai conclusa, deducendo quelle stesse prove che il proposto e gli interessati avrebbero potuto allegare in udienza.
Si evince, quindi, che le nuove prove che rendono ammissibile il rimedio straordinario devono individuarsi in quelle che non è stato possibile dedurre nell’ambito del procedimento, perché riguardanti fatti decisivi e mezzi per dimostrarli incolpevolmente sconosciuti al momento del giudizio.
In questa specifica prospettiva, la particolare disciplina delle deduzioni e l’intero assetto normativo del procedimento di prevenzione non consentono di
ritenere l’istituto della revocazione sovrapponibile – quanto all’ampiezza degli elementi di prova deducibili – all’ipotesi della revisione del giudicato penale prevista, in caso di nuove prove, dall’art. 630, comma 1, lett. c), cit. Diversamente dalla revocazione ex art. 28 cit., infatti, la revisione è esperibile al di fuori dei descritti limiti.
La previsione di uno stretto termine decadenziale è strutturalmente incompatibile con il caso di una prova introdotta nel procedimento, ma, in ipotesi, neppure implicitamente valutata, dal momento che, in siffatta evenienza, sarebbe impossibile individuare il dies ad quem da cui far scattare l’operatività del termine.
La scelta del legislatore – come emerge anche dalla relazione illustrativa del d.lgs. n. 159 del 2011 – trova la sua ratio nell’intento di realizzare lo scopo di una tendenziale stabilizzazione del giudicato in materia di prevenzione patrimoniale, consolidandone gli effetti nel massimo grado possibile: e, in questo alveo, la previsione della perentorietà del termine costituisce l’esito della reazione del legislatore al pericolo di una “potenziale eternità dell’actio restitutoria”.
Si è data, dunque, preminenza all’esigenza di sottrarre la certezza dei rapporti giuridici alla precarietà che sarebbe scaturita dal potenziale pericolo di una indefinita rimessa in discussione delle statuizioni di confisca mediante ripetute istanze di revoca della misura di prevenzione patrimoniale.
3.3. Il termine decadenziale si connette a ognuna delle indicate ipotesi di revocazione.
Pertanto, rispetto all’atto che nell’istanza Aprile ha prospettato costituire la prova nuova, ossia il decreto della Corte di appello di Catanzaro determinativo dell’elisione della misura della sorveglianza speciale a lui applicata, ove pure si volesse riconnettere all’atto la dedotta portata dimostrativa, dovrebbe concludersi che correttamente nel decreto impugnato si è rilevato che la proposizione della domanda di revocazione non ha rispettato il termine decadenziale: il suddetto decreto della Corte di appello di Catanzaro è stato depositato il 21 giugno 2023 e, in modo incontestato rispetto all’accertamento del giudice della revocazione, esso è divenuto noto, per tempestiva comunicazione, al proposto, il quale da quel momento si è visto liberare della sorveglianza speciale; però, l’istanza di revocazione è stata presentata il 24 luglio 2024, più di un anno dopo, ben oltre il termine semestrale.
A questo rilievo della Corte di appello di Salerno il ricorrente non ha contrapposto argomenti idonei a superarne il carattere dirimente, sicché la prospettazione che sorregge il motivo di impugnazione deve essere, comunque, disattesa.
Quanto al decreto emesso il 26 maggio 1995 dal Giudice per le indagini preliminari di Catanzaro con cui era stata disposta l’archiviazione del procedimento 259/95 DDA, su conforme richiesta del Pubblico ministero, al di là del rilievo della novità della prospettazione rispetto a quella su cui l’istante aveva radicato il contraddittorio innanzi alla Corte di appello di Salerno e impregiudicata ogni ulteriore verifica sulla concreta suscettibilità dell’atto a essere collocato fra gli elementi di prova preesistenti e incolpevolmente ignorati, ciò che in ogni caso esclude la concreta possibilità di fondare su quel provvedimento la tempestiva proposizione dell’istanza di revocazione è il rilievo puntualmente segnalato dall’Autorità requirente nella requisitoria – che, nell’ambito di un articolato novero di indagati, l’archiviazione ha riguardato, quanto alla posizione di Aprile, il reato di associazione per delinquere ex art. 416 cod. pen., siccome finalizzata alla commissione di delitti di bancarotta fraudolenta.
Orbene, tale elemento di fatto non risulta essere stato, a suo tempo, posto a base della valutazione di pericolosità che aveva condotto, nella sede della prevenzione, al provvedimento ablatorio di prevenzione di cui in questo procedimento Aprile ha chiesto la revocazione.
La deduzione così introdotta risulta, pertanto, eccentrica, oltre che priva di fondamento.
Nella memoria con motivi nuovi rassegnata in corso di procedimento, la difesa ha coltivato l’argomento sfociante nella conclusione secondo cui Aprile era stato destinatario di un provvedimento avente ad oggetto la confisca di prevenzione affetto da vizio endemico, per totale mancanza della condizione di pericolosità legittimante l’ablazione.
La prospettazione evoca, in linea di principio, l’interpretazione dell’art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 nel senso che tale norma, laddove stabilisce che “in ogni caso” la revocazione può essere richiesta al fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l’applicazione della misura, abilita l’individuazione di ipotesi di revocazione ulteriori, siccome riferibili a quei casi nei quali, a prescindere dalla specifica integrazione delle cause di revocazione di cui al comma 1 della disposizione, sia dimostrabile – per fatti sopravvenuti – la radicale carenza in via originaria dei presupposti della confisca di prevenzione.
Si tratta della corretta esegesi della norma, fatta propria dalla giurisprudenza della Corte di legittimità nella sua più autorevole composizione (Sez. U, n. 3513 del 16/12/2021, dep. 2022, COGNOME, cit.) quando ha concluso nel senso che la stessa Corte di cassazione, investita del ricorso in
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materia di confisca di prevenzione definitiva, adottata in relazione alle ipotesi di pericolosità generica ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011, per far valere gli effetti della declaratoria di illegittimità costituziona pronunciata con sentenza n. 24 del 2019, è tenuta all’annullamento senza rinvio della misura fondata, in via esclusiva, sulla suddetta ipotesi di pericolosità generica, elisa dalla pronuncia del Giudice delle leggi.
Si è considerato che la norma di cui all’art. 28, comma 2, d.lgs. cit., al di là delle ipotesi contemplate nel catalogo stabilito nel comma 1, fissa quale condizione legittimante della revocazione l’individuazione di ipotesi – diverse da quelle (espressione di elementi fattuali) delineate dal comma 1 – che siano riconducibili al medesimo tipo, ossia a fattispecie dimostrative della carenza originaria dei presupposti della confisca, ferma restando l’irrilevanza, ai fini dell’idoneità a legittimare il ricorso alla revocazione, di fattispecie non espressive di un difetto originario di tali presupposti, quale, ad esempio, il sopravvenire di una legge abrogatrice della disposizione relativa a una figura soggettiva di pericolosità, laddove – viceversa – la declaratoria di illegittimità costituzionale della medesima disposizione è da considerarsi idonea a dar corpo alla carenza originaria dei presupposti della confisca di prevenzione.
Questa interpretazione (che conferisce un preciso e rilevante significato alla norma, altrimenti priva di sostanziale specificità giuridica) ha fatto sì che, proprio in virtù dell’art. 28, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, la declaratoria di illegittimità costituzionale pronunciata da Corte cost., sent. n. 24 del 2019, siccome essa ha inciso in modo radicale, elidendola, sulla figura di pericolosità sociale di cui all’art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. cit., giustificatrice della confisca, è stata ritenuta avere integrato – a cagione dell’emersa invalidità originaria della disposizione configurante quel preciso titolo di pericolosità generica – il difetto originario dei presupposti per l’applicazione del provvedimento ablatorio tale da costituire la condizione applicativa della revocazione.
Inoltre, è stato puntualmente precisato, dall’indirizzo richiamato e qui condiviso, che l’opzione del legislatore di non assoggettare ad alcun termine la richiesta di revocazione per questi casi ulteriori (e diversi da quelli di cui a comma 1), inerenti all’emersione della radicale assenza dei presupposti per l’emissione della confisca, è coerente con la considerazione del carattere non predefinito – se non nel tipo generale – delle ipotesi che possono venire in rilievo, carattere che, proprio in quanto disciplinante una fattispecie aperta, non consente una preventiva valutazione in sede normativa dell’adeguatezza o meno della previsione di un termine rispetto alle specifiche istanze aventi ad oggetto la revocazione della confisca.
Posto quanto precede in punto di individuazione dell’ambito di applicazione
della citata norma, deve rilevarsi che, nel caso in esame, la deduzione del vizio endemico di cui Aprile ha discorso, peraltro soltanto nei motivi nuovi, non identifica alcuna specifica causa di originaria e radicale assenza del presupposto per l’emissione della confisca di prevenzione.
Come ha rilevato la Corte di appello di Salerno, il decreto applicativo di tale confisca aveva ritenuto NOME COGNOME COGNOME attinto dalla pericolosità qualificata di cui all’art. 4, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011, quale indiziato di appartenenza ad associazione mafiosa: e la relativa valutazione era stata già positivamente effettuata tenendo conto delle risultanze costituite dalla sentenza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro di non luogo a procedere per tale titolo di reato, da cui tuttavia era stato tratto l’accertamento della contiguità, nell’arco temporale di interesse, del proposto con la cosca mafiosa dei Gaglianesi.
Al riguardo, si era espressamente affermato da parte dei giudici della prevenzione che la suddetta sentenza, pur liberatoria sotto il profilo penale, aveva conclamato l’esistenza della suddetta appartenenza, evinta dagli accertati rapporti tra Aprile e i componenti del sodalizio.
Assodato ciò, tale accertamento – che non si è dedotto essere stato superato, attraverso i rimedi impugnatori, nel corso del procedimento di prevenzione in cui esso è maturato – non risulta scalfito da alcuna radicale sopravvenuta causa originaria determinativa del corrispondente presupposto normativo.
Né il ricorrente poteva – se era ed è questa la prospettiva sottesa alla sua deduzione – chiedere al giudice della revocazione ex art. 28 d.lgs. cit. il mero ripensamento elidente l’avvenuto accertamento del menzionato presupposto, non essendo – la pura e semplice rivalutazione – una situazione collocabile nell’ambito in cui operano, secondo l’interpretazione richiamata, le fattispecie di cui al comma 2 della norma, svincolate dal termine decadenziale.
Diversamente opinando, d’altronde, si determinerebbe l’introduzione, per altra via, dell’indefinita, potenziale messa in crisi della tendenziale stabilizzazione del giudicato in tema di prevenzione patrimoniale perseguita dal legislatore con l’introduzione dell’istituto in parola.
Di conseguenza, anche la nuova prospettazione difensiva deve essere, in ogni caso, respinta.
Corollario delle considerazioni svolte è il rigetto del ricorso.
Al rigetto fa seguito, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15 gennaio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente