Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17974 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17974 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME omissis
NOME COGNOME nato il I
avverso la sentenza del 04/07/2023 della CORTE APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La pronunzia impugnata è stata deliberata il 4 luglio 2023 dalla Corte di appello di Milano, che ha riformato in punto di trattamento sanzionatorio la decisione del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano che, all’esito di rito abbreviato, aveva condannato NOME per il reato di stalking ai danni di NOME ed aveva disposto – ai sensi dell’art. 168, comma 1, n. 1, cod. pen. – la revoca della sospensione condizionale della pena concessa all’imputato con sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano del 4 dicembre 2018.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del difensore di fiducia, formulando tre motivi.
2.1. Il primo motivo di ricorso denunzia violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza del coefficiente soggettivo della condotta. La Corte di appello, nel chiarire le ragioni della riduzione del tempus commissi delicti, avrebbe almeno parzialmente sposato la tesi difensiva secondo cui, sia pure in un primo periodo, l’imputato non aveva capito che il proprio comportamento stava generando nella vittima gli eventi di cui alla norma punitiva. Tanto premesso – venendo alla vera e propria censura – il ricorrente sostiene che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe illogica nella parte in cui, circa il periodo successivo al 23 gennaio 2022, ha ricostruito i fatti dando conto di altri comportamenti ambigui e altalenanti della persona offesa, il che avrebbe dovuto condurre i Giudici di appello a svolgere lo stesso ragionamento che era stato fatto sul periodo precedente.
2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al diniego della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6), cod. pen. rispetto alle aggravanti e alla recidiva, diniego motivato sulla sola scorta della necessità di controbilanciare non solo la recidiva, ma anche due altre aggravanti.
2.3. Il terzo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla revoca della sospensione condizionale della pena concessa con sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano del 4 dicembre 2018, perché essa andava ancorata non già alla commissione, nel termine di legge, del nuovo reato, ma al passaggio in giudicato della sentenza che lo accerta. Ne consegue che la revoca avrebbe dovuto essere decisa non già in sede di cognizione, ma in sede di esecuzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato e va, pertanto, respinto.
Il primo motivo di ricorso – che riguarda il coefficiente soggettivo del reato – è manifestamente infondato e aspecifico in quanto la Corte di appello, con motivazione che sfugge alle censure di parte, ha chiarito le ragioni per cui ha individuato nel 23 gennaio 2022 il momento in cui la relazione tra imputato e persona offesa, per volontà di quest’ultima, era cessata, giacché la NOME. aveva manifestato comportamenti incompatibili con la volontà di proseguire la frequentazione. Da tale momento – ha aggiunto la Corte di merito – le condotte del prevenuto avevano avuto una portata inequivocabilmente intrusiva, siccome
volte ad imporre per mesi la propria presenza nonostante la vittima avesse mostrato la propria indisponibilità a proseguire la relazione, come dimostrato dalle dichiarazioni della vittima, nonché da quelle dell’amica e della madre, ma anche dal contenuto dei messaggi inviati dall’imputato.
Di fronte a queste argomentazioni, quella del ricorrente – secondo cui l’atteggiamento della persona offesa era stato ambiguo o equivoco, sì da impedirgli di comprendere che la donna stesse patendo gli eventi di cui all’art. 612-bis cod. pen. – fonda su una diversa lettura del materiale istruttorio che non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità; lettura che, soprattutto, non si confronta con la lucida sintesi del materiale probatorio svolta dai Giudici di appello, che hanno ammesso che, inizialmente, la condotta della vittima era stata altalenante e, pertanto, ambigua, ma che hanno altresì individuato un’epoca ben precisa a partire dalla quale la persona offesa aveva abbandonato tale contegno ambiguo e, di conseguenza, la condotta molesta, minatoria e a tratti anche fisicamente violenta dell’imputato portata avanti per mesi realizzata nonostante le evidenti resistenze della persona offesa e l’inequivoca interruzione della frequentazione per volontà di quest’ultima – andava interpretata come consapevolmente diretta a porre in essere atti persecutori. D’altra parte, per integrare il reato di stalking, è sufficiente il dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell’abitualità del proprio agire (Sez. 1, n. 28682 del 25/09/2020, S., Rv. 279726; Sez. 5, n. 43085 del 24/09/2015, A., Rv. 265230; Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, C., Rv. 260411).
2. Quanto al giudizio di comparazione tra circostanze eterogenee, la motivazione della Corte di appello – che ha messo a confronto, da una parte, le attenuanti concesse e, dall’altra, le aggravanti e la recidiva, stimando impossibile un giudizio di prevalenza – costituisce di per sé una giustificazione sufficiente, giacché evidenzia degli aspetti personali e fattuali, confluiti, appunto, nella recidiva e nella contestazione di due aggravanti, che incidono sul giudizio da svolgere. Come se non bastasse, poche righe prima, per giustificare lo scostamento della pena dal minimo edittale, la Corte territoriale ha valorizzato altri indicatori negativi – la durata della condotta e la presenza di aggressioni fisiche – che pure costituiscono proposizioni coerenti con il diniego della richiesta difensiva.
Si tratta di una consistenza motivazionale che va ben al di là dello standard richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione
discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi finanche quella che, per giustificare la soluzione dell’equivalenza, si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245930; Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, COGNOME, Rv. 270450).
Il ricorso sul punto è, pertanto, manifestamente infondato.
3. Il ricorrente – nel terzo motivo di ricorso – critica la sentenza impugnata anche circa la revoca della sospensione condizionale della pena già concessagli con sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano del 4 dicembre 2018; si sostiene, nel ricorso, che il termine quinquennale di cui all’art. 168, comma 1, n. 1), cod. pen. vada inteso come riferito non già alla data di commissione del nuovo reato (quello, cioè, che determina la revoca della sospensione condizionale della pena già concessa), ma a quella del passaggio in giudicato della sentenza che lo accerta.
Ebbene, tale interpretazione è contraria alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, che il Collegio intende ribadire, secondo cui la commissione di un nuovo reato, come causa di revoca della sospensione condizionale della pena ove avvenga nei termini stabiliti dalla legge, va intesa con riferimento al tempo in cui è stato commesso il nuovo reato e non al tempo in cui è pronunciata la sentenza di condanna per il medesimo (Sez. U, n. 19 del 1956, Melis, Rv. 097623; in termini, Sez. 4, n. 23178 del 31/5/22, n.m.; Sez. 1, n. 28612 dell’11/5/2021, n.m.; Sez. 5, n. 11759 del 22/11/2019, dep. 2020, Greco, Rv. 279015, n.m. sul punto; Sez. 1, n. 32722 del 5/11/20, n.m.; sulla data cui fare riferimento per l’effetto estintivo di cui all’art. 167 cod. pen., Sez. 5, n. 11759 del 22/11/2019, dep. 2020, Greco, Rv. 279015).
Depone in questo senso, in primo luogo, il dato testuale, « la sospensione condizionale della pena è revocata di diritto qualora, nei termini stabiliti, il condannato 1) commetta un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole, per cui venga inflitta una pena detentiva ».
L’ancoraggio al momento della “commissione” del reato e non a quello del suo accertamento è, d’altra parte, coerente con la logica della disposizione, vale a dire quella di verificare la tenuta della prognosi positiva sul futuro comportamento dell’imputato, formulata all’atto della concessione del beneficio, sicché, in virtù della condotta tenuta durante il periodo di osservazione, il condannato può, alternativamente, giovarsi dell’estinzione del reato ex art. 167 cod. pen. – per cui è indicato il medesimo termine, anch’esso ancorato al
momento della “commissione” del reato – oppure subire la revoca ex lege di cui all’art. 168, comma 1, n. 1), cod. pen. Si tratta del cd. esperimento sospensivo, che costituisce un monito rivolto al condannato e connaturato alla concessione del beneficio, al fine di garantire, attraverso un effetto dissuasivo, che l’interessato si astenga dalla commissione di nuovi illeciti per il timore di subire l’esecuzione della nuova e della precedente condanna a pena sospesa e di perdere l’opportunità di godere dell’estinzione di cui all’art. 167 cod. pen. Per la durata di tale monito il legislatore ha previsto un termine che, secondo una lettura del tutto ragionevole della disposizione, va ancorato al momento della commissione e non a quello dell’accertamento definitivo del secondo reato; ciò al fine di individuare un termine certo e uniforme, indipendente dalle singole vicende processuali. Diversamente opinando, si rischierebbe di giungere non solo ad incertezze applicative circa il periodo di “osservazione”, ma anche ad ingiustificate disparità di trattamento, giacché la revoca della sospensione condizionale della pena o l’estinzione del reato ex art. 167 cod. pen. non dipenderebbero più solo dalla volontà del soggetto interessato, ma sarebbero ancorate alla minore o maggiore celerità di definizione del processo per il secondo reato.
Non collide con questa lettura la circostanza che l’art. 168, comma 1, n. 2) cod. pen. – quanto alla revoca obbligatoria della sospensione condizionale della pena che discende dalla successiva condanna per un delitto anteriormente commesso (a pena che, cumulata con quella sospesa, determini il superamento dei limiti di concedibilità) – faccia riferimento al momento della sentenza che lo accerti giacché, in tal caso, poiché il delitto accertato successivamente era già stato commesso prima di quello accertato per primo, non vi sarebbe stato spazio per valorizzare la “commissione”, mentre la pronunzia giudiziale che lo riguardi resta l’unico momento che può sopravvenire nel periodo di “osservazione” dopo la concessione del beneficio.
D’altra parte, non ha fondamento neanche l’ulteriore argomentazione del ricorrente circa il fatto che il secondo reato – per essere foriero della revoca della sospensione condizionale della pena – debba essere accertato in via definitiva e che, quindi, detta revoca rientrerebbe esclusivamente nella competenza del Giudice dell’esecuzione, proprio perché occorrerebbe ragionare su situazioni già processualmente definite. La revoca della sospensione condizionale della pena, come ogni altra statuizione penale della sentenza, infatti, intanto potrà essere eseguita in quanto la sentenza che l’ha disposta in uno alla condanna per il nuovo reato sia passata in giudicato e, quindi, la responsabilità per tale, nuovo reato sia cristallizzata in una decisione definitiva.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La natura dei rapporti oggetto della vicenda impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso il 14/02/2024.