Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 10390 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 1 Num. 10390 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 22/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROSARNO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 03/05/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso o, in subordine, la rimessione degli atti alle Sezioni Unite questa Corte
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RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Reggio Calabria – nella veste di Giudice dell’esecuzione – ha accolto la richiesta formulata dal Procuratore generale e, per l’effetto, ha revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena, che era stato concesso a NOME COGNOME, il quale era stato condannato dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria alla pena di anni uno, mesi nove e giorni dieci di reclusione con sentenza del 28/07/2015, confermata dalla Corte di appello di Reggio Calabria in data 21/07/2017, sentenza passata in giudicato il 30/04/2019.
Il provvedimento di revoca ora avversato è stato adottato, dopo che il giudice dell’esecuzione ha accertato che quello di primo grado non avesse alcuna conoscenza della causa ostativa (v. provvedimento interlocutorio in atti del 26/01/2022), sul rilievo che il condannato – in epoca antecedente alla sentenza sopra detta, risalente al 28/07/2015 – avesse riportato altre cinque condanne a pena detentiva per delitto, di cui due già condizionalmente sospese.
I dati, in precedenza riportati e parzialmente diversi da quelli desumibili dal testo del provvedimento impugnato, emergono dai certificati penali in atti e dalla lettura del documento informatico, allegato al fascicolo processuale, contenente la sentenza emessa dalla Corte di appello di Reggio Calabria in data 21/07/2017, irrevocabile il 30/04/2019.
Quest’ultima sentenza, emessa con riferimento a più imputati, ha modificato in modo sostanziale quella di primo grado (v. sentenza di appello su supporto informatico in atti) sebbene in relazione a imputati diversi dal ricorrente ma è principio pacifico quello per il quale, nei procedimenti con pluralità di imputati, la competenza a provvedere “in executivis” è del giudice di appello non solo rispetto agli imputati per i quali la sentenza di primo grado sia stata sostanzialmente riformata, ma anche per quelli, come nel caso del ricorrente, nei cui confronti la decisione di primo grado sia stata confermata (ex multis, Sez. 1, n. 21681 del 22/03/2013, Fiore, Rv. 256081 – 01).
È stata pertanto rispettata la competenza del giudice dell’esecuzione (Corte di appello di Reggio Calabria) che, in questa materia, ha carattere funzionale, assoluto e inderogabile (ex multis, Sez. 1, n. 31946 del 04/07/2008, Hincapie COGNOME, Rv. 240775 – 01).
Il ricorso, originariamente assegnato alla settima sezione penale della Corte, è stato, con provvedimento reso all’udienza del 26/10/2023, restituito alla sezione competente, essendo stata segnalata l’esistenza di un contrasto di giurisprudenza.
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Avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, ricorre per cassazione NOME COGNOME, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, deducendo un motivo unico, che viene di seguito riassunto entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. e mediante il quale viene denunciata violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., in ragione della erronea applicazione degli artt. 163 e 168 cod. pen. La sospensione condizionale della pena è stata concessa nonostante non vi fosse, nel fascicolo di primo grado, un certificato del casellario giudiziale aggiornato relativo a COGNOME; tale punto della sentenza non è stato impugnato dal Pubblico ministero e il giudice di secondo grado, pur avendo a disposizione il certificato aggiornato relativo al ricorrente e, quindi, essendo a conoscenza del fatto che la sospensione condizionale della pena fosse già stata accordata, in due precedenti occasioni, non ha inteso intervenire d’ufficio, così lasciando intonsa la pronuncia appellata. In capo al giudice di appello sussiste il potere di procedere alla revoca del beneficio laddove quest’ultimo risulti, sulla base degli atti al momento inseriti nell’incarto processuale, illegittimamente concesso, in ragione della preesstenza di una causa ostativa; tale potere di revoca rientra pienamente nel perimetro valutativo riservato al giudice di secondo grado e, anzi, è espressione di un preciso potere di verifica giudiziale. Nel caso di specie la Corte di appello, nell’ambito del giudizio di cognizione – sebbene disponesse di tutti gli elementi necessari, per poter evincere la illegittimità della concessione della sospensione condizionale della pena, stante la sussistenza di una precedente ragione impeditiva, non ha ritenuto opportuno intervenire.
All’esito di tale argomentare, la difesa ha domandato l’annullamento dell’ordinanza avversata o, in subordine, la rimessione degli atti alle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso o, in subordine, la rimessione degli atti alle Sezioni Unite di questa Corte. La Corte di appello ha disposto la revoca obbligatoria della sospensione condizionale della pena, per averne il ricorrente già fruito in due precedenti occasioni; la causa ostativa, atta a legittimare la revoca di diritto del beneficio, non era nota al Giudice di primo grado, mentre era pacificamente conosciuta dal Giudice di appello; era poi mancata, sul punto, l’impugnazione ad opera dell’accusa.
3.1. Ad avviso del Procuratore generale, il provvedimento impugnato, però, ha correttamente applicato la più recente e ormai dominante giurisprudenza di legittimità, che – lungi dal discostarsi dal solco tracciato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U n. 37345 del 23/4/2015, COGNOME, rv.264381) – ne ha anzi meglio delineato i confini e compitamente adoperato i parametri valutativi.
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Secondo tale orientamento giurisprudenziale, deve ritenersi pienamente legittima la revoca in executivis della sospensione condizionale della pena, che sia stata accordata in violazione dell’art. 164, quarto comma, cod. pen., in presenza di una causa ostativa ignota al giudice di primo grado e nota a quello d’appello, il quale non sia stato investito dell’impugnazione del pubblico ministero, né, comunque, di una formale sollecitazione di questi, in ordine all’illegittimità del beneficio. Il pote di revoca del beneficio della sospensione condizionale, anche ex officio, riservato al giudice d’appello, ha infatti natura eminentemente facoltativa e surrogatoria, rispetto a quello riservato – in via primaria al giudice dell’esecuzione.
3.2. Detto orientamento di legittimità muove, correttamente, dal presupposto che non possa ritenersi che la questione in esame, attinente alla sussistenza della ragione ostativa al riconoscimento della sospensione condizionale della pena, possa formare oggetto di una valutazione “implicita”, da parte del giudice di secondo grado, tanto che – in assenza di formale impugnazione in proposito – possa formarsi un giudicato sul punto e, in consequenzialmente, anche una preclusione alla possibilità di disporre la revoca in executivis.
La sopra riassunta impostazione – diversamente da quanto sostenuto dalla difesa ricorrente – non contrasta minimamente con gli approdi delle Sezioni Unite COGNOME, che hanno sottolineato come «con la legge di riforma 26 marzo 2001, n. 128, mediante l’introduzione del comma 1-bis dell’art. 674 cod. proc. pen., siano state incrementate le attribuzioni del giudice dell’esecuzione, abilitandolo a rimuovere la statuizione illegale, contenuta nella sentenza irrevocabile, di applicazione della sospensione condizionale della pena in violazione dei limiti fissati dalla legge, perseguendo una “chiara finalità riparatoria” che deve, tuttavia, essere sempre considerata nell’ambito del fondamentale principio della preclusione processuale, e del correlato divieto di bis in idem, che permeano e informano il procedimento in ogni grado, stato e fase’ compresa quella dell’esecuzione, anche ai sensi dell’art. 674, comma 1-bis, coi. proc. pen., con il conseguente divieto della rinnovazione dello scrutinio delle questioni esaminate e decise nella fase del giudizio». Viene a crearsi, dunque, una preclusione “debole”, rispetto alla riproposizione in sede esecutiva di questioni già trattate e risolte durante il processo di cognizione.
3.3. La contraria giurisprudenza – con la quale pure l’orientamento maggioritario si è sempre confrontato – è nettamente minoritaria, tanto che l’invocato contrasto appare in fase di composizione, all’interno delle Sezioni semplici. Trattasi di un orientamento che si oppone alle linee interpretative di quello sopra richiamato, spendendo argomentazioni meno convincenti e basate su un’errata interpretazione della ratio decidendi posta dalla sentenza COGNOME.
3.4. In forza dei sopra esposti rilievi, il Procuratore generale ha chiesto di disattendere il ricorso, per essere il provvedimento impugnato pienamente conforme ai principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza ormai prevalente e, quindi, apparendo insussistente il contrasto invocato dalla difesa. Solo in via subordinata, il Procuratore generale ha domandato la rinnessione alle Sezioni Unite.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritiene il Collegio che la verifica in ordine alla fondatezza della doglianza esposta dal ricorrente, sussunta nell’unico motivo sopra riassunto, dipenda dalla soluzione della seguente questione giuridica, sulla quale, peraltro, si registra un attuale contrasto giurisprudenziale: “se sia legittima la revoca in executivis della sospensione condizionale della pena riconosciuta in violazione dell’art. 164, comma quarto, cod. pen. in presenza di una causa ostativa ignota al giudice di primo grado e nota a quello d’appello, che non abbia esercitato ex officio il potere di revoca o che non sia stato investito dell’impugnazione dei’ pubblico ministero né, comunque, di formale sollecitazione di questi in ordine all’illegittimità del beneficio”.
La sussistenza di un contrasto giurisprudenziale, del resto, è espressamente richiamata nelle argomentazioni poste dal ricorrente a fondamento dell’impugnazione, nonché nelle conclusioni assunte dal Procuratore generale. L’esistenza di due impostazioni concettuali ormai consolidate e in stridente contrasto fra loro, infine, può evincersi anche dalle segnalazioni operate dal Massimario della Corte (Rel. nn. e 63/2021 e 60/2023).
Prima di dar conto del suddetto contrasto, è opportuno integrare brevemente quanto esposto in parte narrativa, tratteggiando in maniera compiuta la vicenda sottoposta al vaglio della Corte e, in tal modo, lumeggiando adeguatamente le ragioni che hanno indotto il Collegio a rimettere la questione alle Sezioni Unite.
2.1. A carico di NOME COGNOME, stando al certificato del casellario presente nel fascicolo – prima della sentenza emessa dal Gup del tribunale di Reggio Calabria in data 28/07/2015 (ossia, prima dell’emissione della sentenza che ha concesso al condannato la sospensione condizionale della pena, beneficio poi revocato con il provvedimento ora avversato) – figurano cinque sentenze di condanna a pena detentiva per delitto. In due di tali casi, risulta già concesso il sopra detto beneficio.
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2.2. Risulta inoltre pacifico in atti che – allorquando emise la sentenza del 21/07/2017 – la Corte reggina disponesse del certificato del casellario aggiornato, da cui risultava la sopra delineata situazione ostativa, rispetto alla nuova concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Il tema attiene, quindi, alle conseguenze che si ritengano ricollegabili alla mancata revoca della sospensione condizionale della pena, da parte del giudice della impugnazione (purché in possesso di certificato penale aggiornato), nonché alla sussistenza o meno – in tal caso – del potere di revoca in sede esecutiva.
La tematica che si pone, ancor più propriamente, attiene al profilo della possibilità di reputare non più emendabile, in sede esecutiva, tale errore, per esser stato vanamente «consumato» il potere di revoca riservato al Giudice di appello, a seguito dell’acquisita conoscenza, da parte di quest’ultimo, della errata concessione del beneficio – in presenza di causa ostativa – ad opera del Giudice di primo grado.
4.1. Un primo orientamento, formatosi già in epoca risalente nella giurisprudenza di legittimità, muove dalla lettura del dictum delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 37345 del 23/04/2015, Longa’, Rv. 264381), per ricavarne alcuni decisivi ancoraggi teorici; pare dunque opportuno soffermarsi attentamente, in via preliminare, proprio sulla interpretazione che, della succitata sentenza COGNOME, effettuano coloro che ritengono condivisibile il primo degli orientamenti in esame. Secondo tale prospettiva ermeneutica, il giudice della cognizione in grado di appello – in assenza di impugnazione proposta dal pubblico ministero, atta a rendere giuridicamente possibile la riforma peggiorativa del trattamento sanzionatorio riservato al condannato in primo grado, anche sotto il profilo inerente alla concessione dei benefici – può procedere alla revoca di ufficio, ai sensi dell’art. 168, comma terzo, cod. pen., della sospensione condizionale confermata dalla sentenza appellata, rilevando la presenza della causa ostativa indicata dall’art. 164, comma 4, cod. pen. Si tratterebbe, infatti, di «effetti d diritto sostanziale che si producono “ope legis” e possono essere rilevati in ogni momento sia dal giudice della cognizione sia, in applicazione del comma primo bis dell’art. 674 cod. proc. pen., dal giudice dell’esecuzione e dunque anche dal giudice di appello in mancanza di impugnazione del pubblico ministero» (Sez. 3, n. 56279 del 24/10/2017, Principalli, Rv. 272429-01; in questo senso si era espressa, in epoca antecedente alle Sezioni Unite COGNOME, Sez. 3, n. 7199 del 23/01/2007, COGNOME, Rv. 236113-01).
4.1.1. In questa peculiare situazione, tuttavia, la statuizione assunta dalla sentenza di appello, di revoca del beneficio della sospensione condizionale della
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pena illegittimamente accordato al condannato, non è assimilabile alla analoga statuizione adottata a seguito di impugnazione del pubblico ministero – o anche, a seguito di richiesta sollecitatoria proveniente dal pubblico ministero non impugnante (Sez. 1, n. 12817 del 31/01/2017, Oliveri Rv. 269516). Tale decisione, infatti, è espressione dell’esercizio di un potere che – sebbene azionabile dal giudice in via officiosa (Sez. 1, n. 16243 del 07/04/2010, Lanza, Rv. 247241) – presenta pur sempre uno spiccato connotato di facoltatività e una funzione surrogatoria, da porre a margine, rispetto a quello riservato al giudice dell’esecuzione.
La concorrente competenza a disporre la revoca riservata a quest’ultimo in alternativa e in autonomia, rispetto al giudice di appello – è prevista in via generale dall’art. 674, comma 1-bis, cod. proc. pen. L’intervento in sede di cognizione, in altri termini, è una statuizione di tipo solo eventuale, che non è rigorosamente correlata all’effetto devolutivo tipico del giudizio di appello – ma che ne è, anzi, svincolata – e la cui omissione non è cersurabile attraverso l’esperimento di uno specifico mezzo di impugnazione, bensì rimediabile, appunto, grazie all’esercizio della competenza autonoma del giudice dell’esecuzione.
4.1.2. Per converso, il mancato esercizio del potere di revoca di ufficio, esercitabile dal giudice di appello secondo le previsioni degli artt. 168, comma 3, in relazione all’art. 164, comma 4, cod. peri, non può integrare una preclusione processuale, sia pure «debole», idonea a costituire il presupposto per l’operatività del principio fissato dalle Sezioni Unite COGNOME, nella parte in cui queste hanno affermato la possibilità di procedere alla revoca de qua in fase esecutiva, allorquando il beneficio della sospensione condizionale della pena sia stato concesso in violazione dell’art. 164, comma 4, cod. pen., a patto che la sussistenza della causa ostativa non fosse già apprezzabile per tabulas, da parte del giudice della cognizione che appunto il beneficio abbia concesso (verifica che impone al giudice dell’esecuzione l’acquisizione del fascicolo).
Sul punto, proseguono i fautori dell’indirizzo giurisprudenziale che si va analizzando, la preclusione, per il giudice dell’esecuzione, non opera allorquando la causa ostativa – sebbene preesistente – «non sia stata nota al giudice (della cognizione, n.d.r.) che lo abbia concesso e non sia stata presa, nemmeno implicitamente, in esame» (così la succitata sentenza COGNOME). L’aspetto basilare della questione, quindi, è rappresentato dal fatto che l’elemento idoneo a giustificare la revoca «non abbia costituito neppure oggetto di valutazione implicita, in quanto oggettivamente compreso nel perimetro dell’oggetto dello scrutinio del giudice della cognizione (che il beneficio abbia concesso, n.d.r.)». Aggiunge poi – sul punto specifico – la giurisprudenza di legittimità che sposa tale orientamento che, in ragione della natura stessa dei limiti della cognizione
riservata al giudice di appello e, correlativamente, 1:enuto conto delle caratteristiche intrinseche del potere di revoca di ufficio, previsto dal combinato disposto degli artt. 168, comma 3, in relazione all’art. 164, comma 4, cod. pen. e art. 674, comma 1-bis, cod. proc. pen., non sia possibile pervenire alla conclusione che, in assenza di impugnazione del pubblico ministero, l’omessa valutazione della ragione impeditiva, rispetto al riconoscimento della sospensione condizionale della pena – pur se presente negli atti – sia interpretabile alla stregua di una forma di “acquiescenza”. Una acquiescenza, peraltro, che dovrebbe essere idonea ad escludere «la possibilità di far valere, per vincere la preclusione, quanto doveva essere dedotto colla impugnazione la cui mancata proposizione ha comportato l’effetto della preclusione stessa» (così ancora le Sezioni Unite COGNOME).
4.2. Seguendo dunque lo sviluppo di tale impostazione ermeneutica, seguita da coloro che propugnano la bontà dell’orientamento ora sviscerato, la natura del potere officioso di procedere alla revoca della pena sospesa, illegalmente concessa all’esito del giudizio di primo grado, rende il mancato esercizio di siffatto potere, da parte del giudice di secondo grado, non idoneo a determinare alcuna preclusione processuale; si dovrebbe attribuire a tale potere, in definitiva, una natura facoltativa, considerandolo esercitabile in via meramente concorrente e autonoma, rispetto a quello, di analoga valenza, conferito in via generale al giudice dell’esecuzione dall’art. 674, comma 1-bis, cod. proc. pen.
4.3. Ponendosi in tale ottica, con riferimento alla fase di cognizione, la natura solo eventuale della revoca del beneficio illegittimamente accordato rimane quindi sostanzialmente slegata e indipendente, rispetto all’effetto devolutivo tipico del giudizio di appello; ne consegue, quale immediato corollario logico, che la relativa omissione non possa divenire censurabile, mediante l’utilizzo di uno specifico strumento di impugnazione, trovando essa, invece, il proprio rimedio specifico grazie alla competenza autonoma demandata al giudice dell’esecuzione. L’oggetto tipico del giudizio d’appello, come parametrato all’effetto devolutivo del gravame ex art. 597 cod. proc. pen., quindi, non assorbe – in caso di mancata impugnazione promossa dalla parte pubblica – l’errore di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Discende da tale meccanismo interpretativo che l’omesso esercizio di un potere soltanto surrogatorio – ad opera del giudice di secondo grado – non possa costituire fonte di una preclusione processuale, connessa alla formazione del giudicato.
4.4. L’orientamento sin qui analizzato è stato espresso da Sez. 1, n. 39190 del 09/07/2021, COGNOME, Rv. 282076-01, la quale ha ribadito la piena legittimità della revoca, ad opera del giudice dell’esecuzione, del beneficio concesso in violazione dell’art. 164, comma quarto, cod. pen., stante la presenza di una causa ostativa non conosciuta in primo grado, ma nota al giudice di appello
(non investito di impugnazione, da parte del pubblico ministero, né di una formale sollecitazione di questi in ordine all’illegittimità del beneficio). La Corte ha q ritenuto, come detto, che il potere di revoca officiosa, in tal caso riservato al giudice d’appello, rivesta un carattere esclusivamente anticipatorio, rispetto a quello propriamente esercitabile in fase esecutiva (Sulla medesima direttrice interpretativa si era posizionata Sez. 1, n. 24103 del 08/04/2021, COGNOME, Rv. 281432-01).
Per le conformi posizioni espresse si richiamano, altresì, Sez. 1, n. 18245 del 24/03/2023, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 29876 del 24/03/2023, Taormina, n.m.; Sez. 1, n. 26061 del 23/03/2023, COGNOME, n.m.; Sez. 5, n. 8159 del 24/01/2023, COGNOME, n.m.; Sez. 7, n. 7157 del 15/02/2022, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 9498 del 16/03/2022, COGNOME, n.m. (pronuncia che ha sottolineato come l’incidente di esecuzione, proposto a norma dell’art. 674 cod. proc. pen., sia la sede appropriata per rimediare ad errori commessi in fase di cognizione, in punto di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena in violazione della legge); Sez. 1, n. 6270 del 14/10/2022, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 46910 del 14/09/2022, COGNOME, n.m. (nella parte motiva di tale pronuncia si può leggere che «oggetto dei giudizio di secondo grado, correlato all’effetto devolutivo della impugnazione di cui all’art.597 cod.proc.pen.,non ricomprende (in caso di mancata impugnazione della parte pubblica con cui si deduca il tema) l’errore di applicazione della pena sospesa e ciò impedisce di ritenere il mancato esercizio di un potere surrogatorio – da parte del giudice di secondo grado – fonte di una preclusione processuale derivante dal giudicato»); Sez. 1, n. 36362 del 17/05/2022, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 25199 del 05/05/2022, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 25198 del 05/05/2022, COGNOME, n.m. (qui la Corte ha ricordato che il principio del divieto di riforma peggiorativa, cristallizzato nella lettera dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., che inibisce al giudice di appello – adito solo con impugnazione proposta dall’imputato – di “revocare benefici”, sancisce il solo divieto, in secondo grado, di disporre in via officiosa la revoca facoltativa della sospensione condizionale della pena accordata in primo grado, ma non impedisce anche la revocai obbligatoria, sia essa a norma del comma primo come del comma terzo dell’art. 168 cod. pen., venendo in tali casi in rilievo un provvedimento dovuto); Sez. 1, n. 9500 del 16/03/2022, COGNOME, n.m.; Sez. 1, n. 13192 del 03/02/2022, COGNOME, n.nn.; Sez. 1, n. 36518 del 15/09/2021, COGNOME, n.m. (decisione che ha rammentato che «… prima delle modifiche introdotte dalla legge n. 128 del 2001 all’art. 168 cod. pen. e all’introduzione dell’art. 674, comma 1-bis, cod. proc. pen., era pacifico che la revoca della sospensione condizionale, secondo la procedura di cui all’art.674 cod. proc. pen., da parte del giudice dell’esecuzione era consentita solo nelle ipotesi previste dall’art. 168 primo comma n.1 e n.2 cod. pen. e non anche nell’ipotesi, Corte di Cassazione – copia non ufficiale
del tutto diversa, di violazione delle disposizioni di cui agli artt. 163 e 164 cod. pen. L’illegittima applicazione del beneficio, per essere già esistenti le cause preclusive di cui agli artt.163 e 164 cod. pen., poteva costituire solo motivo di impugnazione in pendenza del giudizio di cognizione e non anche causa di revoca della sospensione condizionale concessa con sentenza passata in giudicato; ciò al fine di evitare che la richiesta al giudice dell’esecuzione si trasformasse in un ulteriore e straordinario mezzo di impugnazione, non previsto dalla legge (ex plurimis Sez. 4, n. 2650 del 22/09/1999, Rv. 215001) A seguito delle citate modifiche normative, al giudice dell’esecuzione è stato attribuito il potere di revocare la sospensione condizionale della pena in presenza di cause ostative»; Sez, 5, n. 84 del 01/12/2020, Consulo, n.m.; Sez. 1, n. 31998 del 30/10/2020, COGNOME, n.m. (decisione che ha rimarcato come in capo al pubblico ministero, rimasto inerte nel giudizio di merito anche di secondo grado, non sussista alcun interesse a proporre impugnazione avverso la pronuncia che abbia tralasciato ogni considerazione sul tema della revoca della sospensione condizionale della pena); Sez. 1, n. 917 del 17/10/2019, dep. 2020, Karmeshtna, n.m.; Sez. 1, n. 30709 del 12/07/2019, COGNOME, Rv. 276504-01; Sez. 1, n. 30710 del 10/05/2019, NOME, Rv. 276408 – 01 (quest’ultima pronuncia ha ribadito come il mancato esercizio del potere di revoca di ufficio, esercitabile dal giudice di appello, non integri una preclusione processuale, sia pure «debole», atta a rappresentare il presupposto per l’operatività di quella tipologia di preclusione che – a mente dei principi fissati dalle Sezioni unite COGNOME – è idonea a impedire al giudice dell’esecuzione il rilievo della preesistente causa ostativa al riconoscimento del beneficio).
4.5. Nelle parti motive delle succitate pronunce COGNOME e COGNOME, si trovano quindi ben cristallizzati due importanti concetti, che costituiscono l’architrave dell’orientamento che si sta sintetizzando. Nella sentenza COGNOME è evidenziato come la mancata revoca del beneficio, ad opera del giudice di appello, non sia idonea a determinare un effetto precliusivo, quanto alla possibilità di revoca del beneficio in executivis; esprimendo una tesi di analoga significazione, la succitata sentenza COGNOME ha anche enunciato la impossibilità di desumere – dal dato oggettivo, rappresentato dalla mancata revoca, in secondo grado, della sospensione condizionale della pena illegittimamente concessa – l’esistenza di una valutazione di tenore “implicito”, sottesa al mancato esercizio del potere di revoca (una valutazione implicita come detto idonea, secondo il contrario avviso, a determinare il sopra richiamato effetto preclusivo, rispetto alla revoca in executivis).
4.6. Le stesse sentenze COGNOME e COGNOME consentono anche di introdurre un tema che – nell’economia della quaestio iuris in esame – assume fondamentale
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rilievo e che è costituito dalla natura stessa del provvedimento previsto dall’art. 168, terzo comma, cod. pen., a norma del quale è disposta la revoca della sospensione condizionale, allorquando il beneficio risulti concesso in presenza delle cause ostative indicate dall’art. 164, quarto comma, cod. pen.
4.6.1. Occorre rifarsi, sul punto specifico, alle coordinate teoriche fissate e mai minimamente rivisitate, dalla successiva giurisprudenza di legittimità – da Sez. U, n. 7551 del 08/04/1998, Cerroni, Rv. 210798 – 01, che avevano stabilito la natura meramente dichiarativa del provvedimento di revoca previsto dall’art. 168, comma primo, cod. pen., in tal modo riconnettendo i relativi effetti di diritto sostanziale direttamente al verificarsi della condizione, a prescindere dall’intervento della decisione giurisdizionale. Il provvedimento di revoca, secondo tale prospettiva teorica, assume pertanto la veste di atto meramente ricognitivo, rispetto a un effetto di caducazione del beneficio già prodottosi ope legis. Al giudice di appello è così demandato lo svolgimento di un’attività sfornita del connotato della discrezionalità, o di un contenuto genuinamente valutativo, che si sostanzia – senza che si verifichi riforma peggiorativa, in presenza di una impugnazione proposta dal solo imputato – nel potere di revocare la sospensione condizionale accordata con altra sentenza passata in giudicato, in maniera equipollente rispetto ai termini in cui analogo potere è riservato al giudice dell’esecuzione. Le Sezioni Unite Cerroni, dopo aver anche sviscerato i passaggi salienti della pronuncia delle Sezioni Unite del 12/02/1985, Conte, Rv. 167852, hanno sottolineato quanto segue: «Appare opportuno premettere quanto già affermato in tema di ratio della sospensione condizionale della pena e del correlato potere del giudice in materia (Sez. U., 02/06/1994, COGNOME). Si è chiarito, al riguardo, che il potere attribuito al giudice dagli artt. 163 ss c.p. «… trova l’imprescindibile parametro nella finalit rieducativa della pena … (cioè) di individualizzazione della pena … (ai fin della reintegrazione sociale del condannato …”, senza che ciò significhi però rinuncia da parte del legislatore a garantire le esigenze di difesa sociale. 1E tali esigenze sono destinate a prevalere tutte le volte che la prognosi di ravvedimento del condannato venga meno ex tunc (art. 168, comma 1). In tale ipotesi è prevista la revoca, che opera “di diritto”; e ciò con riferimento non solo al primo comma dell’art. 168 ma anche al disposto del comma 3 dell’art. 175, concernente la non menzione nel certificato giudiziale. … Ora, è vero che in vista dell’esigenza avvertita da legislatore di adeguare il trattamento punitivo del condannato al suo recupero sociale, il comma 5 dell’art. 597 c.p.p. (innovando così rispetto all’art. 515 c.p.p. 1930) ha attribuito al giudice di appello il potere di concedere – anche in assenza di richiesta dell’imputato impugnante – i benefici in questione, esaltando così la valenza del favor rei nella ratio sottesa alla normativa in parola, ma ciò non sembra contraddire l’interpretazione sostenuta dalle Sezioni Unite. Difatti, la revoca Corte di Cassazione – copia non ufficiale
pronunciata “di ufficio” dal giudice di appello non scalfisce il favor rei e neppure lede il correlato divieto di reformatio in peius. Il giudice di appello, difatti, si limita a prendere ed a dare atto di una situazione già verificatasi al di fuori dello stesso processo. Tanto è vero che la revoca, altrimenti, dovrebbe essere dichiarata dal giudice dell’esecuzione. Non a caso, nella giurisprudenza prevalente, il potere di revoca del giudice di appello viene considerato equivalente a quello attribuito al giudice dell’esecuzione; in entrambi i casi il giudice accerta il verificarsi d situazioni ostative alla conservazione del beneficio (di cui agli artt. 168, comma 1 e 175, comma 3), che determinano, quindi, ex lege la caducazione dei benefici concessi. È stato, difatti, affermato che, in materia di revoca di diritto, in sede esecutiva, della sospensione condizionale della pena, la circostanza che l’art. 674 c.p.p. 1988 (a differenza dell’art. 590 del codice abrogato) non faccia espresso richiamo dell’art. 168, primo comma, c.p. è del tutto irrilevante. La revoca deriva dalle stesse norme penali, con riferimento esclusivamente ad ipotesi previste dalle stesse disposizioni del codice penale, riguardanti situazioni verificatesi dopo il passaggio in giudicato della sentenza che ha applicato il beneficio (Sez. 6, 7 settembre 1993, p.m. in proc. Macrì, Rv. 195521; Sez. 1, 7 dicembre 1995, COGNOME, Rv. 203039, concordi sul punto sopra esposto, ma contrastanti quanto al potere del pubblico ministero di porre in esecuzione la pena; solamente dopo il provvedimento di revoca del giudice – a parere della prima – oppure anche antecedentemente – a parere dell’altra pronuncia».
4.6.2. Sulla problematica specifica, possono anche ricordarsi i successivi approdi di Sez. 5, n. 40466 del 27/09/2002,, COGNOME, Rv. 225699 – 01 e Sez. 3, n. 7199 del 23/01/2007, COGNOME, Rv. 236113 – 01 (sopra già citata), che hanno concordemente attribuito a tale provvedimento una natura squisitamente dichiarativa, concernendo esso effetti di diritto sostanziale che si realizzano ope legis e che, pertanto, possono essere presi in considerazione in qualsiasi momento processuale (e quindi, sia ad opera del giudice della cognizione, sia in sede esecutiva, ai sensi dell’art. 674, comma 1-bis cod. proc. pen.). Il precipitato logico e sistematico di tale lettura delle norme sopra indicate, poi, risiede nell’assenza di qualsivoglia effetto lesivo, rispetto al divieto di reformatio in pejus ed al principio devolutivo, del provvedimento di revoca che venga adottato dal giudice di appello, nel procedimento ordinario come in quello camerale, anche d’ufficio e nei casi di omessa impugnazione del pubblico ministero (sul punto, si ricorda Sez. 3, n. 56279 del 24/10/2017, Principalli, Rv. 272429 – 01, a mente della quale: «In tema di sospensione condizionale della pena, il provvedimento che dispone, ai sensi dell’art. 168, terzo comma, cod. pen., la revoca della sospensione condizionale quando il beneficio risulti concesso in presenza delle cause ostative indicate al comma quarto dell’art. 164 cod. pen., ha natura dichiarativa, in quanto
ha riguardo ad effetti di diritto sostanziale che si producono “ope legis” e possono essere rilevati in ogni momento sia dal giudice della cognizione sia, in applicazione del comma primo bis dell’art. 674 cod. proc. pen., dal giudice dell’esecuzione, e, dunque, anche dal giudice di appello in mancanza di impugnazione del pubblico ministero»).
4.7. I fautori dell’orientamento in esame ritengono, inoltre, di poter trarre risolutiva linfa e suffragio, a sostegno della loro posizione, da un ulteriore dato esegetico e sistematico. L’art. 597, comma 2, lett. a) cod. proc. pen. – in punto di demarcazione dei poteri di cognizione riservati al giudice di appello -stabilisce che sia possibile, nel giudizio di secondo grado, procedere alla revoca dei benefici, laddove appellante sia il pubblico ministero e il gravame aggredisca una sentenza di condanna. In maniera specularmente contraria, il successivo comma 3 della medesima disposizione codicistica prevede che – in caso di appello proposto dal solo imputato – il giudice non possa revocare i benefici precedentemente concessi. Il quinto comma dell’art. 597 cod. proc. pen.’ inoltre, consente al giudice di appello di applicare ex officio la sospensione condizionale della pena.
4.7.1. Attenendosi alla lettura che, di tale sequenza normativa, viene effettuata da chi condivide l’orientamento ora esaminato, la cognizione riservata al giudice di appello in ordine alla revoca del beneficio della sospensione condizionale, sarebbe conformata in modo stringente ai principi che governano l’operatività del principio devolutivo, ai sensi dell’art. 597, comma 1, cod. proc. pen. Se ne dovrebbe dedurre, allora, che il potere di procedere alla revoca del beneficio – per sua natura rigorosamente soggetto a fattori decadenziali, previsti dalla legge – sia ordinariamente affidato, dall’art. 674 cod. proc. pen., al giudice dell’esecuzione. Si ritiene poi che l’unica eccezione riscontrabile, rispetto a tale disciplina di valenza generale, sia prevista per il caso in cui il beneficio in argomento sia stato disposto con la sentenza di condanna per altro reato (art. 674, comma 1, cod. proc. pen.). Viepiù, all’indomani dell’intervento della legge 26 marzo 2001, n. 128 (successiva alle sopra analizzata Sezioni Unite Cerroni), il giudice dell’esecuzione provvede alla revoca della sospensione condizionale della pena anche “quando rileva l’esistenza delle condizioni di cui al terzo comma dell’art. 168 del codice penale” (art. 674, comma 1-bis c.p.p.), ossia laddove il beneficio risulti concesso in presenza delle condizioni ostative di cui all’art. 164, comma 4, cod. proc. pen., per mancanza originaria delle condizioni di ammissibilità pretese dalla legge.
4.7.2. Sempre secondo tale prospettiva, si è sottolineato come la stessa Sezioni Unite Cerroni consentisse – senza però giungere a imporre – al giudice di secondo grado, l’effettuazione di una valutazione ex officio e ex actis, in vista della possibile revoca della sospensione condizionale erroneamente concessa in primo
grado. La sede propriamente deputata all’adozione di tale provvedimento, pertanto, dovrebbe restare quella del procedimento di esecuzione.
4.8. In conclusione, la mancata revoca ad opera del giudice di appello (titolare, nella materia, di una mera facoltà) non produrrebbe alcuna preclusione in executivis, trattandosi di effetto non ricollegabile al mancato esercizio di un potere che non è specificamente riservato al solo giudice di appello (potendosi richiamare, sul punto, anche il dato testuale e sistematico rappresentato dall’art. comma 3, cod. proc. pen.). Conclusione che rampolla prepotentemente dalla considerazione della revoca d’ufficio ex art. 168, comma 4, ccd. pen., in presenza di causa ostativa ex art. 164, comma 4, cod. pen., quale provvedimento di natura dichiarativa, rispetto a effetti sostanziali prodottisi “ope legis”.
5. Il secondo e contrapposto orientamento, parimenti radicatosi nella giurisprudenza di legittimità, trova la sua scaturigine nella sentenza Bordonaro (Sez. 5, n. 23133 del 09/07/2020, Rv. 279906-01; nello stesso senso, si è poi espressa Sez. 1, n. 19457 del 16/01/2018, COGNOME, Rv. 272832) e ritiene illegittima la revoca disposta, in sede esecutiva, del beneficio della sospensione condizionale della pena, che sia stata accordata in contrasto con il disposto dell’art. 164, quarto comma, cod. pen., per il sussistere di una causa ostativa nota al giudice d’appello; illegittimità che si concretizzerebbe anche nel caso di mancata proposizione di impugnazione, ad opera del pubblico ministero – o, almeno, di sua formale sollecitazione – circa la natura illegittima del beneficio, non essendovi comunque preclusioni – per il giudice dell’impugnazione – rispetto all’esercizio in via officiosa del potere di revoca.
5.1. Nella sopra menzionata sentenza Bordonaro, si è in primo luogo verificato il corretto adempimento – ad opera della Corte territoriale – dell’obbligo di verifica in ordine alla conoscibilità della causa di revoca, da parte del giudice della cognizione. È stata poi analizzata la portata dei principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite COGNOME, traendone la conclusione che queste non si siano limitate a fissare la regola in forza della quale non è consentita la revoca, in executivis, del beneficio in esame, laddove la sussistenza di cause ostative allo stesso fossero documentalmente conosciute dal giudice della cognizione, ma abbiano precisato come tale condizione negativa si concretizzi, parimenti, allorquando il dato risulti implicitamente valutato, in sede di cognizione. La sussistenza di una valutazione di tipo implicito dovrebbe ravvisarsi, dunque, nel caso in cui la preesistente causa ostativa risulti apprezzabile per tabulas in atti; in tal caso, essa deve ritenersi automaticamente ricompresa all’interno dell’ambito valutativo, che è stato demandato al singolo giudizio. La Corte ha ritenuto, poi, ininfluente il profilo della carenza di impugnazione o sollecitazione, ad opera del
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pubblico ministero; e infatti, così prosegue la sentenza Bordonaro: “La sussistenza, in capo al giudice di secondo grado, di un potere di revoca del beneficio sulla base degli elementi emergenti dagli atti allo stesso disponibili, pur se officioso, realizza senz’altro il presupposto dell’inclusione della questione della revocabilità del beneficio nel perimetro valutativo del giudice, secondo il principio affermato dalla pronuncia delle Sezioni Unite, anche tenuto conto della doverosità della verifica giudiziale sul punto, espressa nella stessa pronuncia, come si è detto, con riguardo alla possibilità di acquisire gli atti necessari per la decisione. Non senza considerare che in quella pronuncia l’aspetto della mancata impugnazione della decisione di primo grado da parte del pubblico ministero veniva affrontato attribuendo alla circostanza il significato non di una limitazione del potere di revoca del giudice di appello in misura tale da escludere la preclusione all’esercizio della stessa facoltà da parte del giudice dell’esecuzione, ma, al contrario, di un’acquiescenza dell’ordinamento alla concessione del beneficio, viceversa rafforzativa dell’effetto preclusivo”.
Tale orientamento è stato recentemente ribadito da Sez. 5, n. 2144 del 20/12/2023, V., Rv. 285781 e da Sez. 5, n. 22134 del 07/03/2022, Gaetano, n.nn.
5.2. Nella sentenza V., si sottolinea come l’opposta posizione interpretativa sia figlia di una erronea lettura della sentenza COGNOME delle Sezioni Unite; una accezione del dictum del massimo consesso che, in realtà, sconta il difetto della incongrua sopravvalutazione dei poteri riservati al giudice dell’esecuzione, così finendo per svilire – allo stadio della mera facoltatività – le attribuzioni del giudi dell’esecuzione (conclusione che si porrebbe in contrasto con il principio, di valenza e portata generale, della doverosità dell’esercizio del potere giurisdizionale, al ricorrere dei presupposti di legge).
L’opposto indirizzo, inoltre, non riuscirebbe a confrontarsi – in modo rigoroso e puntuale – con uno dei nodi della questione, rappresentato dal significato da attribuire al lemma “valutazione implicita”, adoperato dalla sentenza COGNOME in punto di delimitazione dei nova, atti a legittimare l’intervento in executivis. In quest’ottica, l’inerzia dimostrata dall’ordinamento in sede di cognizione (e concretizzatasi dal silenzio, serbato tanto dal pubblico ministero, quanto dal giudice di appello), rappresenterebbe la misura di una scelta improntata all’acquiescenza, finendo per suffragare la valenza preclusiva per il giudice dell’esecuzione.
5.3. La sentenza V., poi, ha anche affermato che:
– secondo le Sezioni Unite COGNOME, la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena non partecipa della natura del “giudicai:o sostanziale” ed è assistita, pertanto, solo da una cd. preclusione debole;
– tale preclusione è superabile al ricorrere di elementi emersi in epoca successiva, rispetto all’adozione del provvedimento, ovvero dall’acquisizione di elementi preesistenti che non abbiano, però, costituito oggetto di valutazione, neanche implicita;
– il silenzio argomentativo serbato dal giudice di secondo grado, confermativo della illegittima decisione assunta dal giudice di primo grado in sede di concessione del beneficio, è un fatto processualmente apprezzabile, atteso che – saldandosi al dato oggettivo, costituito dalla presenza, nell’incarto processuale, di un certificato del casellario giudiziale dal quale si possa evincere la preesistenza di pregiudizi ostativi – esclude che tali precedenti possano essere considerati poi, in fase di esecuzione, alla stregua di nova genuinamente intesi.
Non si porrebbe, quindi, un problema di valutazione implicita, ad opera del giudice della cognizione, atteso che trattasi della semplice modalità rappresentativa di un fatto processuale negativo, coincidente con l’assenza di una decisione esplicita.
5.4. Ulteriore argomento posto a fondamento dell’orientamento che si va analizzando, è poi costituito dal riferimento all’ambito di apprezzamento riconosciuto, al legislatore nazionale, dalla Corte EDU; questa ha ripetutamente chiarito, infatti, come la riapertura di una determinata procedura, a fini di emenda di errori riconducibili al pubblico ministero, postuli che si vadano a correggere esclusivamente errori commessi a favore del destinatario della pretesa punitiva.
5.5. Infine, si trova nella sentenza V. un richiamo a Corte cost., ordinanza n. 363 del 2007, che ha dichiarato la inammissibilità della proposta questione di legittimità degli artt. 168, terzo comma, cod. pen. e 674, comma 1-bis cod. proc. pen., nel testo successivo all’intervento dell’art. 1 legge 26 marzo 2001, n. 128. In tale ordinanza, il Giudice delle leggi ha offerto una lettura sistematica delle succitate norme, in base alla quale si dovrebbe reputare legittima la revoca del beneficio in fase esecutiva, esclusivamente al ricorrere dell’ipotesi in cui la ragione impeditiva non fosse conosciuta dal giudice della cognizione; laddove la causa ostativa potesse esser nota in sede di cognizione, invece, sarebbe consentito esclusivamente l’attivazione degli ordinari rimedi impugnatori. La stessa Corte costituzionale, poi, ha ricordato che «…solo nella prospettiva dianzi indicata la norma non porrebbe problemi di violazione del giudicato – trasformando lo strumento cesurato in un nuovo mezzo straordinario di impugnazione contra reum, svincolato da limiti temporali – poiché non si tratterebbe di rivedere una decisione erronea presa in sede di cognizione, ma soltanto di eliminare una violazione di legge commessa in presenza di una situazione oggettiva, non percepita né percepibile dal giudice della cognizione, ma divenuta conoscibile solo ex post».
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5.6. Il percorso concettuale sin qui esposto giunge all’epilogo, propugnando una lettura ritenuta ossequiosa dei principi costituzionali, sia in ordine all’ar comma 1 -bis cod. proc. pen., sia per quanto afferisce alla sentenza COGNOME dell Sezioni Unite, in punto di significazione attribuibile all’inerzia serbata dal gi a fronte di un beneficio illegittimamente accordato. L’interpretazione so sintetizzata, conclude la sentenza V., scongiura possibili statuizioni in malam partem, che risulterebbero certamente confliggenti con i principi costituzionali d giusto processo, nonché della parità delle parti nel giudizio e, infine, della fu rieducativa della pena.
6. Nel contesto ricostruttivo sopra compendiato, tenuto conto delle divers impostazioni teoriche riferite, si ritiene sussistere l’ipotesi di co giurisprudenziale prevista dall’art. 618, comma 1, cod. proc. pen., stante anch rilevanza della questione e vista la non esigua messe di pronunce che si so succedute sulla materia. Tale situazione giustifica la rimessione del ricorso Sezioni Unite di questa Corte, invitate, pertanto, a decidere sulla segu questione: “Se sia legittima la revoca in executivis della sospensione condizionale della pena riconosciuta in violazione dell’art. 164, comma quarto, cod. pen. in presenza di una causa ostativa ignota al giudice di primo grado e nota a quello d’appello, che non abbia esercitato ex officio il potere di revoca o che non sia stato investito dell’impugnazione del pubblico ministero né, comunque, di formale sollecitazione di questi in ordine all’illegittimità del beneficio”.
P.Q.M.
Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.
Così deciso in Roma, 22 febbraio 2024.