Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 37115 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 37115 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CARINI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 11/01/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME; il Procuratore generale, in persona del sostituto COGNOME, ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso; l’AVV_NOTAIO ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha insistito nell’accoglimento dei motivi, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di quella città aveva condannato COGNOME NOME per il reato di cui all’art. 186, comma 2, lett. b), codice strada (tasso alcolemico accertato con etilometro pari a 1,88 alla prima prova e 1,93 g/I alla seconda, in Palermo il 25/12/2018, alle ore 4:30).
2. La Corte del gravame ha disatteso le doglianze difensive, con le quali si era contestato l’avvenuto avviso ai sensi dell’art. 114, disp. att., cod. proc. pen., ritenendo che la prova 5u1 punto (verbale e dithiarazioni dell’organo ccertatore) non fosse resistita da quella dichiarativa proveniente da uno dei passeggeri del veicolo (tale COGNOME, colui il quale era stato colto da malore, ragion per cui, secondo l’assunto difensivo, l’imputato si era trovato alla guida), il dichiarante non avendo fornito una risposta precisa sulla circostanza (“che io ricordi no”).
Quanto alla prova dello stato di ebbrezza, poi, ha valorizzato la sintomatologia riferita dal teste (alito vinoso, equilibrio precario, occhi lucidi), laddove, c riferimento all’elemento soggettivo, ha rilevato che esso può essere integrato anche dalla sola colpa, nell’occorso essendo stato l’imputato ben conscio di avere bevuto ad una cena aziendale, mettendosi poi alla guida per sostituire il COGNOME che versava in condizione fisiche precarie.
I giudici del gravame, esclusa la prescrizione del reato (dovendosi calcolare i periodi di sospensione indicati a pag. 7 della sentenza impugnata), hanno infine giustificato il bisogno di pena alla stregua dell’apprezzabile superamento dei minimi di legge, quanto al rilevato tasso alcolemico, ma anche delle modalità del fatto, avuto riguardo alla circostanza che la condotta era stata tenuta di notte, in un’arteria principale di un centro abitato, con passeggeri a bordo dell’auto. Dall’insieme di tali elementi, hanno ricavato l’elevato grado del pericolo causato e la non assoggettabilità del reato alla speciale causa di non punibilità.
Infine, la Corte territoriale ha disposto la revoca ex lege della sospensione condizionale della pena concessa dal primo giudice, avuto riguardo alla circostanza che l’imputato aveva già goduto due volte di quel beneficio.
3. La difesa ha proposto ricorso, formulando due motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione di legge, inosservanza della legge penale e vizio della motivazione, quanto alla sussistenza dell’elemento oggettivo dello stato di ebbrezza, ritenendo necessario anche l’accertamento di uno stato di alterazione correlato all’assunzione di sostanze alcoliche, contestando la valenza della
sintomatologia affidata alle dichiarazioni del verbalizzante, in assenza di altri elementi, argomentazioni che ha ritenuto decisive anche quanto al giudizio sull’invocata causa di non punibilità, invocando le ragioni della condotta (posta in essere per sostituire uno degli occupanti dell’auto colto da malore dopo la cena aziendale).
Con il secondo motivo, ha dedotto analoghi vizi quanto alla revoca d’ufficio della sospensione condizionale della pena: pur avendo la difesa riconosciuto la correttezza delle premesse in diritto operate dai giudici d’appello, le ha ritenute nella specie fuorvianti alla stregua dei precedenti annotati sul certificato del casellari giudiziale (11/12/2013, per un reato commesso in data 8/3/2007; 26/3/2019 per un reato commesso il 30/10/2013), rilevando che, dalla data della prima condanna irrevocabile e quella della seconda erano decorsi più di cinque anni.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il difensore ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
La difesa ha reiterato doglianze che si pongono in termini di dissenso rispetto alle valutazioni operate in maniera conforme dai giudici del doppio grado, avendo quelli del gravame congruamente giustificato la valutazione delle prove acquisite e la valenza delle dichiarazioni del verbalizzante, siccome corroborate dal verbale, rispetto a quelle, ritenute invece incerte ed espresse in forma dubitativa, del teste COGNOME. In definitiva, con il ricorso sono stati attaccati aspetti del giudizio inerenti alla valutazione e all’apprezzamento del significato degli elementi probatori che attengono interamente al merito e non possono essere valutati dalla Corte di cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificati sulla loro capacità dimostrativa, avendo la difesa sollecitato una rivalutazione del risultato probatorio, laddove sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degl elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482-01; n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv.280601-01; sez. 3, n. 18521 del 11/1/2018, COGNOME, Rv. 273217-01), stante la
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preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei gradi di merito (sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099).
Quanto, poi, all’argomento che sembra far leva su un’asserita necessità di prova dello stato di alterazione, la difesa ha del tutto omesso di considerare che, nella specie, non si procede per il reato di guida in stato di alterazione da sostanze stupefacenti, ma in stato di ebbrezza e che l’esito positivo dell’alcoltest costituisce prova di tale condizione (sez. 4, n. 46841 del 17/12/2021, Patruno, Rv. 282659-01), essendosi da tempo chiarita, con orientamento consolidato, la differenza della prova dei due distinti reati, posto che, per la sussistenza del reato di guida in stato di ebbrezza alcolica è sufficiente la prova sintomatica dell’ebbrezza o che il conducente abbia superato uno dei tassi alcolemici indicati nel comma secondo dell’art. 186 cod. strada, laddove, per la configurabilità del ‘ reato di cui all’art. 187 stesso codice è necessario sia un accertamento tecnicobiologico, sia che altre circostanze provino la situazione di alterazione psico-fisica (ex multis, sez. 4, n. 41796 del 11/6/2009, Giardini, Rv. 245535-01; n. 46146 del 13/10/2021, COGNOME, Rv. 282550-01; n. 11679 del 15/12/2020, dep. 2021, Ibnezzayer, Rv. 280958-01; n. 15078 del 17/1/2020, COGNOME, Rv. 279140-01).
Ciò vale anche per il giudizio sul bisogno di pena, adeguatamente giustificato dai giudici del merito con un ragionamento che ha valorizzato elementi certamente riconducibili ai parametri legali e che risulta coerente con i principi già affermati dalla giurisprudenza di legittimità, a mente dei quali, in tema di guida in stato di ebbrezza, l’assenza dei presupposti per l’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. deve motivarsi con riferimento alle concrete modalità di estrinsecazione del fatto, tali da generare un pericolo significativo in termini di non esiguità (sez. 4, n. 31843 del 17/5/2023, COGNOME, Rv. 285065-02), trattandosi di giudizio che richiede una valutazione complessiva e congiunta delle peculiarità della fattispecie concreta che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, comma 1, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno e del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/2/2016, COGNOME, Rv. 266590-01).
3. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
La Corte d’appello ha azionato i poteri officiosi alla stregua del combinato disposto di cui agli artt. 168, comma 3 e 164, comma 4, cod. pen., poiché l’imputato aveva beneficiato della sospensione per più di due volte e, quindi, in presenza di una causa ostativa (per essere stato cioè il beneficio già riconosciuto due volte) e non per avere commesso il nuovo reato nel quinquennio [art. 168, comma 1 n. 1, cod. pen., ipotesi per la quale varrebbe il principio secondo cui il momento al quale ancorare la revoca del beneficio è quello della commissione del reato e non quello del passaggio in giudicato della sentenza che lo accerta (sez. 5,
n. 17974 del 14/2/2024, NOME, Rv. 286388-01; n. 11759 del 22/11/2019, dep. 2020, Greco, Rv. 279015-01)].
Sul punto, è già stato chiarito e anche di recente ribadito che l’estinzione del reato a norma dell’art. 167 cod. pen. non comporta l’estinzione degli effetti penali diversi da quelli ivi espressamente previsti, sicché di tale reato deve comunque tenersi conto ai fini della sussistenza dei presupposti per la concessione della sospensione condizionale della pena (sez. 1, n. 47647 del 18/4/2019, COGNOME, Rv. 277457-01; sez. 2, n. 6017 del 9/1/20924, Messina, Rv.285863-01).
Ne deriva la legittimità della statuizione di revoca che, peraltro, ha natura dichiarativa sulla quale, in ogni caso, come correttamente osservato dalla Corte territoriale, deve ribadirsi quanto già affermato in sede di legittimità: infat proprio per tale natura, i suoi effetti risalgono al momento in cui si è verificata l condizione che l’abbia determinata, anche prima della pronuncia giudiziale e indipendentemente da essa. Nè consegue che non viola il divieto della reformatio in peius il giudice di appello che nel giudizio di cognizione dichiari la revoca di diritto del beneficio, anche su appello del solo imputato (Sez. U, n. 7551 del 8/4/1998, COGNOME, Rv. 210798-01; sez. 1, n. 20293 del 8/5/2008, COGNOME, Rv. 239996-01).
Alla inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi cause di esonero della responsabilità (Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Deciso il 24 settembre 2024
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