Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 2419 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 2419 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 30/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME NOME nato a CATANZARO il 28/09/1981
avverso l’ordinanza del 12/07/2024 del TRIBUNALE di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 12 luglio 2024 il Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha accolto l’istanza del pubblico ministero di revoca della sospensione condizionale della pena concessa a NOME COGNOME con sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Catanzaro del 09/12/2005, irrevocabile il 06/03/2006.
L’istanza è stata accolta per il sopraggiungere, nel quinquennio successivo alla da-ta di irrevocabilità della sentenza di condanna condizionalmente sospesa, della sentenza emessa il 18/02/2016, irrevocabile il 12/10/2021, di condanna per reato commesso il 20/06/2006.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del difensore, che ha articolato i motivi, che vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Con il primo motivo, deduce violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen., per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 163 e 168 cod. pen. e mancanza di motivazione in ordine alle ragioni della revoca della sospensione condizionale della pena. Ha errato il Giudice nel ritenere che la mera commissione di un nuovo delitto possa essere motivo sufficiente a determinare la revoca del beneficio precedentemente commesso, dovendosi verificare l’entità della pena inflitta e l’eventuale superamento dei limiti massimi stabilito dall’art. 163 cod. pen.; nel caso di specie, il cumulo delle due pene inflitte al COGNOME non avrebbe determinato il superamento di detti limiti.
2.2. eon il secondo motivo deduce violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen., per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 649 cod. pen.
Come eccepito in udienza, la medesima richiesta formulata dal PM, iscritta al proc. 130/2023 SIGE era stata già respinta dal G.E.; purtuttavia, in violazione dell’art. 649 cod. pen. veniva iscritto ulteriore proc. (n. 131/2023) deciso con la ordinanza impugnata.
Il Procuratore generale, dott. NOME COGNOME ha chiesto, con requisitoria scritta, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
COGNOME Il primo motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato, avendo il Giudice dell’esecuzione disposto la revoca obbligatoria del beneficio concesso
con la sentenza del Tribunale di Catanzaro, in data 09 dicembre 2005, in presenza delle condizioni previste dall’art. 168, comma 1 n. 1), cod. pen.
Anche dopo la riformulazione dell’art. 168 cod. pen., con l’aggiunta del terzo e ultimo comma con legge 26 marzo 2001, n. 128, è rimasto consolidato l’orientamento ermeneutico di questa Corte, conforme al dato testuale delle norme richiamate e alla loro lettura sistematica, in forza del quale la condanna a pena non sospesa o per reato commesso entro il quinquennio dal passaggio in giudicato di precedente sentenza di condanna a pena sospesa (art. 168, primo comma, n. 1 cod. pen.) o per delitto anteriormente commesso a pena che cumulata a quella precedentemente sospesa, supera i limiti di cui all’art. 163 cod. pen. (art. 168, primo comma, n. 2 cod. pen) impone al giudice dell’esecuzione la revoca del beneficio. Con riferimento soltanto all’ipotesi di cui all’art. 168, primo comma, n. 1 cod. pen., si è, ulteriormente, precisato, che non rileva la circostanza che il cumulo delle pene inflitte con le due decisioni rientri nei limiti stabiliti per la reiterazione del beneficio, poiché la valutazione di meritevolezza a tal fine necessaria compete al solo giudice della cognizione. Infatti, il primo comma dell’art. 168 cod. pen. prevede sub 1) la “revoca di diritto”, e quindi al di fuori di qualsiasi valutazione discrezionale, della sospensione condizionale della pena già concessa, se «nei termini stabiliti, il condannato commetta un delitto per cui venga inflitta una pena detentiva». La clausola di · riserva, che, nello stesso primo comma, fa salva la disposizione dell’ultimo comma dell’art. 164 cod. pen. sta a significare, invece, che «la revoca è disposta tranne che il giudice in sede di cognizione non ritenga di reiterare per una seconda volta il beneficio a fronte di una pena che, seppur sommata a quella precedentemente inflitta, si mantenga entro il limite dei due anni come prescritto dall’art. 163 cod. pen.» (Sez. 1, n. 8465 del 27/01/2009, COGNOME, Rv. 244398; conforme, da ultimo, Sez. 1, n. 24639 del 27/05/2015, COGNOME, Rv. 263973). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il presupposto del mancato superamento dei limiti sanzionatori previsti dall’art. 163 cod. pen., opera soltanto nel caso, disciplinato dell’art. 168 cod. pen., comma 2, di una seconda condanna per delitto commesso anteriormente a quello per il quale sia stata già accordata la sospensione condizionale dell’esecuzione e consente al giudice in via facoltativa di disporne la revoca in considerazione “dell’indole e della gravità del reato”.
Tale situazione non ricorre nel caso presente, in cui la seconda condanna è stata riportata per fatto delittuoso commesso in epoca successiva al primo delitto giudicato.
Il secondo motivo è inammissibile in quanto generico e non autosufficiente: il ricorrente afferma essere stato emesso un altro provvedimento di rigetto di una richiesta del P.M., iscritta con un altro numero SIGE; la mancata allegazione di detto provvedimento, il cui onere incombeva sul ricorrente, trattandosi di atto forjnatosi
nell’ambito di diverso procedimento dal presente, e l’omessa specificazione del tenore dello stesso, oltre che della specifica richiesta formulata in quel caso dal Pubblico Ministero, non consente, ancor prima che di valutare l’eventuale fondatezza della censura sollevata, di apprezzarne l’effettivo contenuto.
Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, e il ricorrente deve essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso (Corte Cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 30/10/2024