Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23815 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23815 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nata a Pianoro il 10/05/1958
avverso l’ordinanza del 09/01/2025 della Corte di appello di Bologna udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto, con requisitoria scritta, il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 09 gennaio 2025 la Corte di appello di Bologna, quale giudice dell’esecuzione, ha revocato la sospensione condizionale concessa a NOME COGNOME con la sentenza emessa dalla Corte di appello di Bologna in data 31 gennaio 2014, divenuta definitiva in data 17 maggio 2014, con la quale ella è stata condannata alla pena di un anno e due mesi di reclusione e 740 euro di multa, con concessione della sospensione condizionale subordinata al pagamento, entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza, di una provvisionale pari ad € 232.946 in favore della parte civile RAGIONE_SOCIALE e pari ad € 5.000 in favore di NOME COGNOME
La Corte di appello ha preso atto del mancato pagamento di dette somme, come dimostrato dai documenti depositati dalle parti civili, e ha disposto la revoca del beneficio, dal momento che l’inadempimento dimostra l’assenza di resipiscenza e che la condannata non ha mai dichiarato, nel giudizio di merito, di non avere la possibilità economica di provvedere al pagamento delle somme indicate. Esse, peraltro, corrispondono al denaro illecitamente sottratto per cui, nel silenzio della condannata, deve presumersi che la stessa le detenga ancora, ovvero detenga i frutti del loro reinvestimento; del tutto irrilevante è la prova della impossidenza mobiliare e immobiliare, ben potendo la donna avere occultato le somme di cui si è illecitamente impossessata. E’ irrilevante anche l’affermazione dell’essersi il credito prescritto, essendo decorsi oltre dieci anni dal suo accertamento definitivo, e irrilevante il mancato attivarsi delle parti civili per ottenerne il pagamento, essendo l’obbligo restitutorio finalizzato a verificare la resipiscenza, e quindi la meritevolezza del beneficio. Ha, perciò, revocato la sospensione condizionale ai sensi dell’art. 168, comma 1, n. 1, cod. pen.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME per mezzo del suo difensore avv. NOME COGNOME articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge in relazione all’art. 168 cod. pen.
La Corte di appello ha errato in merito all’onere di valutazione della capacità della condannata a far fronte all’obbligo risarcitorio. La ricorrente aveva lamentato, davanti al giudice dell’esecuzione, che i giudici di merito non avevano effettuato alcuna indagine circa la sua capacità economica, per cui chiedeva che tale valutazione fosse effettuata in sede di incidente di esecuzione. La Corte si è sottratta a tale onere, sostituendolo con un meccanico sillogismo, così violando i principi dettati dalla corte di cassazione.
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge in relazione agli artt. 165 e 168 cod. pen.
La Corte di appello non ha neppure valutato in modo corretto le ragioni addotte dalla ricorrente per sostenere la propria impossibilità di adempiere. Da un lato ella ha evidenziato l’eccessiva onerosità dell’ammontare risarcitorio, come originariamente fissato, e dall’altro ha evidenziato la sua onerosità alla luce delle sue possibilità economiche attuali. Sotto questo secondo profilo, ella ha assolto al proprio onere motivazionale depositando un certificato di pubblicità immobiliare, che la qualifica come impossidente. La motivazione dell’ordinanza impugnata non è convincente perché la Corte di appello, oltre a non avere valutato la congruità della provvisionale da versare, come stabilita dal giudice di merito, e ad essersi sottratta all’onere di compiere indagini per accertare la eventuale capacità economica della ricorrente, non ha considerato che la somma per la cui appropriazione ella è stata condannata sarebbe stata sottratta dal 2005 al 2007, e il lungo tempo trascorso rende plausibile che essa sia stata totalmente consumata, anche in sperperi, e non sia rimasta occultata o reinvestita, così da poter essere, oggi, restituita.
2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge, per avere il giudice dell’esecuzione escluso il venir meno dell’obbligo risarcitorio per la sopravvenuta prescrizione del credito, ai sensi degli artt. 2934 e 2953 cod. civ.
La sentenza Sez. U, n. 32939/2023, Selvaggio, ha stabilito che il danno civilistico ha una connotazione privatistica, per cui è interesse della parte civile ottenerne il riconoscimento e la esigibilità. Solo la parte civile può attivarsi per pretendere l’esecuzione dell’onere risarcitorio stabilito dal giudice, mentre in questo caso tale pretesa non è stata mai esercitata. Conseguentemente, avendo tale credito una natura privata e non essendo stato mai esercitato, esso si è prescritto, e con esso si è prescritto il debito della ricorrente.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, chiede il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato in tutti i suoi motivi, e deve essere rigettato.
Il primo e il secondo motivo di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente stante l’analogia dell’oggetto, sono infondati.
2.1. La ricorrente ha dedotto correttamente l’erroneità dell’ordinanza nella parte in cui il giudice dell’esecuzione ha sostenuto che fosse suo onere «allegare e provare, già nel giudizio di merito, circostanze idonee ad escludere la propria solvibilità». Questa Corte, infatti, ha affermato che «In tema di sospensione condizionale della pena, nel caso in cui il beneficio venga subordinato all’adempimento dell’obbligo risarcitorio, il giudice della cognizione non è tenuto
a svolgere alcun accertamento sulle condizioni economiche dell’imputato, atteso che la verifica dell’eventuale impossibilità di adempiere del condannato rientra nella competenza del giudice dell’esecuzione» (Sez. 4, n. 4626 del 08/11/2019, dep. 2020, Rv.278290; Sez. 6, n. 33020 di 08/05/2014, Rv.260555). Anche le pronunce più recenti, che attribuiscono al giudice della cognizione l’onere di verificare, almeno sommariamente, la capacità economica del condannato prima di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno o ad altro adempimento di natura patrimoniale, non ritengono che appartenga alla competenza di tale giudice l’indagine sulle capacità economiche dell’imputato, ma si limitano ad affermare necessaria una loro sommaria verifica solo qualora emergano, nel corso del processo, elementi tali da far seriamente dubitare della possibilità di questi di adempiere (si vedano Sez. 2, n. 38431 del 13/09/2023, Rv. 285041; Sez. 2, n. 20317 del 18/04/2014, Rv. 286410; Sez. 5, n. 37160 del 10/09/2024, Rv. 287113).
E’ errata, perciò l’affermazione della ricorrente, secondo cui lo stesso giudice della cognizione avrebbe dovuto compiere accertamenti circa la sua capacità economica: non risulta, né ella stessa ha allegato, che nel giudizio di merito fossero emersi elementi indicativi di una impossibilità dell’imputata di restituire l’importo di cui si era illecitamente appropriata, oggetto della provvisionale concessa alle parti civili. Al contrario, gli elementi accertati nel giudizio d merito, in particolare l’avvenuto illecito impossessamento, fino a pochi anni prima della condanna, di C 232.946, ed anche la qualità di lavoratrice dipendente, titolare, quindi di uno stipendio, inducevano logicamente a ritenere che ella fosse in grado di adempiere quanto meno a tale obbligazione. Deve anche ribadirsi che la decisione del giudice di merito, circa l’entità della provvisionale e la subordinazione della sospensione condizionale al suo pagamento, divenuta irrevocabile, non può essere modificata dal giudice dell’esecuzione: è errata, pertanto, l’affermazione della ricorrente, contenuta nel secondo motivo di ricorso, secondo cui il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto «valutare la congruità della entità della provvisionale imposta». Il suo importo è stato ritenuto congruo dal giudice della cognizione, e la ricorrente avrebbe dovuto impugnare tale punto della decisione, se l’avesse ritenuta errata; tale valutazione è ormai definitiva, e non può essere ribaltata o modificata dal giudice dell’esecuzione, stante il principio della intangibilità del giudicato: questa Corte ha affermato, infatti, che «l’illegittimità della subordinazione della sospensione condizionale della pena alla pubblicazione della sentenza ai sensi dell’art. 185 cod. pen. … può essere dedotta solo nel giudizio di cognizione, per mezzo della impugnazione della sentenza viziata, ma non anche in sede di esecuzione, ostando in tale ultimo caso l’intangibilità del giudicato» (Sez. 1, n. 17662 del 22/01/2014, Rv. 259628; Sez. 1, n. 7518 del 31/01/2025, Rv. 287560, in motivazione). E’ perciò significativa la valutazione, contenuta nell’ordinanza
Ì/
impugnata, secondo cui il giudice di merito ha ritenuto congrua l’entità della provvisionale stabilita benché la condannata, già all’epoca, «godesse di un semplice stipendio da lavoratrice dipendente o non possedesse beni mobili ed immobili»: la condizione economica oggi invocata come dimostrativa di una situazione di impossidenza era presente anche all’epoca di emissione della condanna ed è stata definitivamente valutata, nel giudizio di merito, come non tale da impedire il pagamento della provvisionale, proprio perché questa corrispondeva all’importo illecitamente sottratto e ne costituiva, pertanto, una mera restituzione.
2.2. Peraltro, stabilito che è onere del giudice dell’esecuzione accertare l’effettiva, incolpevole impossibilità di adempiere agli obblighi a cui il beneficio è stato subordinato, in ottemperanza del principio secondo cui «In tema di sospensione condizionale della pena subordinata al risarcimento dei danni, l’assoluta impossibilità di adempiere, accertata dal giudice della esecuzione, impedisce la revoca del beneficio» (Sez. 1, n. 43905 del 14/10/2013, Rv. 257587), deve rilevarsi che, nel caso di specie, tale accertamento è stato compiuto dal giudice dell’esecuzione, di fatto, in modo logico e sufficiente.
Il condannato che invochi la propria impossibilità, originaria o sopravvenuta, di adempiere agli obblighi imposti ai sensi dell’art. 165 cod. pen. ha un onere di allegazione degli elementi idonei a dimostrare tale condizione. Nel caso di specie la ricorrente, per quanto risulta dall’ordinanza stessa, si è limitata a dimostrare documentalmente la mancanza di proprietà di beni mobili e immobili. La valutazione compiuta dal giudice dell’esecuzione, circa l’irrilevanza di tale documentazione per ritenere sussistente una condizione di impossidenza, è logica e non contraddittoria, alla luce degli elementi accertati nel giudizio di merito, in particolare l’avvenuto illecito impossessamento della somma di C 232.946, ed anche la già indicata qualità della condannata di lavoratrice dipendente, titolare, quindi di uno stipendio. E’ l gico, infatti, ritenere che ella, impossessatasi di una tale somma di denaro, l’abbia occultata o, se reinvestita, abbia evitato modalità di impiego tracciabili. Peraltro ella non ha smentito di essere titolare di uno stipendio, o di esserlo stata all’epoca del passaggio in giudicato della sentenza contenente il beneficio subordinato all’obbligo di pagamento della provvisionale: logicamente, pertanto, il giudice dell’esecuzione ha ritenuto che, oltre ad essere plausibile che ella detenesse ancora il denaro di cui si era illecitamente appropriata, dato il tempo non elevato trascorso dalla cessata consumazione del delitto al passaggio in giudicato della condanna, ella fosse comunque in grado di far fronte al pagamento, almeno in forma rateale.
2.3. La ricorrente stessa, nel ricorso, non ha in realtà allegato alcuna circostanza verificabile, che consentisse di accertare la sua totale incapacità di adempiere, e soprattutto la natura incolpevole di tale incapacità.
Si deve ribadire che, secondo i principi sempre ribaditi da questa Corte, l’accertata impossibilità di adempiere impedisce la revoca della sospensione condizionale solo se incolpevole, non potendo godere del beneficio il condannato che si sia posto volontariamente nella condizione di impossibilità: l’adempimento degli obblighi imposti ai sensi dell’art. 165 cod. pen., infatti, dimostra l resipiscenza del condannato, per cui il loro volontario inadempimento, in assenza di una impossibilità non dipendente da una propria responsabilità, comporta la revoca del beneficio perché tale condotta, successiva al reato o addirittura successiva alla concessione del beneficio stesso, ne evidenzia la non meritevolezza (Sez. 1, n. 9223 del 05/02/2025, Rv. 287683; Sez. 3, n. 30402 del 08/04/2016, Rv. 267330; Sez. 6, n. 3450 del 05/02/1998, Rv. 210088). E’, pertanto, errata l’affermazione della ricorrente, secondo cui l’impossibilità di adempiere sarebbe rilevante anche in caso di «sperpero del ricavato»: se ella, appropriatasi della somma contestata, l’avesse sperperata, la sua sopravvenuta condizione di impossidenza non impedirebbe la revoca della sospensione condizionale concessale, essendo tale condotta ulteriormente dimostrativa, insieme all’inadempimento, della sua mancanza di resipiscenza e della non meritevolezza del beneficio.
Peraltro deve evidenziarsi che la ricorrente non ha neppure dedotto, in concreto, di avere sperperato l’importo di cui si è appropriata, né ha dato alcuna indicazione su come esso sia stato da lei utilizzato, così da consentire al giudice dell’esecuzione un’indagine diretta ad accertare la sua inesistenza, a partire dal passaggio in giudicato della condanna, e più in generale a verificare le ragioni dell’asserita impossidenza, che sarebbe sopravvenuta già al momento della definitività della sentenza di condanna. Ella, infatti, ha in realtà solo affermato che la somma potrebbe essere stata lentamente consumata, «anche, eventualmente, con sperperi inutili», affermazione del tutto generica, che non consente alcun tipo di accertamento. Ella, inoltre, nel ricorso non si confronta con l’affermazione di essere o essere stata stata una lavoratrice dipendente e titolare di uno stipendio: tale circostanza non è stata negata, ed è significativa per escludere una totale impossidenza e una impossibilità di pagare, quanto meno, la ben minore provvisionale stabilita in favore della parte civile NOME COGNOME il cui mancato adempimento è rimasto del tutto non giustificato dalla ricorrente.
Entrambi i motivi sopra esaminati devono, pertanto, essere rigettati.
3. Anche il terzo motivo di ricorso è infondato.
La ricorrente sostiene che il giudice avrebbe dovuto prendere atto dell’avvenuta estinzione del credito delle parti civili, per la sua prescrizione maturata ai sensi degli artt. 2934 e 2953 cod. civ., richiamando però a sproposito la sentenza Sez. U, n. 32939 del 27/04/2023, Selvaggio, Rv. 284969,
che è relativa non all’esecuzione dell’obbligo di adempimento eventualmente collegato alla sospensione condizionale e alla revoca di questa, bensì è relativa all’applicabilità della subordinazione del beneficio a tale obbligo, ai sensi dell’art. 165 cod. pen., ritenuta possibile solo in presenza di una parte civile costituita. Tale pronuncia ribadisce la natura privatistica del danno civilistico, diversamente da quella del danno criminale, natura della quale la giurisprudenza di legittimità non ha mai dubitato, e stabilisce solo che il giudice penale può assumere decisioni in ordine ad esso solo se vi sia stata l’iniziativa, nel processo penale, della parte privata danneggiata, non potendo altrimenti compiere un accertamento di natura civilistica.
Tale pronuncia non ha alcun effetto sulla eseguibilità degli adempimenti a cui il giudice abbia legittimamente subordinato la sospensione condizionale: tale adempimento rileva nel processo penale in quanto dimostra la resipiscenza del condannato e la meritevolezza del beneficio, e la sua mancata esecuzione comporta la revoca della sospensione condizionale indipendentemente dalle azioni compiute o meno dalla parte civile creditrice per ottenere tale adempimento, essendo la revoca motivata dalla manifestazione dell’assenza di meritevolezza. Questa Corte, infatti, ha costantemente stabilito che «In tema di sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento di un obbligo risarcitorio, il mancato adempimento dello stesso nel termine entro cui l’imputato è tenuto a provvedervi, determina la revoca, “ex iure”, del beneficio, non rilevando le vicende dell’obbligazione civile successive al decorso di tale termine, salva la sopravvenuta impossibilità di adempiere» (Sez. 1, n. 36377 del 07/07/2023, Rv. 285245).
Nel caso di specie, pertanto, il mancato adempimento dell’obbligo di pagamento della provvisionale entro il termine stabilito nella sentenza, quello di sei mesi dal passaggio in giudicato della decisione (termine entro il quale il credito non era, peraltro, prescritto), comporta la revoca del beneficio, indipendentemente da qualunque eventuale vicenda successiva, relativa al credito stesso.
E’ appena il caso di ribadire, infine, che la pena da eseguire, dopo la revoca della sospensione condizionale, non è prescritta. Questa Corte ha costantemente stabilito che «In tema di prescrizione della pena detentiva, ove sia stata concessa al condannato la sospensione condizionale subordinata ai sensi dell’art. 165 cod. pen., ed il beneficio sia stato poi revocato dal giudice dell’esecuzione per l’inottemperanza agli obblighi prescritti, il termine di prescrizione decorre dalla data del provvedimento di revoca» (Sez. 1, n. 46799 del 07/11/2024, Rv.287287; Sez. 1, n. 27449 del 28/06/2005, Rv. 231757)
4. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere respinto, e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 10 aprile 2025
Il Consigliere estensore
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Il Presidente