Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22293 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22293 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 06/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME, nato a Sant’Agata di Militello il DATA_NASCITA; avverso la sentenza del 15/05/2023 della Corte di appello di Messina; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata, lirnuatamente alla revoca della sospensione condizionale della pena, e la dichiarazione di inammissibilità del ricorso nel resto; udito il difensore, AVV_NOTAIO.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 15 maggio 2023, la Corte d’appello di Messina ha parzialmente riformato la sentenza del 29 aprile 2022 del Tribunale di Patti, con la quale l’imputato era stato condannato alla pena – condizionalmente sospesa di anni 1 e mesi 6 di reclusione per i reati di cui agli artt. 110 cod. pen. e 5 de d.lgs. n. 74 del 2000, perché, in concorso con altri, in qualità di amministratore di
fatto della RAGIONE_SOCIALE, con sede legale in Brolo (INDIRIZZO), al fine di consentire alla medesima di evadere le imposte sul reddito e IVA, ometteva di presentare la dichiarazione modello unico NUMERO_DOCUMENTO per l’anno di imposta 2014 e, quindi, di dichiarare, ai fini dell’IRES, una somma di imponibile di euro 315.339,00 con IRES al 27,5% pari ad euro 86.718,22 e, ai fini dell’IVA, una somma imponibile pari ad euro 535.571,00, con IVA al 22% esposta per euro 117.825,70. Nello specifico, la Corte di appello di Messina ha assolto l’imputato dalla contestazione afferente alla dichiarazione IRES, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, ed ha rideterminato la pena principale in anni 1 e mesi 4 di reclusione, altresì disponendo la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena e confermando, nel resto, la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza l’imputato, tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamenta il vizio di motivazione in relazione alla presunta sussistenza, in capo al ricorrente, della qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE Più precisamente, la Corte territoriale avrebbe erroneamente fondato il proprio convincimento sulla partecipazione dell’imputato alle operazioni di verifica, effettuate dalla Guardia di Finanza, nonché sulle dichiarazioni – generiche e prive di riscontro probatorio – del teste COGNOME, ignorando, tuttavia, che lo svolgimento della funzione di amministratore di fatto presupporrebbe il compimento di tipiche attività gestionali; ciò di cui, all’opposto, non vi sarebbe traccia nel caso di specie.
2.2. In secondo luogo, si censurano la violazione degli artt. 164 e 168, cod. pen., 125, comma 3, 546, comma 1, lettera e), 597, comma 3, 674, comma 1bis, cod. proc. pen., e 111 Cost., nonché il connesso difetto motivazionale.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità in relazione ai poteri di revoca del giudice dell’esecuzione – da ritenersi pertinente nei caso di specie, stante l’identità dei poteri dichiarativi del giudice del cognizione e di quello dell’esecuzione – la Corte d’appello – con motivazione, peraltro, insufficiente e inadeguata – avrebbe illegittimamente revocato d’ufficio il beneficio della sospensione condizionale della pena, concesso dal Tribunale di primo grado pur in presenza di causa ostativa, giacché tale causa sarebbe stata già nota al primo giudice, risultando dal certificato del casellario giudiziale debitamente allegato in atti, il quale riportava due precedenti condanne con pena sospesa. Né la relativa statuizione, favorevole all’imputato, sarebbe stata impugnata dal Pubblico ministero; di talché osserva la difesa che – considerato che, nel nostro ordinamento, se, da un lato, non è previsto un potere di revoca d’ufficio della sospensione condizionale della pena da parte del giudice della cognizione, è, all’opposto, sancita, nell’ambito della disciplina del divieto d reformatio in peius, l’impossibilità, per il giudice, di revocare benefici allorquando l’appellante sia il solo imputato – il giudice dell’appello non avrebbe potuto emendare l’errore di diritto commesso dal Tribunale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, limitatamente al secondo motivo di censura, ed inammissibile nel resto.
1.1. La prima doglianza – riferita al vizio di motivazione circa la presunta sussistenza, in capo al ricorrente, della qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE – è inammissibile. Le asserzioni della difesa risultano, in primo luogo, formulate in modo non specifico, allorché dirette ad offrire una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione della decisione di secondo grado, circa l’amministrazione di fatto della RAGIONE_SOCIALE in capo al COGNOME, senza la prospettazione di elementi dirimenti puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare un’effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970). Tali argomentazioni, inoltre, si esauriscono in un apprezzamento meramente fattuale, la cui valutazione risulta preclusa al sindacato di questa Corte, giacché riservata, in via esclusiva, al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimit la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (ex multis, Sez. 1, n. 45331 del 17/02/2023, Rv. 285504; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, Rv. 229369; Sez. U., n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207944). Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, la nozione di amministratore di fatt intrrAotta dall’art. 2639 cod. civ., postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione; nondimen significatività e continuità non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i potei propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile atti ;ità gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale; con la conseguenza che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive – in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, come i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i cli ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare – il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove Corte di Cassazione – copia non ufficiale
sostenuta da congrua e logica motivazione (ex plurimis, Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, Rv. 277540; Sez. 5, n. 35249 del 03/04/2013, Rv. 255767; Sez. 5, n. 43388 del 17/10/2005, Rv. 232456).
Ebbene, nel caso di specie, la motivazione della Corte d’appello appare logica e coerente, laddove evidenzia che l’amministrazione di fatto della RAGIONE_SOCIALE, da parte del COGNOME, emerge chiaramente dalle dichiarazioni rese, in sede dibattimentale, dal teste COGNOME, militare della Guardia di Finanza che aveva partecipato alla verifica fiscale, in ordine alla circostanza che fosse stato proprio il ricorrente ad assistere gli operanti nel corso dell’accertamento fornendo loro tutte le informazioni necessarie – nonché dal fatto di essere l’imputato il legale rappresentante anche di altra società, dichiarata fallita, e esercente la medesima attività, nei medesimi locali, della ditta in contestazione.
1.2. Il secondo motivo di ricorso risulta, invece, fondato.
1.2.1. In punto di diritto, occorre rilevare che il provvedimento che dispone, ai sensi dell’art. 168, terzo comma, cod. pen., la revoca della sospensione condizionale quando il beneficio risulta concesso in presenza delle cause ostative indicate nel quarto comma dell’art. 164 cod. pen., ha natura dichiarativa, in quanto ha riguardo ad effetti di diritto sostanziale che si producono ope legis e possono essere rilevati in ogni momento sia dal giudice della cognizione sia, in applicazione dell’art. 674, comma 1-bis, cod. proc. pen., dal giudice dell’esecuzione, e, dunque, anche dal giudice di appello in mancanza di impugnazione del pubblico ministero.
Nonostante ciò, deve precisarsi che il giudice di appello ripete il proprio potere di revocare d’ufficio i benefici, ivi compreso quello della sospensione condizionale della pena, dalla disciplina dettata per la materia di esecuzione, e, segnatamente, dall’art. 674, comma 1-bis, cod. proc. pen. La disciplina relativa al processo di cognizione, infatti, non solo non contiene alcuna disposizione che autorizza la revoca di ufficio della sospensione condizionale, ma, addirittura, prevede, nell’ambito della disciplina del divieto di reformatio in peius, all’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., che quando l’appellante è il solo imputato, il giudice non può revecare benefici.
Il potere di revoca di ufficio dei benefici, inoltre, appare esercitabile negli stess casi in cui potrebbe essere fatto valere dal giudice dell’esecuzione, per evidenti ragicni di economia processuale; ciò che, di conseguenza, pone in rilievo il rimedio, specificamente previsto dal legislatore per ovviare all’ipotesi di sospensione condizionale della pena concessa in difetto dei presupposti, del potere del giudice dell’esecuzione di provvedere altresì alla revoca del beneficio quando sussistano le condizioni di cui all’art. 168, terzo comma, cod. pen., ovverosia allorquando la sospensione condizionale sia stata concessa in violazione dell’art. 164, quarto comma, cod. pen., in presenza di cause ostative. L’art. 164, terzo comma, cod.
pen., a sua volta, vieta la concessione della sospensione condizionale più di una volta, salvo deroga nel solo caso in cui la seconda condanna, cumulata con quella precedente, non superi i limiti stabiliti dall’art. 163 cod. pen.
Ebbene, sul punto, sono intervenute le Sezioni Unite, le quali, in forza del disposto di cui all’art. 674, comma 1-bis, cod. proc. pen., hanno statuito che il giudice dell’esecuzione possa revocare il beneficio della sospensione condizionale della pena, concesso in violazione dell’art. 164, quarto comma, cod. pen., in presenza di cause ostative, a meno che tali cause non fossero documentalmente già note al giudice della cognizione, avendo, a tal fine, l’onere di acquisire, per la doverosa verifica al riguardo, il fascicolo del giudizio (Sez. U., n. 37345 del 23/04/2015, Rv. 264381). La pronuncia contiene affermazioni che appaiono pertinenti anche per il giudizio di cognizione, allorché – dopo aver osservato che il dato, propriamente documentato in atti, del quale sia stata indebitamente omessa la doverosa valutazione, non è suscettibile di essere ricondotto nell’ambito delle nuove produzioni documentali – ha rilevato che la previsione di uno specifico mezzo di impugnazione consente – in virtù del postulato della intrinseca coerenza e logicità dell’ordinamento – di stabilire con nettezza la linea di confine di ta nuove deduzioni, nel senso che, laddove si configuri la acquiescenza, resta simmetricamente esclusa la possibilità di far valere, per vincere la preclusione, quanto doveva essere dedotto con l’impugnazione la cui mancata proposizione ha comportato l’effetto della preclusione medesima; di talché sembra ragionevole concludere che, nel giudizio di cognizione, il giudice di appello può revocare di ufficio la sospensione condizionale della pena, concessa in violazione dell’art. 164, quarto comma, cod. pen, ma sempre che le cause ostative non fossero documentalmente già note al giudice di primo grado, avendo, a tal fine, l’onere di procedere ad una doverosa verifica al riguardo (ex plurimis, Sez. 2., n. 26721 del 26/04/ 2023, Rv. 28768; Sez. 3, n. 42004 del 5/10/2022, Rv. 283712; Sez. 3, n, 34387 del 27/04/2021, Rv. 282084). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.2.2. Nel caso di specie, la Corte di appello ha revocato la sospensione condizionale della pena, concessa in primo grado, osservando che l’imputato aveva già goduto del beneficio, in relazione a plurime precedenti condanne – ragion per cui l’ulteriore applicazione dell’istituto, oggi in contestazione, risu effettivamente avvenuta in violazione degli artt. 164, ultimo comma, e 168, terzo comrna, cod. pen. – sull’errato rilievo che ciò non risultasse dal certificato presente nel fascicolo di primo grado; certificato che, all’opposto, risulta prodotto dalla difesa, su richiesta dell’autorità giudiziaria, in data 18 febbraio 2021 anteriormente alla pronuncia di primo grado – e, in ogni caso, debitamente allegato in atti.
In applicazione dei principi di diritto precedentemente indicati, pertanto, deve ritenersi che il potere di revocare di ufficio la sospensione condizionale della pena non sia stato esercitato nel rispetto di tutte le condizioni di legge richiest dall’ordinamento.
Da quanto precede, consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, limitatamente alla revoca della sospensione condizionale della pena, che deve essere eliminata; mentre il ricorso deve essere dichiarato nel resto inammissibile.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla revoca della sospensione condizionale della pena; revoca che elimina. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 06/02/2024