Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2144 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2144 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
v. P .
l, nato al L GLYPH
omissis GLYPH
omissis I
avverso l’ordinanza del 08/06/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, NOME COGNOME, la quale ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza n. 10621 del 31 gennaio 2023, la I Sezione di questa Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza del 9 giugno 2023, con cui la Corte d’appello di Catanzaro, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena, che era stata concessa a GLYPH V. P .
con sentenza della stessa Corte territoriale del 28 novembre 2019 (divenuta irrevocabile il 13 ottobre 2021).
A parere della I Sezione della Cassazione, la Corte d’appello avrebbe deliberatamente messo da canto l’indagine relativa alla causa di revoca, prendendo in esame esclusivamente la fattispecie di revoca decadenziale di cui all’articolo 168, primo comma, n. 2, cod. pen., per avere il condannato riportato ulteriori condanne a pene di molto eccedenti il limite di cui all’articolo 163 cod. pen. Nel ricordare che tutte le sentenze di condanna ulteriori, menzionate nell’ordinanza del 9 giugno 2023, erano divenute irrevocabili prima e non dopo il passaggio in giudicato della sentenza del 28 novembre 2019, che ha concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena, la I Sezione di questa Corte ha pertanto ritenuto che, al caso di specie, non potesse applicarsi la revoca di diritto del beneficio, prevista nella disposizione di cui all’articolo 168, primo comma, n. 2, cod. pen.
Con ordinanza resa in data 8 giugno 2023, la Corte d’appello di Catanzaro, decidendo su rinvio della Cassazione disposto con la sentenza prima citata, ha confermato la revoca della sospensione condizionale della pena, rilevando che, malgrado l’erronea concessione della stessa fosse nota tanto al giudice dell’appello quanto al procuratore AVV_NOTAIO, tale circostanza non fosse d’ostacolo all’emendamento dell’errore in sede esecutiva e, ciò, sulla base delle seguenti argomentazioni.
Dal fascicolo – acquisito a seguito della sentenza di annullamento della I Sezione di questa Corte – concernente la fase di cognizione del giudizio definito con la sentenza del novembre 2019, con cui si era accordato il beneficio della sospensione condizionale della pena, emergeva la presenza di un certificato penale, dal quale risultavano, in totale, quattro condanne, per due delle quali era stato concesso il beneficio in parola. Ciò rendeva il terzo beneficio illegittimo, ai sensi dell’art. 164, quarto comma, cod. pen. Altre cinque successive condanne erano invece ignote alla Corte d’appello, trattandosi di condanne non ancora definitive alla data del 28 novembre 2019.
L’illegittima concessione del beneficio in parola – ha osservato la Corte d’appello – non aveva formato oggetto di appello del pubblico ministero, né alcuna formale sollecitazione alla revoca era stata avanzata nel corso del giudizio.
La Corte di Appello avrebbe potuto, certo, provvedere alla revoca d’ufficio; tuttavia, il mancato esercizio di tale potere – meramente facoltativo e surrogatorio di quello del giudice dell’esecuzione, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità – non determinando la formazione del giudicato, non impediva di provvedere alla revoca in sede esecutiva. A tal proposito, la Corte d’appello di Catanzaro ha osservato che, ai fini della formazione del giudicato (ostativo alla revoca in sede esecutiva), rilevava unicamente quanto dedotto e valutato, seppure implicitamente, in fase di cognizione, non già quel che, astrattamente, sarebbe stato deducibile.
3. Avverso l’ordinanza, ha proposto ricorso per cassazione il V.P. , per il tramite del proprio difensore, AVV_NOTAIO, affidando le proprie censure ad un unico motivo, col quale si duole di violazione di legge in relazione agli artt. 111, secondo comma, 27, terzo comma, Cost., nonché degli artt. 608, 609, comma 2, e 648 cod. proc. pen., in relazione all’art. 168 cod. pen. La difesa premette che, fin dal primo grado, il giudice avrebbe pòtuto acquisire un certificato del casellario giudiziario, dal quale evincere l’esistenza di due pene pregresse condizionalmente sospese; da parte sua, il pubblico ministero avrebbe potuto impugnare la statuizione concessoria del beneficio dopo la sentenza di primo grado.
In ogni caso, nel fascicolo del giudizio d’appello era stato acquisito il certificato del casellario giudiziario; tuttavia, la Corte territoriale non ha disposto la revoca del beneficio in parola, né il procuratore AVV_NOTAIO l’ha richiesta o ha impugnato con ricorso per cassazione l’erronea statuizione. Peraltro, avendo il giudice d’appello riformato la sentenza di condanna in punto di trattamento sanzionatorio, il procuratore AVV_NOTAIO sarebbe stato pienamente legittimato a proporre ricorso in cassazione per l’erronea rideterminazione della pena mediante applicazione della sospensione condizionale della stessa.
A supporto del motivo di ricorso, la difesa invoca il principio posto dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui «il giudice dell’esecuzione può revocare il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso in violazione dell’art. 164, comma quarto, cod. pen., in presenza di cause ostative, a meno che tali cause non fossero documentalmente note al giudice della cognizione. A tal fine il giudice dell’esecuzione acquisisce, per la doverosa verifica al riguardo, il fascicolo del giudizio» (Sez. U, n. 37345 del 23/04/2015, Longo, Rv. 264381 – 01).
Sul tema, la difesa segnala l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale tra le sezioni di questa Corte, posto che, in talune occasioni, si è ritenuto legittimo il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione revochi la sospensione condizionale della pena concessa in violazione dell’art. 164, comma quarto, cod. pen., in presenza di cause ostative documentalmente ignote al giudice di primo grado che ha concesso il beneficio, ma note al giudice di appello che, non investito della impugnazione del pubblico ministero o, comunque, di formale sollecitazione di quest’ultimo organo, non abbia esercitato il potere di revoca di ufficio del beneficio di cui è titolare (Sez. 1, n. 30710 del 10/05/2019, COGNOME, Rv. 276408 01).
Secondo tale orientamento, la preclusione che impedisce al giudice dell’esecuzione di rilevare la causa ostativa non opera, qualora la revoca non abbia costituito oggetto di valutazione, neppure implicita, da parte del giudice della cognizione. Inoltre, il potere di revoca del giudice d’appello ha natura facoltativa e surrogatoria rispetto a quello del giudice dell’esecuzione e la relativa statuizione è svincolata dall’effetto devolutivo tipico del giudizio d’appello. Sicché, l’omissione della revoca da parte del giudice d’appello troverebbe rimedio grazie alla competenza autonoma del giudice dell’esecuzione.
In altre occasioni, la Suprema Corte, in linea con l’interpretazione delle Sezioni unite del 2015, prima citata, ha invece ritenuto illegittima «la revoca “in executivis” della sospensione condizionale della pena riconosciuta in violazione dell’art. 164, quarto comma, cod. pen., in presenza di una causa ostativa nota al giudice d’appello, anche se non sia stato investito dell’impugnazione o da formale sollecitazione del pubblico ministero in ordine all’illegittimità del beneficio, non essendo precluso al giudice dell’impugnazione il potere di revoca, esercitabile anche d’ufficio» (Sez. 5, n. 23133 del 09/07/2020, COGNOME, Rv. 279906 – 01).
A fondamento della maggiore aderenza di tale secondo orientamento alla logica del sistema processuale, si è sottolineato che la previsione di uno specifico mezzo di impugnazione (col rigoroso regime della perentorietà dei termini e delle forme relative) consente – in virtù del postulato della intrinseca c:oerenza e logicità dell’ordinamento – di stabilire con nettezza la linea di confine dei nova nel senso che, laddove si configuri l’acquiescenza, resta simmetricamente esclusa la possibilità di far valere, per vincere la preclusione, quanto doveva essere dedotto con l’impugnazione, la cui mancata proposizione ha comportato l’effetto della preclusione stessa (Sez. 1, n. 7877 del 21/01/2015, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 262596 – 01).
Secondo la difesa, tale interpretazione sarebbe più in armonia col principio costituzionale della ragionevole durata del processo, oltre che col canone di prevedibilità delle decisioni adottato dalla Corte di Strasburgo e col principio
costituzionale della finalità rieducativa della pena, non rispondendo certo a una siffatta finalità l’esecuzione di una pena a distanza di anni dalla commissione del reato.
3.1 Rilevato il contrasto giurisprudenziale nei termini sopra esposti, il ricorrente chiede che l’impugnata ordinanza venga annullata senza rinvio.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, dl. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, a), le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, la quale ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato.
1.1. Come ricordato dalla Corte d’appello nell’impugnata ordinanza, a seguito della sentenza di annullamento della I Sezione della Cassazione, veniva acquisito il fascicolo della fase di cognizione del giudizio, conclusosi con la sentenza del 28 novembre 2019 della medesima Corte territoriale. Dal fascicolo emergeva la presenza di un certificato penale, dal quale risultavano, in totale, quattro condanne, per due delle quali era stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena.
In tal modo, la Corte territoriale adempiva all’obbligo di verifica della conoscibilità della causa di revoca da parte del giudice della cognizione, così ottemperando a quell’attività di necessaria acquisizione documentale su cui si sono espresse le Sezioni unite di questa Corte (Sez. U, n. 37345 del 23/04/2015, Longo, Rv. 264381 – 01: «il giudice dell’esecuzione può revocare il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso in violazione dell’art. 164, comma quarto, cod. pen., in presenza di cause ostative, a meno che tali cause non fossero documentalmente note al giudice della cognizione. A tal fine il giudice dell’esecuzione acquisisce, per la doverosa verifica al riguardo, il fascicolo del giudizio»).
Da tale doveroso adempimento, la Corte territoriale non ha, tuttavia, tratto le corrette conseguenze.
E infatti, come ricordato da questa Corte (Sez. 5, n. 23133 del 09/07/2020, COGNOME, Rv. 279906 – 01, in motivazione), le Sezioni Unite Longo non si sono limitate ad affermare «il principio (successivamente ribadito da Sez. 1, n. 19457 del 16/01/2018, COGNOME, Rv. 272832) per il quale al giudice dell’esecuzione non è consentita la revoca della sospensione condizionale della pena nel caso in
cui le cause ostative al beneficio fossero docunnentalmente note al giudice della cognizione. Nella pronuncia in esame, si precisava altresì che tale condizione negativa è integrata anche laddove il dato sia stato oggetto di una valutazione implicita in sede di cognizione; situazione, questa, ritenuta ravvisabile dalla Suprema Corte ove la causa ostativa sia documentata agli atti e risulti, pertanto, oggettivamente compresa nel perimetro di quel giudizio. Nel caso di specie, la descritta condizione preclusiva si realizzava indiscutibilmente, nei termini indicati, ove agli atti -quanto meno del giudizio di appello- era presente, come ammesso nello stesso provvedimento impugnato, il certificato penale attestante la sussistenza di precedenti ostativi alla concessione del beneficio».
Il ricorso in esame si attaglia precisamente a quello esaminato da questa Sezione nella sentenza appena citata, posto che, nel caso di specie, la c:ausa ostativa era documentata agli atti, risultando essa, pertanto, oggettivamente ricompresa nel perimetro del giudizio d’appello. Il fatto che il giudice della cognizione -come evidenziato nella sentenza rescindente- non avesse indagato sulla causa di revoca, mettendo da canto l’indagine relativa ad essa, non elimina il dato della oggettiva conoscibilità della causa ostativa alla concessione beneficio, che è proprio il profilo enfatizzato da Sez. U Longo.
Tale considerazione rende irrilevante, a parere di questo Collegio, il tema della mancanza di impugnazione, o sollecitazione, da parte del pubblico ministero, tema valorizzato, invece, dalla Corte territoriale e ritenuto decisivo nel senso dell’insussistenza della preclusione, anche sulla base di pronunc:e di legittimità in tal senso (vengono citate dalla Corte d’appello: Sez. 1, n. 39190 del 09/07/2021, COGNOME, Rv. 282076 -01; Sez. 1, n. 24103 del 08/04/2021, COGNOME, Rv. 281432 – 01; ma, già in precedenza, Sez. 1, n. 3709 del 10/05/2019, Coc:cia, Rv. 276504).
1.2. Il Collegio è ben consapevole che, secondo un orientamento ampiamente seguito nella giurisprudenza di legittimità, è consentita la revoca “in executivis” della sospensione condizionale della pena riconosciuta in violazione dell’art. 164, comma quarto, cod. pen. in presenza di una causa ostativa ignota al giudice di primo grado e nota a quello d’appello, che non sia stato investito dell’impugnazione del pubblico ministero né, comunque, di formale sollecitazione di questi in ordine all’illegittimità del beneficio, atteso che il potere di revoca che, in tal caso, il giudice d’appello può esercitare anche d’ufficio, ha natura meramente facoltativa e surrogatoria rispetto a quello del giudice dell’esecuzione (v., ex plurimis, Sez. 1, n. 39190 del 09/07/2021, COGNOME, Rv. 282076 – 01; Sez. 1, n. 24103 del 08/04/2021, COGNOME, Rv. 281432 – 01; Sez. 1, n. 3071C del 10/05/2019, COGNOME, Rv. 276408 – 0; Sez. 1, n. 30709 del 10/05/2019, COGNOME, Rv. 276504 0). Siffatto indirizzo è stato di recente ribadito da Sez. 1, n. 26061 del 23/03/2023, NOME, n.m.
Tale orientamento muove dalla premessa che il potere del giudice di appello di revocare la sospensione condizionale della pena applicata dalla sentenza impugnata in difetto dei presupposti di legge rappresenta una statuizione a carattere facoltativo e surrogatorio rispetto a quello del giudice dell’esecuzione, la cui competenza a disporre la revoca, in alternativa e in autonomia rispetto al giudice della cognizione anche di appello, è prevista dall’art. 674, comma 1 – bis, cod. proc. pen. Si tratterebbe, dunque, di una statuizione eventuale e del tutto svincolata dall’effetto devolutivo tipico del giudizio di appello e la cui omissione non è censurabile con uno specifico mezzo di impugnazione, ma rimediabile per effetto della competenza autonoma del giudice dell’esecuzione.
L’indirizzo richiama i principi espressi dalle Sez. LI, n. 37345 del 23/04/2015, Longo, Rv. 264381-01, che hanno sottolineato come, con la legge di riforma 26 marzo 2001, n. 128, mediante l’introduzione del comma 1 -bis dell’art. 674 cod. proc. pen., siano state incrementate le attribuzioni del giudice dell’esecuzione, abilitandolo a rimuovere la statuizione illegale, contenuta nella sentenza irrevocabile, di applicazione della sospensione condizionale della pena in violazione dei limiti fissati dalla legge, perseguendo una “chiara finalità riparatoria”. Le Sez. U Longo, secondo la prospettiva interpretativa proposta dalle pronunzie sopra richiamate, sono così pervenute ad individuare i limiti dell’intervento del giudice dell’esecuzione, nel senso che debba essere esclusa la possibilità di revoca del beneficio nel caso in cui al giudice della cognizione fossero noti i precedenti penali che ostavano alla concessione, mentre non è possibile giungere ad una soluzione del genere nel caso in cui gli stess fossero soltanto conoscibili attraverso un certificato del casellario giudiziale aggiornato, che li avesse riportati. Le richiamate pronunzie valorizzano, in particolare, l’affermazione delle Sez. U Longo per cui, per autorizzare la revoca in sede esecutiva, l’elemento di novità deve essere stato oggetto di mancata considerazione espressa o di valutazione implicita da parte del giudice della cognizione.
Sotto altro profilo, è stato osservato che la soluzione della quale si tratta si impone per i limiti propri dei poteri di cognizione conferiti al giudice di appello e per le caratteristiche dell’intervento giudiziale di revoca di ufficio, previsto dal combinato disposto degli artt. 168, comma terzo, in relazione all’art. 164, comma quarto, cod. pen. e 674, comma 1 -bis, cod. proc. pen. Alla stregua di siffatte indicazioni normative non può dirsi che, in assenza di impugnazione del pubblico ministero, l’omessa valutazione della causa ostativa al riconoscimento del beneficio, pur esistente e risultante dagli atti, costituisca una forma di acquiescenza idonea a precludere la possibilità di revoca in sede esecutiva. (Sez. 1, n. 12817 del 31/01/2017, Oliveri Rv. 269516-01). In definitiva, il potere del giudice dell’impugnazione costituisce oggetto di un’attribuzione facoltativa ed
esercitabile in via concorrente ed autonoma rispetto a quella analoga conferita in via AVV_NOTAIO al giudice dell’esecuzione dall’art. 674, comma 1-bis, cod. proc. pen.
1.3. Il Collegio non condivide la lettura data ai principi enunciati da Sez. U Longo dall’orientamento interpretativo sopra richiamato, ragion per cui non si ritiene di rimettere il ricorso alle Sezioni Unite. Invero, tale lettura, ne sopravvalutare i poteri del giudice dell’esecuzione, da un lato, finisce per rendere le attribuzioni del giudice della cognizione meramente facoltative – il che contrasta con il principio AVV_NOTAIO della natura doverosa dell’esercizio del potere giurisdizionale in presenza dei presupposti previsti dal legislatore (e ciò soprattutto nel caso di specie, in cui, va ribadito, si pone il problema del mancato rispetto da parte del giudice delle norme che impediscono ex lege la concessione del beneficio) – dall’altro, non affronta in termini rigorosi il nodo del significato dell’espressione «valutazione implicita» che le Sezioni Unite Longo utilizzano per definire l’individuazione dei «nova», in presenza dei quali soltanto si giustifica l’intervento del Giudice dell’esecuzione.
Come già anticipato, Sez. U Longo hanno chiarito che la condizione negativa – per la quale al giudice dell’esecuzione non è consentita la revoca della sospensione condizionale della pena nel caso in cui le cause ostative al beneficio fossero documentalmente note al giudice della cognizione – è integrata anche laddove il dato sia stato oggetto di una valutazione implicita in sede di cognizione.
L’aspetto della mancata impugnazione dell’illegittima concessione del beneficio da parte del pubblico ministero, o del mancato esercizio del potere di revoca d’ufficio da parte della Corte d’appello, su cui insiste la Corte territoriale nell’impugnato provvedimento, è argomento che non tiene in conto la rilevanza dell’acquiescenza -mostrata dall’ordinamento attraverso l’inerzia tanto del giudice dell’appello quanto del pubblico ministero- alla concessione del beneficio, rafforzativa dell’effetto preclusivo per il giudice dell’esecuzione.
A tal proposito, coglie nel segno la difesa nel ricordare quanto statuito da Sez. U Longo, secondo cui «la previsione di uno specifico mezzo di impugnazione (col rigoroso regime della perentorietà dei termini e delle forme relative) consente – in virtù del postulato della intrinseca coerenza e logicità dell’ordinamento – di stabilire con nettezza la linea di confine dei nova nel senso che, laddove si configura la acquiescenza, resta simmetricamente esclusa la possibilità di far valere, per vincere la preclusione, quanto doveva essere dedotto con l’impugnazione, la cui mancata proposizione ha comportato l’effetto della preclusione stessa (Sez. 1, n. 7877 del 21/01/2015, COGNOME)».
Nel caso in esame, per quanto già esposto, il dato desumibile dal certificato penale (esistente ex actis) e del quale ill giudice della cognizione abbia
indebitamente omessa la doverosa valutazione, non è suscettibile di essere ricondotto nell’ambito dei nova (cfr. Sez. U, Longo, cit., in motivazione, par. 6).
La centralità del profilo relativo all’individuazione dei nova è m ssa in risalto dalle riflessioni -sul giudicato, sulla preclusione processuale e sul correlato divieto di ne bis in idemcon cui le Sez. U Longo introducono il tema. E infatti, dopo aver premesso che la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, non partecipando della natura del giudicato sostanziale, è assistita da una preclusione cd. debole rispetto alla deduzione di cause ostative preesistenti (conoscibili, ma in concreto ignote al giudice della cognizione), Sez. U Longo hanno chiarito che detta preclusione può essere superata da nova, vale a dire elementi emersi successivamente (rispetto all’adozione del provvedimento definitivo) ovvero storicamente preesistenti, ma non presi in considerazione dal giudice del merito. Affinché il novum possa considerarsi tale, occorre che esso non abbia costituito oggetto neppure di valutazione implicita (punto 6.5 del Considerato in diritto). Ove ricorra – come nel caso di specie – tale requisito negativo (vale a dire, il silenzio del giudice), il novum non potrà, dunque, considerarsi tale, perché già inserito nel perimetro cognitivo del giudice; ne deriva che la preclusione “debole” della decisione del giudice di cognizione dispiegherà i propri effetti, impedendo al giudice dell’esecuzione di sostituirsi a quello della cognizione nella dichiarazione di revoca del beneficio.
In altri termini, il silenzio argomentativo serbato dal giudice della cognizione (silenzio che, per vero, a rigore non si traduce in un silenzio decisorio, posto che, in assenza di riforma, la decisione di secondo grado «conferma» quella di primo grado) non può essere connotato, in linea AVV_NOTAIO, come valutazione implicita in senso logico (almeno non nei termini nei quali la giurisprudenza di questa Corte valorizza il carattere implicito del rigetto di un motivo di impugnazione: v., ad es., Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593 – 0), ma come un fatto processuale che, correlato all’esistenza in atti del certificato del casellario attestante l’esistenza di precedenti ostativi alla concessione della sospensione condizionale, assume rilievo in quanto impedisce che siffatti precedenti possano essere considerati, ai fini della revoca esecutiva, come nova.
Se ne trae inequivoca conferma dal principio di diritto di Sez. U Longo, nel quale si chiarisce che «il giudice della esecuzione deve revocare la sospensione condizionale della esecuzione della pena concessa in violazione dell’art. 164, quarto comma, cod. pen. in presenza di cause ostative, salvo che tali cause risultassero documentalmente al giudice della cognizione. A tal fine il giudice della esecuzione acquisisce, per la doverosa verifica al riguardo, il fascicolo del giudizio».
Nel principio di diritto scompare qualunque riferimento alla valutazione implicita del giudice della cognizione, poiché essa, a ben vedere, è null’altro che una modalità rappresentativa di un fatto processuale negativo (l’assenza di qualunque esplicita decisione), che assume rilievo preclusivo del potere di revoca del giudice dell’esecuzione nei casi in cui il giudice della cognizione avesse a disposizione gli elementi per avvedersi dell’esistenza dei presupposti ostativi.
Diversamente ragionando (evitando, cioè, di attribuire al silenzio del giudice della cognizione, il quale abbia a disposizione gli elementi rivelatori di presupposti ostativi, un rilevo preclusivo del potere di revoca in capo a quello dell’esecuzione), si finirebbe col trasformare il potere di revoca del giudice dell’esecuzione in un mezzo ulteriore di impugnazione, non previsto dal legislatore.
Siffatta delimitazione dei poteri d’intervento del giudice dell’esecuzione non è in contrasto né con la legge processuale né -come si è detto- con quanto affermato dalle citate Sez. U Longo. Benché, infatti, con la legge di riforma 26 marzo 2001, n. 128, mediante l’introduzione del comma 1-bis dell’art. 674 cod. proc. pen., siano state incrementate le attribuzioni del giudice dell’esecuzione, abilitandolo a rimuovere la statuizione illegale, contenuta nella sentenza irrevocabile, di applicazione della sospensione condizionale della pena in violazione dei limiti fissati dalla legge, così perseguendo una “chiara finalità riparatoria”, le citate Sez. U hanno anche posto in luce che detta finalità rimediale deve, tuttavia, essere sempre considerata nell’ambito del fondamentale principio della preclusione processuale e del correlato divieto di bis in idem, che permeano e informano il procedimento in ogni grado, stato e fase, compresa quella dell’esecuzione, anche ai sensi dell’art. 674, comma 1-bis, cod. proc. pen., con il conseguente divieto della rinnovazione dello scrutinio delle questioni esaminate e decise nella fase del giudizio.
Quanto fin qui ricordato deve essere poi integrato da un riferimento al complesso tema del bilanciamento sotteso alle scelte processuali del legislatore interno nel tracciare i confini del giudicato, dal momento che l’incidenza della questione su aspetti sostanziali dell’esercizio del potere punitivo rende più delicata la valutazione sul margine di apprezzamento riconosciuto al legislatore nazionale dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Quest’ultima, nel solco di affermazioni ricorrenti anche al di fuori della materia penale, ma certo anche con riguardo a quest’ultima (v., Corte EDU, 10 marzo 2022, Stàvirà c. Romania, par. 97), ha spesso ribadito che, ove si ipotizzi la riapertura di una procedura a causa di errori commessi dall’ufficio del pubblico ministero, tali errori possono essere valorizzati solo a favore del destinatario della pretesa punitiva, non già in malam partem. In altre parole «il rischio degli errori
commessi dal pubblico ministero o dai giudici deve essere posto a carico dello Stato e non risolto in danno della persona interessata».
Pur tenendo conto del carattere eminentemente casistico della giurisprudenza di Strasburgo, i valori di tutela dell’affidamento dei consociati nei confronti dell’esercizio dei poteri pubblici, soprattutto quando sia in gioco l’interesse alla libertà dell’individuo, impongono particolare cautela nel tracciare i confini entro i quali il giudicato può essere rimesso in discussione.
L’intangibilità del giudicato -come delimitata nei termini su esposti, in coerenza con Sez. U Longo- è del resto principio sovente ribadito dal Giudice delle leggi, pur al di là di una disposizione costituzionale specificamente individuata (agevolmente individuabile, in ogni caso: basti il riferimento all’art. 111 Cost.). In particolare, si è sottolineato il «principio di civiltà giuridica, oltre che generalissima applicazione» (ordinanza n. 150 del 1995) espresso dal divieto di bis in idem, grazie al quale giunge un tempo in cui, formatosi il giudicato, l’individuo è sottratto alla spirale di reiterate iniziative penali per il medesimo fatto. In caso contrario, il contatto con l’apparato repressivo dello Stato, potenzialmente continuo, proietterebbe l’ombra della precarietà nel godimento delle libertà connesse allo sviluppo della personalità individuale, che si pone’ invece, al centro dell’ordinamento costituzionale (a riprova di una costante sensibilità sul tema, v., fra le altre, Corte cost., sent. n. 219 del 2008; n. 200 del 2016).
D’altra parte, l’esigenza di un bilanciamento rigoroso scaturisce anche dalla considerazione che l’istituto in parola incide sulla posizione sostanziale del condannato, al punto che la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto inapplicabile retroattivamente la disciplina introdotta dalla I. 26 marzo 2001, n. 128 (Sez. 1, n. 47706 del 08/10/2004, COGNOME, Rv. 230231; Sez. 1, n. 29421 del 24/06/2003, COGNOME, Rv. 225952; Sez. 2, n. 10607 del 25/02/2003, COGNOME, Rv. 224500; Sez. 4, n. 4345 del 12/11/2002, dep. 2003, Zabeo, Rv. 223548).
Non solo. Il Giudice costituzionale (Corte cost., ord. n. 363 del 2007), sia pure nel dichiarare la inammissibilità di una questione di legittimità costituzionale degli artt. 168, terzo comma, cod. pen., e 674, comma 1-bis, cod. proc. pen., come modificati dall’art. 1 della legge 26 marzo 2001, n. 128, ha prospettato, come astrattamente idonea a superare i dubbi di legittimità del giudice a quo, un’interpretazione della disciplina secondo la quale «la possibilità di revoca in executívis della sospensione condizionale debba intendersi limitata, ad onta della indifferenziata lettera della norma, alla sola ipotesi in cui l’elemento ostativo non fosse conoscibile nella fase di cognizione: mentre, in caso cortrario – quando, cioè, il giudice della cognizione, pur potendo accorgersi dei precedenti ostativi, abbia egualmente concesso il beneficio a causa di una erronea valutazione – anche
la nuova ipotesi di revoca dovrebbe conseguire alla proposizione degli ordinari mezzi di impugnazione»; e ha aggiunto, a sostegno di tale soluzione, «l’argomento di ordine sistematico, per cui solo nella prospettiva dianzi indicata la norma non porrebbe problemi di violazione del giudicato – trasformando lo strumento censurato in un nuovo mezzo straordinario di impugnazione contra reum, svincolato da limiti temporali – poiché non si tratterebbe di rivedere una decisione erronea presa in sede di cognizione, ma soltanto di eliminare una violazione di legge commessa in presenza di una situazione oggettiva, non percepita né percepibile dal giudice della cognizione, ma divenuta conoscibile solo ex post».
Tale premessa, senza richiedere in questa sede approfondimenti ulteriori, impone, pertanto, un’interpretazione costituzionalmente conforme dell’art. 674, comma 1 -bis, cod. proc. pen., quale recepita da Sez. U Longo, che intenda il “silenzio del giudice” sulla questione del beneficio illegittimamente concesso nel senso anzidetto. Diversamente, si avallerebbe una decisione in malam partem contraria ai principi del giusto processo e della parità delle armi in giudizio (art. 111, primo e secondo comma, Cost.), della funzione rieducativa della pena (art. 27, comma terzo, Cost., non rispondendo a detta finalità l’esecuzione di una pena a distanza di anni dalla commissione del reato, come osservato dal ricorrente), oltre che della certezza dei rapporti giuridici (Cedu) e dei principi di non contraddizione, unità e coerenza dell’ordinamento processuale, rispetto ai quali la vocazione rimediale invocata dall’orientamento, sopra ricordato, della I Sezione di questa Corte, deve recedere.
1.4 L’interpretazione sin qui proposta della portata di Sez. U Longo va argomentata anche in relazione ad un ulteriore profilo.
La ricostruzione delle Sezioni Unite mira a individuare una linea di confine tra i poteri attribuiti dall’art. 674, comma 1 -bis, cod. proc. pen. al giudice dell’esecuzione, rispetto ai quali si sottolinea l’esigenza di evitare una interpretati° abrogans (punto 5 del Considerato in diritto), e il formarsi del giudicato, a seguito dell’esaurimento del processo di cognizione. Per questa ragione, l’intera trama argomentativa della sentenza rivela la riflessione sulle preclusioni, configurate solo per effetto di tale esaurimento, e sugli spazi che, una volta formatosi il giudicato formale, il giudice dell’esecuzione conserva, ma limitatamente all’esistenza dei nova, come sopra definiti.
Ne discende che, quando la medesima sentenza delle Sezioni Unite fa riferimento ai precedenti ostativi «non noti al giudice che concesse la sospensione», non intende riferirsi al giudice di primo grado che abbia in origine accordato il beneficio, anche quando sia intervenuta una pronuncia del giudice dell’impugnazione.
Sebbene, nel caso deciso da Sez. U Longo, non risulti l’intervento di una sentenza resa a seguito di appello, proprio la riflessione sui poteri del giudice
dell’impugnazione nel processo di cognizione rivela che le Sezioni Unite intendono cristallizzare la valutazione con riferimento al momento nel quale viene emessa la decisione di merito, che diverrà irrevocabile al verificarsi dei presupposti di cui all’art. 648 cod. proc. pen.
Del resto, nonostante il silenzio che il giudice di secondo grado può serbare in motivazione, la conferma della decisione di primo grado vale a rendere la pronuncia di appello il titolo della condanna e il provvedimento che concede il beneficio del quale si tratta. Né tali conclusioni sono messe in discussione dai criteri di individuazione della competenza esecutiva, ai sensi dell’art. 665 cod. proc. pen.
In conclusione, dai superiori principi discende che, nel caso di specie, il giudice del merito aveva a disposizione una base conoscitiva idonea a ravvisare i presupposti ostativi alla concessione della sospensione condizionale, con la conseguenza che, a seguito della irrevocabilità della sentenza, resta precluso il potere di intervento del giudice dell’esecuzione.
Ne segue l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs.196/03 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 20/12/2023
Il Consigliere estensore
ír / Prsi. -nte