Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 30471 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 30471 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a PALMANOVA il 02/12/1966 COGNOME NOME nato a BARI il 27/07/1969
avverso la sentenza del 12/12/2024 della Corte d’appello di Trieste Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dr. NOME COGNOME che ha depositato conclusioni scritte, con cui ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi.
La difesa del ricorrente COGNOME in data 29 maggio 2025 ha depositato motivi nuovi, che hanno ‘aggiunto’ un ulteriore motivo di doglianza a quelli già formalizzati, costituito dalla censura di violazione di legge e della motivazione con riferimento all’operata sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria -con la esclusione della sospensione condizionale – a cui la parte ha dichiarato di voler rinunziare, con tale motivo nuovo, allo scopo di beneficiare della sospensione condizionale della pena e della sua estensione alle pene accessorie fallimentari. In data 11 giugno 2025, la difesa medesima ha trasmesso memoria di replica alle conclusioni del Procuratore generale.
Ritenuto in fatto
E’ stata impugnata la sentenza della Corte d’appello di Trieste che -previa rideterminazione del trattamento sanzionatorio con l’applicazione della pena pecuniaria sostitutiva in luogo della pena detentiva di mesi 6 di reclusione – h a confermato l’affermazione di reità , stabilita in primo grado, di COGNOME NOME e COGNOME NOME in ordine al delitto di cui agli artt. 110 cod. pen. , 217 comma 2 e 224 comma 1 r.d. n. 267 del 1942, pene accessorie fallimentari incluse, commesso rispettivamente in qualità di amministratore unico fino al 19 settembre 2016 (data di iscrizione alla Camera di commercio 13 ottobre 2016) e di liquidatore da tale data al fallimento, per conto della RAGIONE_SOCIALE di Tavagnacco (UD), dichiarata fallita il 8 marzo 2018.
2.I distinti atti di impugnazione, a firma di difensori abilitati, constano -quanto a COGNOME -di 5 motivi, e quanto a COGNOME -di tre motivi, di seguito sintetizzati a norma dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Il primo motivo del COGNOME si è profuso sulla nullità della sentenza impugnata e di quella di primo grado, ai sensi dell’art. 606 lett. c) cod. proc. pen., per la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen.; il ricorrente sarebbe stato condannato per un fatto diverso da quello contestato, ovvero per omessa tenuta di registro inventari, libro cespiti e mastrini contabili in luogo della formale contestazione di irregolare od incompleta tenuta della contabilità in quanto non aggiornata dal 2015 al fallimento.
2.2. Il secondo motivo ha denunciato vizi di inosservanza della legge penale e della motivazione con riferimento all’affermazione di responsabilità. La documentazione contabile sarebbe stata recapitata a Bari, in deposito alla RAGIONE_SOCIALE, completa di ogni scritturazione, all’inizio del 2016, come confermato dal teste della difesa COGNOME COGNOME è stato ritenuto colpevole benchè sia cessato dalla carica di amministratore dal 13 ottobre 2016; il mancato reperimento di parte dei libri da parte del curatore non sarebbe allora ascrivibile a COGNOME e, in ogni caso, il curatore sarebbe riuscito a ricostruire patrimonio e volume degli affari; i bilanci 2014 e 2015 sono stati approvati e depositati il 16 settembre 2016, sulla scorta, evidentemente, di tutta la contabilità. Infine, la documentazione contabile sarebbe stata trasferita a Bari insieme a quella di altre società collegate, tra cui la RAGIONE_SOCIALE, controllante della fallita, sulle cui vicende si è pronunciato il Tribunale di Roma con sentenza assolutoria, sancendo il dato della completezza delle scritture, da estendersi per logica anche alla documentazione della GLOCAL, che ha avuto lo stesso destino.
2.3. Il terzo motivo ha dedotto analoghi vizi con riguardo alla mancata applicazione della causa di non punibili tà di cui all’art. 131 bis cod. pen., in quanto la stessa sentenza di primo grado avrebbe affermato, in sede di definizione del trattamento sanzionatorio, la ‘contenuta portata offensiva’ della condotta degli imputati e la sua episodicità, in uno all’incensuratezza del ricorrente.
2.4.Il quarto motivo si è appuntato sui vizi di inosservanza della legge penale e della motivazione con riferimento alla mancata concessione dell’attenuante di cui al comma 3 dell’art. 219 L.F., poiché alcun danno sarebbe stato provocato ai creditori dalla condotta ritenuta in sentenza. COGNOME è stato assolto dall’imputazione di bancarotta patrimoniale e il curatore sarebbe riuscito nell’opera di ricost r uzione dei fatti dell’impresa.
2.5. Il quinto motivo ha sollevato questione di intervenuta prescrizione sulla base dei medesimi richiami processuali, perché l’eventuale contributo di COGNOME si sarebbe arrestato al 16 settembre 2016 con la messa in liquidazione e la nomina del COGNOME.
3.Il primo ed il secondo motivo dell’impugnazione di COGNOME sono sovrapponibili al terzo e al quarto motivo del coimputato, perché -fondati su identici vizi – attengono, per ragioni sostanzialmente analoghe, al mancato riconoscimento della causa di non punibilità dell’art. 131 bis cod. pen. e dell’attenuante dell’art. 219 comma 3 L.F.
3.1.Il terzo motivo ha lamentato violazione del divieto di reformatio in peius , perché la Corte territoriale avrebbe sostituito la pena detentiva in pecuniaria ed avrebbe escluso la sospensione condizionale della pena, benchè la difesa avesse subordinato la richiesta di sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria e, per l’effetto, di esclusione della sospensione condizionale – non in toto ma al solo caso di riduzione di pena conseguente alla concessione dell’attenuante del danno di particolare tenuità.
Considerato in diritto
Il ricorso del COGNOME, per il resto inammissibile, è fondato in attinenza alla statuizione di revoca della sospensione condizionale della pena, mentre il ricorso di COGNOME deve essere dichiarato in toto inammissibile.
1.Il primo motivo del ricorso COGNOME è manifestamente infondato, per più ordini di ragioni.
1.1. Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità in tema di violazione del principio di correlazione della sentenza all’accusa contestata, sancito dall’art. 521 cod. proc. pen., detta violazione deve essere esclusa quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, in quanto l’immutazione si verifica solo nel caso in cui tra i due episodi ricorra un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, posto, così, a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza avere avuto nessuna possibilità d’effettiva difesa (cfr., ex multis, Sez. 6, n. 35120 del 13/06/2003, Conversano, Rv. 226654; Sez. 6, n. 17799 del 06/02/2014, M., Rv. 260156). Si è
pertanto ritenuta ravvisabile la violazione del principio di correlazione tra contestazione e sentenza nel caso in cui il fatto ritenuto nella decisione si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità, ovvero quando il capo d’imputazione non contenga l’indicazione degli elementi costitutivi del reato ritenuto in sentenza, né consenta di ricavarli in via induttiva, tenendo conto di tutte le risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, ovvero ancora, quando ricorra tra i due episodi un rapporto di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, messo così, a sorpresa, di fronte a un fatto del tutto nuovo senza avere avuto nessuna possibilità d’effettiva difesa. Si è, inoltre, precisato che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio in esame «non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vedendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione» (Sez. 3, n. 24932 del 10/02/2023, COGNOME, Rv. 284846; Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205619).
1.2. Orbene, già in sé la descrizione letterale della condotta contestata consente l’agevole comprensibilità del rimprovero attribuito, perché il ‘mancato aggiornamento della contabilità’ coincide con una delle forme di ‘omessa tenuta’ della contabilità nell’accezione più volte illustrata dai precedenti di questa Corte ( ex multis, sez.5, n. 20061 del 06/11/2014, Senatore, Rv. 264071; recentemente, in termini, sia pure ai fini della distinzione tra bancarotta documentale fraudolenta c.d. specifica e bancarotta documentale fraudolenta c.d. generale sez.5, n. 42546 del 07/11/2024, COGNOME, Rv.287175 e in motivazione), come del resto congruamente colto sin dalla decisione del primo giudice, che ha precisato che ‘ la mancata messa a disposizione alla curatrice delle predette scritture costituisce prova certa della relativa mancata tenuta, atteso che nel corso dell’istruttoria non è emerso alcun elemento che possa far pervenire ad una ricostruzione differente’ (pag.10); per altro verso, ineccepibile è l’osservazione del giudice d’appello, perché conforme ai canoni esegetici sopra richiamati, secondo la quale ‘ anche nel corso dell’istruttoria (di primo grado, n.d.r.) , a partire dalla deposizione della curatrice fallimentare, si è dibattuto a lungo di tali mancanze, su cui entrambe le difese si sono confrontate, anche con rimpalli di responsabilità, per cui non vi è stato alcun vulnus all’esercizio del diritto di difesa’ (pag.4) . La correttezza dell’affermazione promana limpidamente dall’esame della sentenza di primo grado, a riguardo della rassegna delle deposizioni del curatore fallimentare e del teste COGNOME compulsato nel dettaglio e nel contraddittorio tra le parti sul segmento della controversa, mancata consegna di parte delle scritture contabili, come riportato anche dall’atto di gravame della difesa, che ha riprodotto i passaggi testuali delle relative domande e risposte (pag. 18 appello). Del resto, in linea con le coordinate ermeneutiche così tracciate, la giurisprudenza di legittimità, qui condivisa, si è da tempo miratamente espressa nel senso che ‘n on si verifica mutamento dell’accusa quando il
fatto contestato e quello ritenuto sono in rapporto di progressione e complessità e non di eterogeneità o incompatibilità. Ne deriva che, in tema di reato fallimentare, non sussiste immutazione del fatto quando, contestata la irregolare o incompleta tenuta dei libri contabili, sia stata pronunziata condanna per omessa tenuta degli stessi’ (sez.5, n.3045 del 28/11/1986, COGNOME, Rv. 175324).
2.In vista della delibazione del secondo motivo di ricorso del COGNOME, occorre rammentare che la giurisprudenza di questa Corte, nell’ipotesi di doppia conforme, è radicata nel riconoscere il principio della reciproca integrazione motivazionale delle sentenze di primo e di secondo grado, ammettendosi cioè che la sentenza di appello si saldi con quella precedente, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, quando le due decisioni di merito concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni e, ancor più, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella sentenza di primo grado (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191229; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615; da ultimo v. Sez. 6, n. 8309 del 14/01/2021, COGNOME, non mass.). Inoltre, specie in presenza di una “doppia conforme”, come nel caso di specie, il giudice di appello, nella motivazione della sentenza, non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593 01; Sez. 5, n. 5123 del 16/01/2024).
2.1. Va ricordato, inoltre, che i motivi di impugnazione sono inammissibili quando risultano intrinsecamente indeterminati, risolvendosi sostanzialmente in formule di stile, come pure quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (nel primo caso, si parla di “genericità intrinseca”; nel caso di mancata correlazione con le ragioni della decisione impugnata, si tratta di “genericità estrinseca”: Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, in motivazione). In tale ottica, deve essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione che si risolva nella pedissequa reiterazione dei motivi già dedotti in appello e motivatamente disattesi dal giudice di merito: esso, infatti, non assolve la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di impugnazione in sede di legittimità (Sez. 5, n. 3337 del 22/11/2022, dep. 2023, COGNOME, n.m.; Sez. 5, n. 21469 del 08/03/2022, COGNOME, n.m.; Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv. 244181; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, COGNOME, Rv. 231708).
2.2. D’altronde, quando si censuri la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. e) cod. proc. pen. o si lamenti una violazione di legge penale, occorre
che tali vizi risultino dal testo del provvedimento impugnato, ovvero che il testo del provvedimento si presenti manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e comunque che il loro esame non comporti una rivisitazione nel merito delle argomentazioni illustrate dalle pronunce dei due gradi di giudizio, perché rimane esclusa, in sede di legittimità, la possibilità di opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica. Il sindacato di legittimità, al riguardo, deve essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (tra le tante,
; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996,
COGNOME, Rv. 205621). Corollario dei principi così richiamati, nella tematica della disamina delle prove dichiarative, è quello che rimane non sindacabile, in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (sez.5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623).
2.3. Ebbene, la doglianza è generica, perché puramente reiterativa dei motivi di gravame già compiutamente affrontati dalla Corte territoriale, versato in fatto e di contenuto semplicemente confutativo, tendente cioè a sollecitare una rilettura degli elementi di prova articolati nella motivazione del provvedimento impugnato.
La pronuncia d’appello, in uno con i vicendevoli enunciati della sentenza del giudice di prime cure, ha sottolineato, con proposizioni logiche ed appropriate (pag.5), che non risultano ostese alla curatela del fallimento le scritture contabili obbligatorie ex art. 2214, primo e secondo comma, cod. civ., ovvero il registro degli inventari, i mastrini contabili e il libro dei cespiti ammortizzabili, ‘vuoto’ contabile profilatosi dal 2009 che -al di là dell’assenza di prova appagante di condotte distrattive – non ha consentito una corretta ed esaustiva ricostruzione del patrimonio e dell’andamento degli affari; che tale omissione debba essere ascritta anche a COGNOME, amministratore unico della società dalla costituzione al 19 settembre 2016; che il ‘contratto di deposito’ del 14 gennaio 2016, che non è un verbale di consegna dell’impianto contabile, acquisito in sede di rinnovazione parziale del dibattimento ex art. 603 cod. proc. pen. -snodo cruciale, perché ripetutamente invocato dalla difesa come comprovante l ‘addotta consegna di tutte le scritture della fallita RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE di Bari -includesse in realtà documenti contabili ‘allocati in 47 cartoni/colli specificati in via generale e per titoli generici dalla nota di trasporto e consegna allegata, composta da 20 pagine’, nel cui contesto non è stata rinvenuta ‘alcuna traccia o menzione dei libri e delle scritture oggetto di contestazione nel presente processo’; rilievo oggettivo, in altre parole, che svaluta e relega ad apporto recessivo la deposizione del teste della difesa COGNOME le cui dichiarazioni sono state congruamente riferite non al corredo contabile della fallita, quanto piuttosto a ‘tutta la
contabilità descritta nei 20 fogli di cui all’elenco, riguardanti tutte le società facenti capo alla controllante RAGIONE_SOCIALE compilati non certo in modo ‘certosino’, ma in modo massivo e generico. E’ stato ancora puntualmente e coerentemente evidenziato che, del resto, anche il COGNOME, dopo la messa in liquidazione della società, non ha mai trasmesso al curatore del fallimento i libri contabili menzionati, poiché mai tenuti. Fuor di luogo, in proposito, invocare la sentenza di assoluzione del Tribunale di Roma, che ha riguardato la bancarotta della RAGIONE_SOCIALE e non della RAGIONE_SOCIALE, né la presentazione di un paio di bilanci di esercizio, sulle cui appostazioni nulla è dato sapere e che, d’altro canto, per medesima asserzione del ricorrente, sarebbero stati predisposti, al momento dello scioglimento dell’ente, per il 2014 e il 2015, annualità nel corso delle quali la società nemmeno avrebbe operato (es.pag.5 sentenza di primo grado), con la progressiva interruzione degli adempimenti annotativi.
3.Il terzo motivo del ricorso del COGNOME è aspecifico e manifestamente infondato.
3.1.I criteri indicati nel primo comma dell’art. 131-bis cod.pen. sono cumulativi quanto al giudizio finale circa la particolare tenuità dell’offesa ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità, e alternativi quanto al diniego (sez. 5, n. 16537 del 11/01/2023, dep. il 18/04/2023, Leveque, non massimata; cfr. in motivazione Sez. U Tushaj, n. 13681 del 25/02/2016, ), nel senso che l’applicazione della causa di non punibilità in questione è preclusa dalla valutazione negativa anche di uno solo di essi (ed invero, secondo il tenore letterale dell’art. 131-bis cod.pen. nella parte del primo comma, qui rilevante, la punibilità è esclusa quando per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa è di particolare tenuità (Sez. 3 n. 893 del 28/06/2017, Rv. 272249; Sez. 6 n. 55107 del 08/11/2018, Rv. 274647; Sez. 3 n. 34151 del 18/06/2018, Rv. 273678; Sez. 7, Ord.n. 10481 de/ 19/01/2022, Rv. 283044).
3.2.Detto ciò, il motivo di impugnazione, che si arresta a rilievi epidermici e fuori asse, non si misura con la ratio decidendi della sentenza della Corte territoriale, che ha stigmatizzato, con appunti circostanziati, la discreta gravità dell’omissione compilativa, la quale, protrattasi per un lungo periodo che ha inglobato per alcuni anni anche la fase della liquidazione, ha precluso una compiuta ed esauriente rielaborazione degli accadimenti aziendali; si è soffermata sul ruolo stabile e duraturo dell’amministratore e del liquidatore , che bandisce ogni pretesa occasionalità del rispettivo apporto; ha rimarcato la sintomaticità degli accertamenti svolti sull’ubicazione e sull’operatività della sede legale, che non ha restituito segnali dell’esistenza e della effettività dell’attività caratteristica dell’impresa. Né può farsi valido riferimento, a scopi difensivi, a quanto esposto dalla sentenza di primo grado, dal momento che il giudice di appello può motivare in maniera difforme dal giudice di primo grado quando ne condivide la decisione ma non le argomentazioni che la sorreggono (sez. 1, n. 5423 del 22/03/1982, COGNOME, Rv.154024; sez.4, n. 8619 del 24/04/1981, COGNOME, Rv. 150352).
4.Il quarto motivo del ricorso COGNOME è a sua volta generico e manifestamente infondato.
4.1.Il danno cagionato dai fatti di bancarotta semplice documentale può consistere nella impossibilità di ricostruire totalmente o parzialmente la situazione contabile dell’impresa fallita o di esercitare le azioni revocatorie o altre azioni a tutela dei creditori, ovvero dalla diminuzione che l’omessa tenuta dei libri contabili ha determinato nella quota di attivo da ripartirsi fra i creditori. Se il danno causato dall’omissione è di speciale tenuità o addirittura non sussiste, il giudice deve concedere l’attenuante in questione (v. per tutte Sez.5, n. 11725 del 10/12/2019, COGNOME, Rv. 279098; Sez. 5, n. 5707 del 16/04/1986, Izzo, Rv. 173156). Nella specie, di converso, la Corte territoriale con motivazione che sfugge al sindacato di legittimità perchè ispirata ai suddetti principi di diritto e d’altra parte fondata sull’esame delle concrete circostanze del fatto, ha escluso la sussistenza del danno patrimoniale di “speciale tenuità” concentrando il proprio apprezzamento non soltanto sull’attestata , pur rilevante, impossibilità di rieditare in modo intellegibile le vicende gestionali dell’impresa , ma anche, e di conseguenza, sull’inaccessibile quantifica zione delle disponibilità aziendali prima dell’apertura della procedura concorsuale, eventualmente rivendicabili o aggredibili dalla curatela.
4.2. Sotto altro profilo, il motivo di ricorso si rivela, prima ancora, ab origine inammissibile, perché segue al confezionamento di un motivo di gravame vago, lapidario e di puro esercizio formale (pag.22 appello : ‘ pena che appare incongrua rispetto alla limitata portata offensiva della condotta e alla biografia penale dell’appellante. La sentenza de qua avrebbe pertanto dovuto, quanto meno, provvedere alla riduzione (fino a 1/3) della pena ex art. 219 c. 3 L.FALL. ‘ ), senza alcuna deduzione calibrata sul l’elemento normativo del ‘danno patrimoniale di speciale tenuità’, che costituisce l’unico presupposto del riconoscimento della diminuente . L’indicazione specifica ‘delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto” che devono sorreggere ogni atto d’impugnazione -è invero funzionale alla delimitazione dell’oggetto della decisione impugnata ed alla devoluzione delle relative questioni. Sicchè, il difetto di motivazione della sentenza di appello in relazione a motivi generici, pur se proposti in concorso con altri motivi specifici, non può formare oggetto di ricorso per Cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria, quand’anche il giudice dell’impugnazione non abbia pronunciato in concreto tale sanzione (v. Sez. 5 n. 44201 del 29/09/2022, Testa, Rv. 283808; Sez. 1, n. 7096 del 20/1/1986, Ferrara, Rv. 173343; Sez. 4, n. 1982 del 15/12/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 213230; Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262700).
5.Il quinto motivo è manifestamente infondato.
Il termine di prescrizione del reato di bancarotta prefallimentare decorre dal momento in cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento e non dal momento di consumazione delle singole condotte precedenti a tale declaratoria e tale principio è valido sia nel caso in cui la sentenza di fallimento venga qualificata elemento costitutivo improprio della fattispecie penale, sia qualora la si ritenga condizione obiettiva di punibilità ( ex multis , sez.5, n. 45288 del
11/05/2017, COGNOME, Rv.271114). Il reato di bancarotta semplice documentale, per omessa tenuta dei libri contabili prescritti, si consuma in particolare alla data della sentenza dichiarativa del fallimento, anche se l’attività dell’impresa sia cessata in epoca anteriore (sez.5, n. 275 del 15/03/1968, COGNOME, Rv.107903). I libri e le scritture contabili oggetto dell’omessa tenuta di rilievo penale ex art. 217 cpv. L.F. sono quelli di un triennio ‘a ritroso’ d alla dichiarazione di fallimento e coloro che abbiano rivestito la carica di amministratori della società, nell’arco temporale suddetto , ne rispondono in quanto titolari della posizione di garanzia. E’ dunque evidente che il torno di tempo interessato dalla criticità, nel caso di specie, sia quello che si dipana dal 8 marzo 2018 al 8 marzo 2015, con piena attribuibilità dell’omissione a COGNOME, che ne risponde per effetto della declaratoria di fallimento, elemento esterno alla condotta del soggetto attivo, che fa venire ad esistenza il reato nella struttura e nella specificità di reato fallimentare, che ne determina dunque il momento consumativo, da cui decorre il termine di prescrizione, ai sensi dell’art. 158 comma 1 cod. pen..
6.Il motivo nuovo, tempestivamente depositato dalla difesa di COGNOME è inammissibile, sotto vari aspetti.
6.1. In tema di ricorso per cassazione, la presentazione di motivi nuovi è consentita entro i limiti in cui essi investano capi o punti della decisione già enunciati nell’atto originario di gravame, poiché la “novità” è riferita ai “motivi”, e quindi alle ragioni che illustrano ed argomentano il gravame su singoli capi o punti della sentenza impugnata, già censurati con il ricorso (sez.1, n. 40932 del 26/05/2011, COGNOME e altri, Rv. 251482), che determina i confini della devoluzione. Rammentato, dunque, che il concetto di “punto della decisione” riguarda tutte le statuizioni suscettibili di autonoma considerazione (cfr. ex multis , in motivazione, sez. U n. 1 del 19/01/2000, COGNOME), non vi è nesso alcuno, di tutta evidenza, tra le ragioni di doglianza formulate con i motivi principali e la richiesta, del tutto inedita e slegata rispetto ad essi, di essere ammesso a ‘revocare’ la ‘rinuncia’ alla sospensione condizionale della pena -‘con contestuale rinuncia alla conversione della pena detentiva nella pena pecuniaria sostitutiva’ beneficio della sospensione condizionale che la Corte d’appello ha cancellato con la sentenza che ha applicato la pena pecuniaria sostitutiva di quella detentiva, su sollecitazione orale avanzata dalla difesa in sede di discussione nel corso del giudizio di secondo grado.
Ed ancora, l’imprescindibile vincolo che esiste fra detti motivi e quelli su cui si fonda l’impugnazione principale (Sez. U., n. 4683 del 25.02.1998, COGNOME ed altri, Rv. 210259; da ultima Sez. 2, n. 17693 del 17/01/2018, COGNOME, Rv. 272821) comporta che il vizio radicale da cui sono inficiati questi ultimi non possa essere tardivamente sanato dai primi (Sez. 2, n. 34216 del 29/04/2014, COGNOME e altri, Rv. 260851; Sez. 6, n. 47414 del 30/10/2008, COGNOME e altri, Rv. 242129), anche ove i motivi aggiunti valgano, in teoria, a colmare i difetti di quelli originari.
7.I primi due motivi del ricorso del COGNOME sono, a loro volta, originariamente inammissibili (v. supra, § 4.2), perché indeterminati già in sede di formulazione dei relativi motivi di gravame, del tutto carenti di minima argomentazione ed allegazione a sostegno, puramente evocativi della lettera delle norme, significativamente inseriti nel ‘sunto’ finale delle richieste gradate (pag.2 appello :’ in via subordinata, valutata non solo l’esiguità del danno o del pericolo, ma anche le modalità della condotta, chiedo di ritenere sussistente la causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis del codice penale. In via ulteriormente gradata, chiedo l’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 219 L. fall. e per l’effetto la conversione della stessa in pena pecuniaria’ ). Del resto, la inammissibilità dell’impugnazione non rilevata dal giudice di secondo grado deve essere dichiarata dalla Cassazione, quali che siano state le determinazioni cui detto giudice sia pervenuto nella precedente fase processuale, atteso che, non essendo le cause di inammissibilità soggette a sanatoria, esse devono essere rilevate, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento ( ex multis , sez.3, n.20356 del 02/12/2020, Mirabella, Rv. 281630).
Ad ogni buon conto, stante la sostanziale sovrapponibilità delle censure a quelle agitate dal terzo e quarto motivo dell’impugnazione del COGNOME, possono essere richiamate le riflessioni ivi messe in risalt o, che veicolano le ragioni di ricorso nell’alveo della manifesta infondatezza.
8.Il terzo motivo proposto dal COGNOME coglie invece nel segno, pur nei limiti che saranno indicati.
8.1. Già si è detto, in primo luogo, dell’inammissibilità dei motivi di appello del COGNOME e, a fortiori, può aggiungersi che il requisito della ‘specificità’ dei motivi, preteso a pena d’inammissibilità dell’impugnazione, si estende alle ‘richieste’ (art. 581 comma 1 lett. c) cod. proc. pen.), che devono risultare perspicue ed inequivoche. La richiesta testualmente formalizzata nel gravame è in proposito ambigua e confusa, perché, dopo l’invocazione ‘in via ulteriormente gradata’ dell”applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 219 L. fall.’, prosegue con la locuzione ‘e per l’effetto la conversione della stessa in pena pecuniaria’, lì dove l’aggettivo identificativo ‘stessa’ pare incongruamente riferirsi all”attenuante’, mentre avrebbe dovuto collegarsi, nel l essico ordinario, alla pena ‘finale’. L’inammissibilità originaria travolge, dunque, i contenuti della censura, strumentale ad esaltare un errore di modulazione interpretativa del giudice di merito. Va poi soggiunto che la doglianza, riferita ad un presunto errore di lettura del motivo di gravame da parte della Corte d’appello, difetta di apprezzabile interesse, non potendosi cogliere lesione alcuna , per l’imputato -e in difetto di debita specificazione – nella avvenuta applicazione della pena sostitutiva pecuniaria in luogo di quella detentiva anche in assenza del riconoscimento della diminuente di cui all’art. 219 ult. co. R.d. n. 267 del 1942, come il ricorrente assume di aver invocato con la ragione di gravame.
Nel caso di specie, invece, l’automatismo previsto dall’art. 61 bis della L. n. 689 del 1981, che sancisce l’incompatibilità tra le pene sostitutive delle pene detentive brevi e l’istituto della sospensione condizionale, non è applicabile, trattandosi di reato commesso prima
dell’introduzione della c.d. Riforma Cartabia, quando le sanzioni sostitutive potevano essere assistite dalla concessione del beneficio di cui all’art. 163 cod. pen. . Come recentemente affermato da questa Corte, in tema di pene sostitutive di pene detentive brevi, il divieto di farne applicazione nei casi in cui sia disposta altresì la sospensione condizionale della pena, previsto dall’art. 61-bis, legge 24 novembre 1981, n. 689, introdotto dall’art. 71, comma 1, lett. i), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, non si estende ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore di tale ultima disposizione, trovando applicazione, per la natura sostanziale della previsione con essa introdotta, il disposto di cui all’art. 2, comma quarto, cod. pen., che, in ipotesi di successione di leggi penali nel tempo, prescrive l’applicazione della norma più favorevole all’imputato (sez.3, n. 33149 del 07/06/2024, V., Rv. 286751; così anche sez.5, n. 45583 del 03/12/2024, COGNOME, Rv.287354 che in motivazione ha osservato come, , con il richiamo di Sez. 4, n. 46157 del 24/11/2021, COGNOME, Rv. 282551; Sez. 2, n. 21459 del 07/03/2019, COGNOME, Rv. 276064).
8.2.Vale allora il principio di diritto, già radicato in giurisprudenza prima della riforma, secondo cui è illegittima, in assenza di richiesta dell’imputato, la revoca di ufficio da parte del giudice di appello del beneficio della sospensione condizionale della pena, concesso dal primo giudice in sede di condanna a pena detentiva sostituita con la corrispondente pena pecuniaria sulla base dell’erroneo convincimento del “favor rei”, in quanto tale statuizione viola il divieto di “reformatio in peius” (sez. 3, n. 6313 del 20/12/2007, COGNOME, Rv. 238831); e ancora, la revoca della sospensione condizionale della pena concessa in primo grado può essere disposta dal giudice d’appello solo se la statuizione sia stata oggetto di espressa impugnazione da parte dell’imputato e non anche di ufficio, anche quando in secondo grado la condanna a pena detentiva è sostituita con condanna alla sola pena pecuniaria, in quanto la concessione del beneficio, dando luogo ad una causa di estinzione del reato, è sempre una previsione di favore per l’imputato, rispetto alla quale opera il divieto di “reformatio in peius”( sez.5, n. 42583 del 11/06/2015, COGNOME, Rv. 266412).
Nel caso di specie, non risulta che l’appellante abbia dichiarato, con i motivi di gravame, né successivamente con l’esercizio della relativa facoltà, di voler rinunciare al beneficio della sospensione condizionale della pena, neppure in caso di ‘conversione’ della pena detentiva in pecuniaria con la pronunzia della sentenza. L’accoglimento del motivo di ricorso del COGNOME non consente l’applicazione dell’effetto estensivo dell’impugnazione, di cui all’art. 587 cod. proc. pen., dal momento che, al di là della indicazione, nel capo d’imputazione dell’art. 110 cod. pen., la sentenza impugnata ha ritenuto di distinguere la posizione degli imputati per i rispettivi periodi di copertura del munus amministrativo -pag.6 -attribuendo a ciascuno di essi titoli autonomi di responsabilità.
La sentenza impugnata deve essere dunque annullata senza rinvio nei confronti del COGNOME limitatamente all’elisione della sospensione condizionale della pena, che può essere ripristinata da questa Corte a norma dell’art. 620 lett. l) cod. proc. pen.. L’atto di ricorso di COGNOME NOME deve essere, per il resto, dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, consegue invece la condanna del ricorrente COGNOME al pagamento delle spese del procedimento e, non potendosi escludere profili di colpa nella formulazione dei motivi, anche al versamento della somma di euro 3000 a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME NOME limitatamente alla mancata applicazione della sospensione condizionale della pena, beneficio che dispone. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di tale imputato.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME AlessandroCOGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 18/06/2025