Revoca Semilibertà: Quando l’Uso del Cellulare Annulla il Beneficio
La concessione di misure alternative alla detenzione, come la semilibertà, rappresenta un’importante opportunità di reinserimento per un condannato. Tuttavia, il rispetto rigoroso delle prescrizioni è fondamentale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito questo principio, confermando la revoca semilibertà per un soggetto che aveva utilizzato un telefono cellulare, violando le regole imposte. Analizziamo insieme questa decisione e le sue implicazioni.
I Fatti di Causa
Un uomo, ammesso al beneficio della semilibertà, si è visto revocare tale misura dal Tribunale di Sorveglianza. La causa scatenante è stata la scoperta che egli aveva utilizzato un telefono cellulare per inviare messaggi. Questo comportamento, secondo il Tribunale, costituiva una chiara violazione delle prescrizioni associate alla misura alternativa. Inoltre, tale azione è stata interpretata come un segnale della sua incapacità di gestire in modo responsabile la fiducia e il beneficio che gli erano stati accordati.
Contro l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza, il condannato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione e chiedendo una nuova valutazione degli elementi.
La Decisione della Cassazione sulla Revoca Semilibertà
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Gli Ermellini hanno sottolineato che il provvedimento del Tribunale di Sorveglianza era basato su una motivazione adeguata e non illogica. La decisione di primo grado aveva correttamente evidenziato come l’uso del cellulare, in violazione delle regole, dimostrasse l’inaffidabilità del condannato.
I giudici di legittimità hanno specificato che il ricorso non presentava reali vizi di legge, ma mirava piuttosto a ottenere una rivalutazione del merito dei fatti, un’operazione preclusa in sede di Cassazione. Il ruolo della Suprema Corte, infatti, è quello di verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non di riesaminare le prove come un giudice di merito.
Le Motivazioni della Decisione
La motivazione della Corte si fonda su un principio cardine dell’esecuzione penale: le misure alternative si basano su un patto di fiducia tra lo Stato e il condannato. La violazione delle prescrizioni, anche se apparentemente di lieve entità come l’uso di un telefono, incrina questo patto. Dimostra che il soggetto non è ancora pronto a gestire spazi di libertà in modo responsabile e conforme alle regole. La revoca semilibertà non è quindi una sanzione sproporzionata, ma la logica conseguenza della constatazione che sono venuti meno i presupposti per la prosecuzione del beneficio. Il ragionamento del Tribunale di Sorveglianza è stato ritenuto coerente e immune da vizi logici, rendendo il ricorso privo di fondamento.
Le Conclusioni
In conclusione, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso. In applicazione dell’art. 616 del codice di procedura penale, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa decisione riafferma che il percorso di reinserimento sociale attraverso le misure alternative richiede un’adesione piena e consapevole alle regole imposte. La violazione di tali regole, anche attraverso condotte non criminose ma vietate dal programma di trattamento, può compromettere irrimediabilmente il beneficio concesso.
Per quale motivo è stata revocata la misura della semilibertà al condannato?
La semilibertà è stata revocata perché il condannato ha utilizzato un telefono cellulare per inviare messaggi, violando così le prescrizioni relative alla misura alternativa e dimostrando la sua incapacità di gestire responsabilmente il beneficio.
Perché la Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile?
La Corte ha giudicato il ricorso inammissibile perché manifestamente infondato. Ha stabilito che la motivazione del Tribunale di Sorveglianza era adeguata e logica, e che il ricorrente non contestava un vizio di legge, ma cercava di ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività non consentita nel giudizio di legittimità.
Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente dopo la decisione della Cassazione?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 554 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 554 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BORDIGHERA il 11/01/1977
avverso l’ordinanza del 07/06/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di GENOVA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
(~
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e la ordinanza impugnata.
Rilevato che il ricorso è manifestamente infondato;
Considerato, infatti, che il provvedimento impugnato – con motivazione adeguata e non manifestamente illogica – ha revocato la semilibertà concessa a NOME COGNOME poiché il condannato aveva fatto uso del telefono cellulare inviando messaggi, violando in tal modo le prescrizioni relative alla misura alternativa e dimostrando l incapacità a gestire in modo responsabile il beneficio accordatogli;
Rilevato che il condannato, rispetto a tale coerente ragionamento svolto dal Tribunale di sorveglianza di Genova, pur lamentando il vizio di motivazione, sollecita una differente (ed inammissibile) valutazione degli elementi di merito coerentemente esaminati dal giudice a quo ;
Ritenuto che il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, e che il ricorrente deve essere condannato, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., a pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nella presentazione del ricorso (Corte Cost. n. 186 del 2000);
P.Q.M.,
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2023.