Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 36931 Anno 2024
In nome del Popolo RAGIONE_SOCIALE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 36931 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/09/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
FILIPPO CASA NOME COGNOME
R.G.N. 21019/2024
NOME OGGERO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a CAGLIARI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 24/04/2024 del TRIBUNALE di Cagliari
Con l’assistenza dell’assistente giudiziario NOME COGNOME alle ore 10.00 si Ł riunita nella sala delle udienze camerali per la discussione dei ricorsi fissati ai sensi degli artt. 611 cod. proc. pen.
Udito il relatore cons. NOME COGNOME;
Lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, cha ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
Dato avviso alle parti;
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugNOME, il Tribunale di Cagliari, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha dichiarato inammissibile de plano ex art. 666, comma 2, cod. proc. pen. l’istanza di NOME COGNOME volta a ottenere la revoca per abolitio criminis ex art. 673 cod. proc. pen., in relazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 291 del 2013, delle sentenze di applicazione della pena pronunciate nei suoi confronti dal Tribunale di Cagliari in data 29 maggio 2018, irrevocabile in data 12 luglio 2018, e dal Tribunale di Cagliari in data 28 maggio 2019, irrevocabile in data 10 luglio 2019, entrambe per la violazione dell’art. 75 decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, con riguardo alla sorveglianza speciale applicatagli con decreto in data 31 marzo 2009, cui veniva sottoposto, dopo un periodo di carcerazione di oltre cinque anni, in data 25 giugno 2014.
Il Tribunale ha sottolineato che l’eventuale mancata rivalutazione della pericolosità,
conseguente al periodo di detenzione subìto, avrebbe dovuto essere posta all’attenzione del giudice della cognizione nel corso del giudizio di merito e di impugnazione; la mancata attivazione dell’impugnazione, in particolare, preclude l’esame della questione prospettata in sede esecutiva.
Ricorre NOME COGNOME, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, che chiede l’annullamento del provvedimento impugNOME, denunciando la violazione di legge, in riferimento all’art. 673 cod. proc. pen., perchØ il giudice dell’esecuzione, pur ricorrendone i presupposti, non ha disposto la revoca delle sentenze di condanna, non essendo il prevenuto stato nuovamente sottoposto all’accertamento d’ufficio della attualità della pericolosità sociale dopo un lungo periodo di carcerazione per espiazione della pena.
Il ricorrente rappresenta che la nuova sottoposizione alla misura di prevenzione, rimasta sospesa per lo stato detentivo, Ł avvenuta il 25 giugno 2014. La omissione della verifica ex officio della persistenza della pericolosità (aspetto oggetto della decisione n.291 del 2013 della Corte cost.) ha determiNOME l’illegittimità della riattivazione della misura di prevenzione e non può che travolgere l’affermazione di responsabilità per il reato di violazione delle prescrizioni imposte, anche se giudicato con sentenza irrevocabile.
La rimozione del giudicato non sarebbe imposta da un mutamento interpretativo giurisprudenziale (Sez. U, n. 51407 del 21/06/2018, Marillo, Rv. 273952 – 01), ma consegue come effetto diretto della sentenza n.291 del 2013 della Corte costituzionale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł fondato.
Per la soluzione della questione controversa vanno preliminarmente individuati i limiti entro i quali al giudice dell’esecuzione Ł consentito, ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen., revocare la sentenza per abolizione del reato.
La norma suddetta prevede che il giudice dell’esecuzione revochi la sentenza di condanna o il decreto penale dichiarando che il fatto non Ł previsto dalla legge come reato e adotti i provvedimenti conseguenti «nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice» (comma 1) e che allo stesso modo provveda quando Ł stata emessa sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere per estinzione del reato o per mancanza di imputabilità (comma 2).
La revoca della sentenza di condanna ex art. 673 cod. proc. pen. si giustifica in rapporto all’intervenuta abolitio criminis legislativa e alla emissione di sentenza dichiarativa della illegittimità costituzionale della previsione incriminatrice.
2.1. La richiamata disposizione Ł applicabile, secondo la giurisprudenza, anche quando il fenomeno abolitivo Ł intervenuto prima della condanna e sia stato ignorato dal giudice della cognizione.
Sez. U, n. 26259 del 29/10/2015 – 2016, COGNOME, Rv. 266872 – 01, ha affermato che «Il giudice dell’esecuzione può revocare, ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen., una sentenza di condanna pronunciata dopo l’entrata in vigore della legge che ha abrogato la norma incriminatrice, allorchØ l’evenienza di abolitio criminis non sia stata rilevata dal giudice della cognizione».
2.2. Con la richiamata sentenza n. 291 del 2013, la Corte costituzionale ha: 1) dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 12 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), nella parte in cui non prevede che, nel caso in cui l’esecuzione di una misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato di detenzione per espiazione di pena della persona ad essa sottoposta, l’organo
che ha adottato il provvedimento di applicazione debba valutare, anche d’ufficio, la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato nel momento dell’esecuzione della misura; 2) dichiarato, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 15 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonchØ nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), nella parte in cui non prevede che, nel caso in cui l’esecuzione di una misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato di detenzione per espiazione di pena della persona ad essa sottoposta, l’organo che ha adottato il provvedimento di applicazione debba valutare, anche d’ufficio, la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato nel momento dell’esecuzione della misura.
2.3. Il massimo consesso giurisprudenziale di legittimità ha, per parte sua, affermato che «non Ł configurabile il reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, previsto dall’art. 75 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nei confronti del destinatario di una tale misura, la cui esecuzione sia stata sospesa per effetto di una detenzione di lunga durata, in assenza della rivalutazione dell’attualità e della persistenza della pericolosità sociale, da parte del giudice della prevenzione, al momento della nuova sottoposizione alla misura» (Sez. U, n. 51407 del 21/06/2018, Marillo, Rv. 273952 – 01).
In motivazione, la Corte ha rilevato che l’art. 14, comma 2ter del d.lgs. n. 159 del 2011, introdotto dall’art. 4, comma 1, della legge 17 ottobre 2017, n. 161, recante modifiche al Codice antimafia, ha stabilito che la verifica della pericolosità debba avvenire ad opera del tribunale, anche d’ufficio, dopo la cessazione della detenzione per espiazione di pena che si sia protratta per almeno due anni.
L’art. 15 del d.lgs. 159 del 2011, nel disciplinare il rapporto tra stato di detenzione (per espiazione pena) ed esecuzione di una misura di prevenzione personale, alla luce dell’intervento additivo della Corte costituzionale n. 291 del 2013, prevede che in caso di detenzione di lunga durata, lo stato di sospensione della misura non cessi all’atto della fine dell’esecuzione della pena, ma permanga fino a quando il giudice competente non verifichi nuovamente la pericolosità sociale della persona sottoposta alla misura e quest’ultima non gli sia stata notificata. Pertanto, in tali ipotesi, la nuova verifica da parte del giudice competente, attestante la pericolosità della persona, costituisce una condizione di efficacia della misura di prevenzione.
2.4. Secondo l’autorevole pronuncia, in difetto di tale accertamento, non sussiste il reato di cui all’art. 75, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, in quanto non avendo efficacia il provvedimento genetico della misura di prevenzione, non può configurarsi il fatto penalmente rilevante della sua violazione.
Tale interpretazione trova ora sostegno normativo nel nuovo art. 14, comma 2ter , d.lgs. n. 159 del 2011, introdotto dalla legge n. 161 del 2017. La disposizione prevede che, dopo la cessazione dello stato di detenzione per espiazione di pena, la verifica della pericolosità avviene ad opera del tribunale, anche d’ufficio, dopo la cessazione della detenzione che si Ł protratta per almeno due anni, attraverso un procedimento, nel corso del quale sono assunte le necessarie informazioni.
Si valorizza in tal modo l’esigenza di un accertamento dell’attualità della pericolosità sociale, necessario presupposto sul piano costituzionale e convenzionale, dell’applicazione di una misura di prevenzione.
A tale prospettiva interpretativa, fornisce continuità la recente pronuncia delle Sezioni Unite secondo la quale l’accertamento della “attualità” della pericolosità Ł necessario persino per coloro che sono indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso (Sez. U, n. 111, del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso).
La risposta fornita dal giudice dell’esecuzione all’istanza introdotta da COGNOME non appare del tutto congrua, posto che l’istante (attuale ricorrente) evidenzia che nel caso in esame, al di là delle variazioni di interpretazione giurisprudenziale della previsione incriminatrice (Sez. U, Marillo, cit.), viene in rilievo il portato di una sentenza dichiarativa di illegittimità costituzionale (Corte cost. n.291 del 2013), prospettata dalla difesa come incidente sull’affermazione di penale responsabilità.
3.1 Ciò impone di estendere l’analisi interpretativa, prendendo in esame i contenuti della sentenza n. 291 del 2013 e la sua potenziale proiezione sull’illecito penale oggetto di contestazione nel giudizio definito con sentenza irrevocabile – nei confronti dell’attuale ricorrente.
Non può evitarsi di compiere tale attività, posto che Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, Rv. 260696 – 01, ha affermato il principio di diritto, potenzialmente rilevante, secondo il quale anche la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice può comportare modifiche al giudicato di condanna (in quel caso si trattava, come Ł noto, di rideterminazione in bonam del trattamento sanzioNOMErio).
La questione posta dal ricorrente – alla luce degli sviluppi interpretativi sui poteri del giudice della esecuzione penale e della incontestata esistenza di una sentenza dichiarativa di illegittimità costituzionale di un segmento della procedura di prevenzione – presenta aspetti di rilievo che vanno esaminati.
3.2. La sentenza n. 291 del 2013 ha una dimensione e una portata essenzialmente procedimentale, come emerge dai suoi contenuti argomentativi.
Si Ł ritenuta – in tale arresto – irragionevole la distinzione di trattamento normativo di due situazioni analoghe, rappresentate, per un verso, dalla sottoposizione a misura di sicurezza personale conseguente al giudicato di condanna (la legge prevede una doppia valutazione in punto di ricorrenza della condizione di pericolosità al momento della decisione e al momento della esecuzione ai sensi dell’art. 679 cod. proc. pen.) e, per altro verso, dalla sottoposizione a misura di prevenzione personale differita per lo stato detentivo del destinatario (la legge non prevedeva rivalutazione ex officio della condizione di pericolosità prima della esecuzione, ma onerava la parte di proporre istanza di revoca della misura ai sensi dell’art.7 della legge n. 1423 del 1956).
Non si tratta, ferma restando la sua indubbia rilevanza, di una decisione che ha inciso sui connotati sostanziali della misura di prevenzione personale (come, ad esempio Ł accaduto con la decisione n. 24 del 2019 Corte cost, abolitiva di una delle previsioni di legge in tema di pericolosità semplice), quanto di una decisione che ha reso obbligatorio ciò che in precedenza veniva rimesso alla iniziativa della parte interessata (conferma della attualità di una condizione già espressa in sede cognitiva).
3.3. Tenuto conto che si tratta di una sentenza dichiarativa di illegittimità costituzionale relativa alla dimensione di validità del procedimento esecutivo della misura di prevenzione, questa Corte di legittimità, nelle decisioni emesse su ricorsi proposti in fase di cognizione, non ha riconosciuto una portata «demolitoria» di tale pronunzia a tutte le situazioni nelle quali l’applicazione della misura di prevenzione personale era fonte di responsabilità penale (per la violazione degli obblighi imposti, incriminata dall’art.75 d.lgs. n.159 del 2011), individuando – per principio generale il limite delle «situazioni esaurite».
Sez. 1, n. 36583 del 28/03/2017, Maffi, Rv. 271400 – 01, ha precisato che «in materia di sorveglianza speciale, la valutazione della sussistenza dei presupposti del reato di cui all’art. 9, comma 1, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, non può essere effettuata alla luce dell’integrazione del quadro normativo risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 291 del 2013 – che ha introdotto la necessità di rivalutazione della pericolosità sociale del sottoposto nell’ipotesi di sospensione della misura causata dallo stato detentivo del medesimo – qualora
l’esecuzione della misura stessa sia cessata in epoca antecedente alla suddetta pronuncia».
Il tema Ł stato poi ripreso da Sez. 1 n. 42703 del 13.9.2019, Terlizzi, Rv. 277230, che ha esteso la irrilevanza del decisum del giudice delle leggi – data la sua natura procedimentale -, sulla penale responsabilità ex art.75 d.lgs. n.159 del 2011, intendendo per situazione esaurita l’avvenuta «sottoposizione» alla misura di prevenzione in epoca antecedente alla emissione della sentenza (pur essendo la misura di prevenzione ancora in atto in tale data), anche in ragione della esistenza, sino al dicembre del 2013, dello strumento processuale della revoca ad istanza di parte.
La giurisprudenza di legittimità ha, pure, chiarito che «in caso di condanna definitiva per il reato di cui all’art. 75, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (per la violazione, in particolare, dell’obbligo di permanenza presso l’abitazione in ore notturne), la domanda di revoca della sentenza di condanna ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen., non può trovare accoglimento, in riferimento alle ricadute della sentenza dichiarativa di illegittimità costituzionale n. 291 del 2013, in tutte le ipotesi in cui la sottoposizione alla misura di prevenzione rimasta sospesa, senza previa verifica di ufficio della persistenza della pericolosità, sia avvenuta prima della pubblicazione della sentenza medesima» (Sez. 1, n. 31214 del 18/09/2020, COGNOME, Rv. 279799 – 01).
Venendo al caso in esame, va constatato che la decisione dichiarativa di illegittimità costituzionale n. 291 del 2013 Ł in grado di incidere sul giudicato poichØ la precondizione per l’intervento di rimozione del giudicato (correlato alla inefficacia della fonte di penale responsabilità, rappresentata dall’obbligo violato) Ł rappresentata dalla sottoposizione alla misura di prevenzione, senza preventivo riesame ex officio della pericolosità, posteriore al dictum della Corte Costituzionale.
COGNOME Ł stato sottoposto alla misura di prevenzione con decreto in data 31 marzo 2009, notificato in data 23 aprile 2009, ma, secondo la difesa, il provvedimento non ha avuto esecuzione a causa dello stato detentivo.
Secondo le deduzioni difensive, la sottoposizione alla misura di prevenzione Ł avvenuta soltanto all’atto della scarcerazione in data 25 giugno 2014; cioŁ, successivamente all’intervento della Corte costituzionale, allorquando COGNOME Ł stato sottoposto alla misura, poi, dallo stesso COGNOME violata nelle due occasioni che hanno condotto alle sentenze di condanna a suo carico.
Secondo la difesa non può dirsi che la situazione di COGNOME si fosse già esaurita al momento della pronuncia della sentenza del giudice delle leggi, sicchØ sussisteva l’obbligo di procedere a nuova valutazione della attualità della pericolosità sociale faceva parte.
4.1. Il giudice dell’esecuzione non ha effettivamente compiuto alcun accertamento in merito, nØ ha fornito indicazioni sulla tempistica sopra ricordata, ma si Ł limitato a dichiarare inammissibile de plano l’istanza ex art. 673 cod. proc. pen. per difetto dei presupposti.
Si tratta di un provvedimento, dunque, che non soddisfa i requisiti legali per la pronuncia de plano che va annullata.
4.2. Va, anche, chiarito che il generico riferimento alla mancata proposizione dell’impugnazione avverso la sentenza di applicazione della pena non Ł idoneo a ostacolare l’ammissibilità dell’istanza ex art. 673 cod. proc. pen. che, basata sull’illegittimità costituzionale della norma extra penale dalla quale deriva la sussistenza del reato, palesa la circostanza che il giudice di merito non ha verificato il presupposto dell’incriminazione.
La circostanza, che si desume dal provvedimento impugNOME, secondo la quale il giudice di merito non si sarebbe occupato di verificare la penale rilevanza della condotta di COGNOME, in ragione della mancata rinnovazione della verifica di pericolosità, nØ che il condanNOME ne abbia fatto motivo di impugnazione, non impedisce al giudice di esecuzione di provvedere ex art. 673 cod. proc. pen.
La giurisprudenza di legittimità (SU COGNOME, cit.) ha, infatti, chiarito, quanto al fenomeno della
successione di leggi e all’abrogazione implicita, che spetta al giudice dell’esecuzione di verificare l’ abolitio criminis , quando il giudice di merito non abbia trattato la questione.
¨ stato, così, affermato un principio di carattere generale sui doveri del giudice dell’esecuzione investito dell’istanza ex art. 673 cod. proc. pen., il quale ha l’obbligo di esaminare la questione dell’ abolitio criminis , incontrando l’unico limite del giudicato da parte del giudice di cognizione, giudicato che, ove esistente, escluderebbe l’intervento del giudice dell’esecuzione perchØ ridonda in una violazione di legge coperta dal giudicato là dove non dedotta con i mezzi di impugnazione ordinari.
Si tratta, quindi, di un principio che Ł applicabile, a maggior ragione, al caso in esame nel quale il giudice della cognizione non risulta avere esamiNOME la questione della penale irrilevanza della condotta ascritta a COGNOME in conseguenza della sentenza della Corte costituzionale n. 291 del 2103 che ha inciso su un elemento extra penale della fattispecie, il quale rileva sulla sussistenza del reato.
L’ordinanza impugnata va, quindi, annullata con rinvio al giudice dell’esecuzione perchØ, sulla scorta dei richiamati principi di diritto, proceda a nuova valutazione in contraddittorio dell’istanza del condanNOME.
P.Q.M
Annulla il provvedimento impugNOME con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Cagliari.
Così Ł deciso, 17/09/2024
Il Consigliere estensore
NOME
Il Presidente NOME COGNOME