Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44283 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44283 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BARI il 07/02/1993
avverso l’ordinanza del 03/07/2024 del GIUD. SORVEGLIANZA di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette/€errtite le conclusioni del PG
Il Procuratore generale, NOME COGNOME chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. NOME COGNOME ricorre avverso l’ordinanza emessa in data 3.7.2024 dal Magistrato di sorveglianza di Lecce, con la quale è stata revocata la pena sostitutiva della detenzione domiciliare disposta con sentenza del G.u.p. del Tribunale di Lecce il 6.9.2022, stante la reiterata frequenza personale del coindagato con pregiudizi penali NOME COGNOME
Secondo il ricorso, COGNOME non avrebbe potuto evitare di incontrare il coindagato sulla strada percorsa giornalmente per raggiungere i luoghi dove fare la spesa.
Il giudice per di più avrebbe erroneamente indicato l’avvenuto riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.
Inoltre, il provvedimento applicativo emesso dal Magistrato di sorveglianza di Bologna non può contravvenire alla norma di fonte superiore costituita dall’art. 56 legge 24 novembre 1981 n. 689, per la quale il detenuto, per provvedere alle indispensabili esigenze di vita e di salute, può uscire di casa per almeno quattro ore al giorno anche non continuative, secondo quanto stabilito dal giudice.
Il Magistrato di sorveglianza contestualmente alla revoca della pena della detenzione domiciliare sostitutiva ha disposto che il detenuto prosegua in carcere l’espiazione della pena irrogatagli con la suddetta sentenza, con fine pena alla data del 21.2.2026.
Tuttavia, per il ricorrente, tale ultima statuizione non trova fondamento nella norma che disciplina la revoca di siffatta pena e che stabilisce che la parte residua di pena si converte nella pena detentiva sostitutiva ovvero in altra pena sostitutiva più grave, che è la semilibertà sostitutiva ex art. 55 legge 689/81, che sarebbe stata ammissibile qualora il Magistrato di sorveglianza avesse consentito lo svolgimento di un’attività lavorativa, istruttiva o comunque utile al reinserimento sociale ex art. 48 Ord. pen.
Il Magistrato di sorveglianza non avrebbe avuto le funzioni di giudice della condanna alla pena sostitutiva (che è solo il G.i.p. di Lecce) o l’organo deputato alla sua esecuzione, cioè l’ufficio esecuzione della Procura della Repubblica, che avrebbe valutato se emettere un ordine di esecuzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, come tale, deve essere rigettato.
1.1. Come ha rilevato correttamente osservato il Procuratore generale, il provvedimento impugnato risulta effettivamente ricorribile in Cassazione, atteso il disposto dell’art. 66 legge 689/1981, come modificato dal d. Igs. 10 ottobre 2022 n. 150, che prescrive la procedura di cui all’art. 666 c.p.p., qualora il magistrato di sorveglianza ritenga che si debba procedere alla revoca della semilibertà o della detenzione domiciliare.
Tale disposizione si configura come speciale e derogatrice rispetto a quella generale dell’art. 678 c.p.p., ove è previsto che il magistrato di sorveglianza, nella materia dell’esecuzione della semilibertà o della detenzione domiciliare, proceda a norma dell’art. 667 comma 4 C.P.P.
Il legislatore ha evidentemente ritenuto che, data la maggiore incidenza della revoca della pena sostitutiva sulla sfera della libertà personale, si dovesse, già in prima battuta, procedere in contraddittorio, con conseguente applicabilità dell’art. 666 c.p.p., anche nella parte in cui prevede l’impugnazione del provvedimento mediante ricorso per cassazione.
Tale interpretazione è conforme con i principi affermati già dalla recente giurisprudenza, che ha precisato che la competenza funzionale a decidere in materia di revoca della detenzione domiciliare spetta, anche dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, al magistrato di sorveglianza. (Sez. 1, n. 9282 del 12.1.2024, confitto comp. in proc. COGNOME, Rv. 285915).
1.2. Ciò premesso, ritiene il Collegio che col ricorso si deducono questioni infondate e comunque inidonee a dichiarare l’illegittimità del provvedimento impugnato.
Invero, quanto alla prima violazione, a seguito della quale il condannato era stato “diffidato” dal Magistrato di sorveglianza, in questa sede non rileva la eventuale contraddizione, rilevata nel provvedimento impugnato, fra le dichiarazioni di COGNOME e quelle contenute nella memoria difensiva.
Infatti, indipendentemente dall’esistenza o meno di tale contraddizione, quel che rileva è che il condannato si trovasse fuori dalla propria abitazione e che non fosse nei pressi di un supermercato come dichiarato.
Il ricorrente per di più non ha mai indicato in quale supermercato si stesse recando.
Inoltre, COGNOME era stato trovato in compagnia di COGNOME, coindagato, in quanto arrestato in flagranza insieme a lui e, dopo questo episodio che aveva dato luogo alla “diffida”, il condannato è stato trovato nuovamente fuori dalla propria abitazione, sempre insieme al COGNOME, senza fornire una giustificazione concreta
‘
ovvero riscontrabile in modo oggettivo e senza dare avviso all’autorità preposta alla vigilanza.
Di conseguenza, appare corretta la valutazione di gravità svolta dal giudice per questa seconda violazione, che costituisce una reiterazione della prima, con ciò integrando i presupposti per la revoca della pena sostitutiva.
1.3. Per quanto attiene alla successiva disposizione sulla prosecuzione in carcere della pena da espiare, è vero che l’art. 66, comma 1, legge 689/1981 prevede in via alternativa la conversione della pena residua “nella pena detentiva sostituita ovvero in altra pena sostitutiva più grave”, tuttavia, la scelta discrezionale fra il ripristino della pena detentiva e l’applicazione di pena sostitutiva più grave è rimessa allo stesso magistrato che ne dispone la revoca, contestualmente alla stessa.
Si tratta di una scelta che deve essere anch’essa motivata e, nel caso di specie, l’ordinanza impugnata contiene considerazioni dalle quali si evincono con chiarezza le ragioni che hanno indotto il giudice di merito a disporre la conversione nella pena detentiva, in conseguenza della gravità e della reiterazione delle violazioni.
Vi sono pertanto tutti gli elementi per rigettare il ricorso, perché le questioni poste sono con evidenza subvalenti rispetto alla forza argomentativa del fatto della frequenza con la quale si è incontrato col coindagato.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 22/10/2024.