Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 6213 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 6213 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 15/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI PALERMO nel procedimento a carico di: COGNOME NOME nata LICATA il 27/03/1973 avverso l’ordinanza del 21/08/2024 del TRIBUNALE di PALERMO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
ricorso trattato in camera di consiglio senza la presenza delle parti in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini secondo quanto disposto dagli art. 610, comma 5, e 611, commi 1 bis e seguenti, cod. proc. pen..
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnato provvedimento il Tribunale di Palermo ha revocato, in accoglimento dell’appello proposto da NOME COGNOME, le misure cautelari sulla donna gravanti per la commissione del reato di trasferimento fraudolento di valori (art. 512 -bis cod. pen.) per l’intestazione fittizia di attività economiche riferibili al compagno (tal NOME COGNOME, destinatario di misura di prevenzione della confisca in quanto collegato alla cosca mafiosa di Licata.
Nell’ordinanza del Tribunale si ricorda che il provvedimento impugnato aveva rigettato l’istanza di revoca delle misure imposte alla Nogara o la attenuazione delle stesse, attesa la sopravvenuta latitanza dello COGNOME. La
difesa aveva altresì sottolineato che l’intero complesso societario facente capo al coindagato è attualmente affidato alla gestione di un amministratore giudiziario, risultando pertanto impossibile qualsivoglia ingerenza da parte della Nogara. ai – ranto, unitamente al tempo trascorso dall’originaria applicazione della misura, avrebbe giustificato la revoca dei vincoli cautelari.
Il provvedimento di rigetto rimarcava l’assenza di elementi significativi di novità, evidenziando che lo stato di latitanza del compagno non fosse affatto sufficiente ad arginare il rischio di reiterazione delle condotte da parte della COGNOME, che aveva dimostrato capacità del tutto personali di gestione fittizia, ciò che giustificava il rischio di reiterazione di delitti analoghi a quelli in addebito.
L’atto di appello evidenziava la contraddizione della motivazione che da un lato applicava la misura sul presupposto della probabilità che il coindagato sfruttasse, anche da remoto, le competenze della compagna e dall’altro valorizzava tali competenze a dispetto dell’oggettiva possibilità di collaborazione tra, i due a causa della latitanza dell’uomo. La stessa accusa, sottolineava l’appellante, attribuiva alla COGNOME una funzione del tutto ancillare e non l’impiego di risorse proprie nelle imprese guidate dallo COGNOME, tanto che alla donna non era stata contestata l’aggravante di cui all’art. 416 bis 1 cod. pen..
Con il provvedimento impugnato, ritenute ormai superate le esigenze cautelari e considerata la prossima perenzione della misura, per il decorso del tempo, si evidenziava che nel provvedimento genetico il ruolo di “testa di legno” dell’indagata era giustificato dall’intento di favorire gli interessi del compagno, condotta divenuta impossibile ora alla luce dell’arresto dello COGNOME in Tunisia.
Con ricorso per cassazione, il Pubblico Ministero contesta la decisione del Tribunale deducendo tutti i vizi motivazionali (mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità) elencati nell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen..
Infatti, il tribunale non spiega per quale ragione il ruolo della COGNOME sarebbe ‘ancillare’ e per quale ragione le sarebbe preclusa la reiterazione delle condotte a favore dello COGNOME, suo compagno da decenni. Piuttosto, dal provvedimento traspare la confutazione o sottovalutazione delle esigenze cautelari, oggetto tuttavia di valutazione divenuta definitiva. Nemmeno si chiarisce per quale ragione l’arresto dello COGNOME possa aver provocato la cessazione delle esigenze, essendo del tutto irrilevante che nei confronti del compagno fosse stata eseguita la misura cautelare. Infine, nemmeno il decorso del tempo può essere valorizzato a favore della donna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto fondato su un motivo manifestamente infondato.
Per chiarezza, va premesso che, a dispetto dei dubbi espressi nel ricorso, l’ordinanza del Tribunale è incentrata sulla valutazione della permanenza delle esigenze cautelari e non sulla sussistenza o mutamento del quadro indiziario.
Ciò emerge con chiarezza dalla lettura della pg. 2 del provvedimento impugnato ove, a fondo pagina, si focalizza l’oggetto dell’istanza di parte osservando che, nella prospettiva difensiva, le considerazioni svolte nell’appello “consentirebbero di ritenere superate le esigenze cautelarí… o quanto meno affievolite”.
2.Passando all’ulteriore profilo di inammissibilità, il motivo posto a base del ricorso non può essere accolto perché manifestamente infondato.
Infatti, non può sfuggire che, per la maniera in cui è formulato, pur formalmente inquadrato nell’ambito del vizio motivazionale ex art. 606 lett. e), cod. proc. pen., esso chiede, in sostanza, la rivalutazione dell’apprezzamento di merito sulla permanenza delle esigenze cautelari, ciò che è in principio escluso dalla cognizione della Corte di Cassazione.
Ciò perché, secondo l’incontestato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, fuoriesce dal perimetro del sindacato di legittimità il sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, attraverso una diversa interpretazione, benché anch’essa logica, dei dati processuali o un diverso giudizio di rilevanza delle circostanze, essendo invece compito del giudice di legittimità stabilire se i giudici abbiano esaminato tutti gli elementi loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, Clarke, Rv. 203428). Ed in ogni caso, l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., è soltanto quella manifesta, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu °cuti (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074), tale è la gravità dell’ineluttabile frattura della conseguenzialità razionale.
Nel caso di specie, il ricorso è formulato come un atto di appello ovvero come una impugnazione innanzi al giudice di merito, come è reso evidente dalla
promiscua, confusa e cumulativa enunciazione di tutti i vizi motivazionali, di per sé indice di genericità del motivo di ricorso e, in definitiva, segno della natura di merito della doglianza che ad essi solo strumentalmente tenta di agganciarsi (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965 – 01).
Il ricorso non enuncia con chiarezza alcuna manifesta illogicità, limitandosi a dedurre la pretesa erroneità della decisione e fornendo, a giustificazione, una versione alternativa.
Per contro, la decisione impugnata è immune da vizi tanto nella valutazione dell’impossibilità della COGNOME di esercitare il ruolo di ‘testa di legno’, per sopravvenuta amministrazione giudiziaria delle proprietà dello COGNOME, che in relazione alla impossibilità, per quest’ultimo, di fornire qualsivoglia indicazione concreta alla compagna dato il sopravvenuto stato detentivo.
Per le esposte ragioni, il ricorso va dichiarato inammissibile.
P.Q.M.