Revoca misure alternative: la Cassazione conferma il divieto triennale
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di esecuzione penale: la revoca di misure alternative alla detenzione comporta un divieto triennale di accedere a nuovi benefici. Questa decisione chiarisce la portata generale e inderogabile di tale divieto, offrendo importanti spunti di riflessione per chi opera nel settore. Analizziamo insieme la vicenda e le conclusioni della Suprema Corte.
I fatti del caso
Un soggetto, dopo aver subito la revoca di una misura alternativa con un’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza, presentava una nuova istanza per ottenere la detenzione domiciliare. Tuttavia, questa nuova richiesta veniva presentata prima che fosse trascorso il periodo di tre anni dalla data della revoca, come previsto dalla legge sull’ordinamento penitenziario.
Il Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro dichiarava l’istanza inammissibile proprio in virtù di tale divieto temporale. Non accettando la decisione, il soggetto proponeva ricorso per Cassazione, sostenendo le proprie ragioni. La questione giungeva così all’attenzione della Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sulla corretta interpretazione della norma.
La decisione della Corte e l’impatto della revoca misure alternative
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno confermato in toto la decisione del Tribunale di Sorveglianza, consolidando un orientamento giurisprudenziale già esistente.
Il punto centrale della decisione è l’articolo 58-quater, comma 2, della legge sull’ordinamento penitenziario (L. 354/1975). Questa norma stabilisce che, in caso di revoca di una misura alternativa (come l’affidamento in prova, la semilibertà o la detenzione domiciliare), il condannato non può essere ammesso a nuove misure per un periodo di tre anni. La Corte ha sottolineato come questo divieto non sia limitato al singolo procedimento esecutivo in cui è avvenuta la revoca, ma abbia una portata generale e si estenda a qualsiasi altra richiesta presentata nel triennio, anche se relativa a pene diverse.
Le motivazioni della Corte
Le motivazioni alla base della decisione sono chiare e lineari. La Cassazione ha richiamato un proprio precedente (Sez. 1, n. 14860 del 19/02/2020), affermando che il divieto previsto dall’art. 58-quater ha una “portata generale e validità estesa anche ad altri e diversi procedimenti esecutivi”.
L’obiettivo del legislatore è quello di sanzionare il comportamento del condannato che, avendo beneficiato di una misura alternativa, non ha rispettato le condizioni imposte, dimostrando di non meritare la fiducia concessagli. Il divieto triennale agisce quindi come un periodo “di riflessione” forzata e come un deterrente, impedendo che la revoca di un beneficio possa essere immediatamente seguita dalla richiesta di un altro.
La Corte ha ritenuto il ricorso talmente privo di fondamento da configurare una colpa nella sua presentazione. Per questo motivo, in applicazione dell’articolo 616 del codice di procedura penale, ha condannato il ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un principio di rigore nell’ambito dell’esecuzione penale. La revoca di misure alternative non è un evento privo di conseguenze a lungo termine. Il divieto triennale è una barriera legale netta, che non ammette deroghe o interpretazioni restrittive. Questa pronuncia serve da monito: la concessione di una misura alternativa è un’opportunità che, se sprecata, comporta una significativa preclusione all’accesso a futuri benefici per un considerevole lasso di tempo. La decisione riafferma che la fiducia accordata dallo Stato attraverso le misure alternative deve essere onorata con un comportamento conforme alla legge e alle prescrizioni del giudice.
Dopo la revoca di una misura alternativa, è possibile richiederne un’altra immediatamente?
No, la legge sull’ordinamento penitenziario (art. 58-quater) stabilisce un divieto di concessione di nuove misure alternative per un periodo di tre anni a decorrere dal provvedimento di revoca.
Il divieto di tre anni si applica solo al procedimento in cui è avvenuta la revoca?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il divieto ha una portata generale e si estende a qualsiasi altro procedimento esecutivo. Pertanto, per tre anni il soggetto non potrà ottenere misure alternative per nessuna delle pene che eventualmente deve scontare.
Cosa accade se si presenta ugualmente un ricorso per ottenere una misura alternativa durante il periodo di divieto?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Inoltre, come stabilito nel caso di specie, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, 3.000 euro) a favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2335 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2335 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a COSENZA il 11/01/1990
avverso l’ordinanza del 20/08/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di CATANZARO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso ed il decreto impugnato.
Considerato che il ricorso di NOME COGNOME COGNOME è manifestamente infondato;
Rilevato, infatti, che il Presidente del Tribunale di sorveglianza di Catanzaro ha correttamente dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., l’istanza di detenzione domiciliare avanzata dal predetto non essendo ancora decorso il periodo di tre anni ex art. 58-quater Ord. pen., decorrente dalla revoca della misura alternativa disposta nei suoi confronti con ordinanza in data 21 marzo 2024;
Considerato, al riguardo, che il divieto previsto dall’art. 58-quater, comma 2, della legge 26 luglio 1975, n. 354, di concessione di misure alternative alla detenzione nei tr anni successivi al provvedimento di revoca dell’affidamento in prova, della semilibertà o della detenzione domiciliare non è circoscritto al procedimento esecutivo nel cui ambito è intervenuta la revoca, ma ha portata generale e validità estesa anche ad altri e diversi procedimenti esecutivi (Sez. 1, n. 14860 del 19/02/2020, Rv. 279123 – 01);
Rilevato che il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile e che il ricorrente deve essere condannato, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., a pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nella presentazione del ricorso (Corte cost., sent. n. 186 del 2000);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2024.