Revoca Misure Alternative per Violenza Domestica: l’Analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un caso emblematico in materia di revoca misure alternative, confermando che la violenza domestica e l’uso di stupefacenti sono comportamenti incompatibili con i benefici penitenziari. L’ordinanza stabilisce un principio chiaro: chi non dimostra una reale partecipazione al percorso di rieducazione non può usufruire di misure come l’affidamento in prova o la detenzione domiciliare. Analizziamo i dettagli di questa importante decisione.
I Fatti del Caso
Il caso nasce dal ricorso di un uomo contro l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza che aveva revocato il suo affidamento in prova al servizio sociale. La revoca era stata disposta a seguito di gravi episodi di violenza perpetrati ai danni della compagna. In particolare, l’uomo l’aveva colpita ripetutamente al volto per futili motivi.
La vittima aveva sporto denuncia, presentando prove concrete dell’aggressione, tra cui evidenti segni fisici e fotografie. Aveva inoltre dichiarato che la violenza del compagno era scatenata dalla sua continua assunzione di alcol e sostanze stupefacenti. Questa versione è stata confermata quando, al momento dell’intervento delle forze dell’ordine, l’uomo è stato trovato in possesso di una sostanza polverosa, verosimilmente cocaina. A suo carico pendeva già un altro procedimento penale per reati legati alla droga (ai sensi dell’art. 73 d.p.r. 309/90).
La Decisione della Corte sulla Revoca Misure Alternative
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto che le censure presentate dalla difesa fossero “manifestamente infondate” e una semplice riproposizione di argomenti già correttamente valutati e respinti dal Tribunale di Sorveglianza. La Corte ha quindi confermato la legittimità della revoca misure alternative e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Decisione
La Suprema Corte ha pienamente condiviso le motivazioni del Tribunale di Sorveglianza, sottolineando diversi punti cruciali:
1. Mancata Rieducazione: Il condannato non aveva fornito alcuna prova di una reale partecipazione al percorso rieducativo. Al contrario, la sua condotta violenta dimostrava una totale incapacità di rispettare le regole alla base della misura alternativa.
2. Attendibilità della Vittima: Non c’era alcun motivo per dubitare delle dichiarazioni della persona offesa. La sua testimonianza era supportata da prove oggettive inconfutabili: le lesioni fisiche visibili al momento della denuncia, le fotografie che documentavano le ecchimosi e il ritrovamento della droga, che corroborava il racconto sulle cause della violenza.
3. Gravità della Condotta: Le azioni commesse dall’uomo sono state giudicate di tale gravità da non consentire una prognosi favorevole per la fruizione di qualsiasi misura alternativa, inclusa la detenzione domiciliare. La combinazione di violenza fisica, abuso di sostanze e precedenti penali specifici ha reso impossibile per i giudici considerare un’opzione diversa dal ritorno in carcere.
4. Correttezza della Valutazione del Tribunale: La Cassazione ha evidenziato come il Tribunale di Sorveglianza avesse esaminato attentamente tutti gli elementi, respingendo le argomentazioni difensive con motivazioni giuridicamente corrette e logiche.
Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale nel diritto penitenziario: le misure alternative alla detenzione non sono un diritto automatico, ma una concessione legata a una prognosi favorevole sul percorso di reinserimento del condannato. Comportamenti gravi, come la violenza domestica, non solo interrompono questo percorso, ma dimostrano l’inadeguatezza del soggetto a beneficiare di alternative al carcere. La decisione rafforza la tutela delle vittime di violenza, chiarendo che tali condotte comportano la perdita immediata dei benefici penitenziari e giustificano pienamente la revoca misure alternative precedentemente concesse.
Quando può essere revocata una misura alternativa come l’affidamento in prova?
Una misura alternativa può essere revocata quando il condannato manifesta una condotta incompatibile con il percorso di rieducazione, come nel caso di commissione di atti di violenza, dimostrando di non essere idoneo a proseguire il beneficio.
Perché la testimonianza della vittima è stata considerata pienamente attendibile?
La testimonianza della vittima è stata ritenuta attendibile perché era supportata da prove oggettive, quali le evidenze fisiche dell’aggressione (ecchimosi documentate anche da fotografie) e il fatto che l’aggressore sia stato trovato in possesso di sostanze stupefacenti, confermando le dichiarazioni della donna sulle cause della violenza.
Per quale motivo è stata negata anche la detenzione domiciliare?
La detenzione domiciliare è stata negata perché la condotta complessiva del soggetto, caratterizzata da violenza, uso di sostanze e un procedimento penale pendente per droga, è stata ritenuta talmente grave da non consentire una prognosi favorevole neanche per una misura più restrittiva, rendendo inevitabile il ritorno alla detenzione in istituto.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2588 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2588 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a MESSINA il 21/10/1977
avverso l’ordinanza del 11/09/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che le censure dedotte nel ricorso di NOME COGNOME – nel quale il difensore si duole del vizio di motivazione con riferimento al riconoscimento di attendibilità alla compagna del condannato in relazione alla querela proposta nei suoi confronti, nonché del mancato approfondimento della domanda di detenzione domiciliare – sono manifestamente infondate.
Considerato che dette censure sono, altresì, riproduttive di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal Tribunale di sorveglianza di Messina, nel revocare il beneficio dell’affidamento in prova al servizio sociale. Invero, detto Tribunale, confrontandosi con tutti i rilievi difensivi svolti quella sede, osserva che: – il condannato non ha dato prova di una fattiva partecipazione all’opera di rieducazione, risultando avere COGNOME colpito ripetutamente al volto la compagna per un diverbio insorto per futili motivi; – non emerge alcun elemento per cui dubitare della persona offesa, la quale al momento della denuncia presentava evidenze fisiche dell’aggressione e produceva anche diverse fotografie che la ritraevano con evidenti ecchimosi; – le dichiarazioni della querelante, secondo cui la causa scatenante dei comportamenti violenti del compagno sarebbe la continua assunzione sia di sostanze stupefacenti che di sostanze alcoliche, risultano riscontrate dal fatto che al momento dell’intervento degli operatori di RAGIONE_SOCIALE ha consegnato loro un involucro contenente sostanza polverosa, verosimilmente cocaina, e che il ricorrente ha a suo carico un procedimento penale pendente per il reato di cui all’art. 73 d.p.r. 309/90; – le gravi condotte poste in essere da Mesiti non consentono di formulare una prognosi favorevole in relazione alla fruizione di misure alternative, neanche di tipo più restrittivo. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Rilevato, pertanto, che il ricorso – nel quale, si insiste, oltre ch sull’inattendibilità della persona offesa, pure a fronte di tale ultimo rili dell’ordinanza impugnata, sul mancato approfondimento della concedibilità della detenzione domiciliare – deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2024.