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Revoca misura prevenzione: appello è il rimedio giusto

Un soggetto, sottoposto a sorveglianza speciale, ha richiesto la revoca della misura di prevenzione a seguito di una sentenza definitiva di assoluzione. Il Tribunale ha respinto l’istanza. La Corte di Cassazione, investita della questione, ha chiarito che il rimedio corretto non è il ricorso diretto in Cassazione, ma l’appello presso la Corte di Appello. Di conseguenza, ha riqualificato l’impugnazione e ha trasmesso gli atti al giudice competente per la decisione nel merito.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Revoca della misura di prevenzione: la Cassazione chiarisce il rimedio corretto

L’ordinanza in esame affronta una questione procedurale cruciale nell’ambito delle misure di prevenzione: qual è il corretto strumento per impugnare un provvedimento che nega la revoca della misura di prevenzione? La Corte di Cassazione, con una decisione chiara e fondata su consolidata giurisprudenza, non entra nel merito della pericolosità sociale del soggetto, ma si concentra sulla corretta qualificazione del mezzo di impugnazione, riaffermando il principio secondo cui la via maestra è l’appello e non il ricorso per cassazione.

I Fatti del Caso: un lungo percorso giudiziario

La vicenda riguarda un individuo a cui era stata applicata, già nel 1997, la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di due anni. L’esecuzione di tale misura era stata sospesa a causa di un lungo periodo di detenzione per altri gravi reati. Solo nel 2023, la Corte di Appello ne disponeva l’effettiva applicazione.

La difesa presentava due istanze di revoca. La prima veniva respinta sulla base di una valutazione di persistente pericolosità sociale, legata a una condanna per associazione di tipo mafioso, alla mancata dissociazione e a un episodio di guida in stato di ebbrezza con omissione di soccorso. La seconda istanza, oggetto del presente provvedimento, faceva leva su un fatto nuovo e rilevante: il passaggio in giudicato di una sentenza di assoluzione per reati di droga, che, secondo la difesa, minava le fondamenta dell’attuale giudizio di pericolosità. Anche questa seconda istanza veniva respinta dal Tribunale di Salerno.

L’impugnazione e la corretta qualificazione giuridica

Contro il rigetto della seconda istanza, la difesa proponeva ricorso direttamente in Cassazione. Tuttavia, la Suprema Corte ha ritenuto di dover preliminarmente qualificare in modo corretto l’impugnazione presentata. Questo passaggio è fondamentale, poiché la scelta del mezzo di impugnazione non è libera, ma è stabilita dalla legge processuale. Un errore in questa fase può portare all’inammissibilità del ricorso.

La Corte ha stabilito che l’impugnazione doveva essere considerata non come un ricorso per cassazione, bensì come un appello, e di conseguenza ha disposto la trasmissione degli atti alla Corte di Appello di Salerno, quale giudice competente per la trattazione.

Le motivazioni della decisione sulla revoca della misura di prevenzione

La decisione della Corte si fonda su un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità. Citando diverse pronunce conformi, tra cui una delle Sezioni Unite, i giudici hanno ribadito che l’art. 10 del D.Lgs. n. 159 del 2011 (il cosiddetto Codice antimafia) individua nell’appello il mezzo di impugnazione specifico avverso i provvedimenti con cui il tribunale decide sulle istanze di revoca o modifica della sorveglianza speciale.

Il ricorso per cassazione è un rimedio straordinario, esperibile solo per violazioni di legge e non per un riesame dei fatti. L’appello, invece, consente una valutazione più ampia, sia in fatto che in diritto, che è proprio ciò che la difesa chiedeva: una nuova valutazione della pericolosità sociale alla luce della definitiva assoluzione. Pertanto, la Corte non ha fatto altro che applicare rigorosamente la norma, ripristinando il corretto iter processuale e garantendo al ricorrente il doppio grado di giudizio di merito.

Conclusioni e implicazioni pratiche

Questa ordinanza, pur non decidendo nel merito, offre un’importante lezione di diritto processuale. Sottolinea che la forma è sostanza e che la scelta del corretto strumento di impugnazione è essenziale per la tutela dei diritti. Invece di dichiarare l’inammissibilità del ricorso, la Cassazione ha preferito la via della riqualificazione, consentendo al processo di proseguire davanti al giudice naturale previsto dalla legge: la Corte di Appello. Sarà ora quest’ultima a dover stabilire se l’assoluzione definitiva sia sufficiente a far venir meno la pericolosità sociale del soggetto e a giustificare, di conseguenza, la revoca della misura di prevenzione.

Qual è il rimedio corretto per impugnare un provvedimento che nega la revoca di una misura di prevenzione come la sorveglianza speciale?
Secondo la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione, il mezzo di impugnazione corretto è l’appello alla Corte di appello competente, come previsto dall’art. 10 del d.lgs. 159/2011 (Codice antimafia).

Una sentenza definitiva di assoluzione può essere rilevante per chiedere la revoca di una misura di prevenzione?
Sì, la difesa ha basato la sua istanza proprio sul passaggio in giudicato di una sentenza di assoluzione, sostenendo che essa fa venire meno i presupposti su cui si fondava l’attualità della pericolosità sociale del soggetto.

Cosa ha deciso la Corte di Cassazione in questo caso specifico?
La Corte non ha deciso nel merito della revoca della misura, ma ha riqualificato l’impugnazione da ricorso per cassazione ad appello, trasmettendo gli atti alla Corte di appello di Salerno, che è l’organo competente a decidere sulla richiesta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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