Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30367 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30367 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Luogo di Catanzaro il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 14/12/2023 del Tribunale di Catanzaro
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste scritte del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 14/12/2023, il Tribunale di Catanzaro rigettava l’appello ex art. 310 cod.proc.pen. proposto nell’interesse di COGNOME NOME avverso l’ordinanza emessa in data 21/07/ 2023 dal Tribunale di Catanzaro, con la quale era stata respinta l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia cautelare in carcere emessa nei confronti del predetto in relazione ai contestati reati di associazione per delinquere e in materia tributaria.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME, a mezzo del difensore di fiducia, articolando un unico motivo, con il quale deduce violazione dell’art. 274 cod.proc.pen. e vizio di motivazione.
Argomenta che il Tribunale, con motivazione generica ed illogica, aveva rigettato l’appello difensivo nonostante il quid novi, costituito dal forte ridimensionamento del quadro cautelare a seguito della sentenza pronunciata in primo grado, con la quale il COGNOME, soggetto incensurato, era stato riconosciuto colpevole di soli n. 8 capi di imputazione a fronte dei n. 34 capi di imputazione contestati; evidenzia, inoltre, che alcuni coindagati, con profili comuni al ricorrente e che avevano avuto pene vicine a quella inflitta al COGNOME, si trovavano in stato di libertà o agli arresti domiciliari; rimarca che, nella speci non può considerarsi sussistente il pericolo di reiterazione del reato in quanto l’associazione era stata di fatto smantellata e non vi era prova concreta che il ricorrente potesse nuovamente porre in essere condotte della medesima tipologia e rimettersi in contatto con gli altri coimputati.
Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Va ricordato che, secondo il consolidato orientamento di legittimità, la decisione del giudice sull’appello avverso l’ordinanza emessa a seguito di istanza di revoca o sostituzione di una misura cautelare è vincolata – oltre che dall’effetto devolutivo proprio di siffatto tipo di impugnazione, che circoscrive la cognizione entro i · confini tracciati dai motivi – anche dalla natura del provvedimento impugnato, che è del tutto autonomo rispetto all’ordinanza impositiva della misura.
Invero, in sede di appello avverso la ordinanza di rigetto della richiesta di revoca di misura cautelare personale, il Tribunale non è tenuto a riesaminare la
sussistenza RAGIONE_SOCIALE condizioni legittimanti il provvedimento restrittivo, dovendosi limitare al controllo che l’ordinanza gravata sia giuridicamente corretta e adeguatamente motivata in ordine ad eventuali allegati nuovi fatti, preesistenti o sopravvenuti, idonei a modificare apprezzabilmente il quadro probatorio o a escludere la sussistenza di esigenze cautelari, ciò in ragione dell’effetto devolutivo dell’impugnazione e della natura autonoma del provvedimento impugnato (Sez.6, n. 45826 del 27/10/2021,Rv. 282292 – 01; Sez. 2, n. 18130 del 13/04/2016, Rv. 266676; Sez.3, n. 43112 del 07/04/2015,Rv.265569 – 01 n. 43112 del 2015 Rv. 265569).
Nella specie, il Tribunale ha evidenziato come il quadro cautelare consolidatosi non risultava scalfito dagli elementi addotti dalla difesa a fondamento della richiesta di sostituzione della misura cautelare in atto.
In particolare, la difesa evidenziava, quale elemento di novità, la sentenza emessa a carico del COGNOME in data 14/07/2023, con la quale il predetto, all’esito del giudizio di primo grado, era stato condannato alla pena di otto anni di reclusione in relazione ad otto dei più numerosi capi d’imputazione, risultando, quindi, ridimensionata l’originaria imputazione ed il quadro cautelare.
Ebbene, il Collegio cautelare ha spiegato come tale dato, al contrario, non potesse giustificare la revoca o sostituzione della misura, evidenziando come fosse stata riconosciuta la penale responsabilità del COGNOME in relazione ad ipotesi delittuose sostanziatesi nella partecipazione a due associazioni per delinquere finalizzate alla commissione di reati di trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio e in materia tributaria e connessi reati fine; inoltre, ha evidenziato che i fatti accertati erano risultati aggravati dalla finalità di agevolare consorter mafiose (di San Leonardo di Cutro, Roccabernarda e Gagliano), le quali avevano beneficiato di parte dei profitti generati dagli apparati associativi.
Il Tribunale ha, quindi, rimarcato come la gravità dei reati per i quali era intervenuta condanna, le modalità RAGIONE_SOCIALE condotte, il profilo personologico dell’imputato, desunto dal contesto altamente delinquenziale e professionale di perpetrazione dei fatti nonchè dalla dimensione mafiosa RAGIONE_SOCIALE operazioni fraudolente, costituivano tutti elementi che consentivano di ritenere non mutato il consolidato quadro cautelare.
Trattasi di motivazione adeguata e immune da vizi logici ed in linea con il suesposto principio di diritto.
Correttamente, poi, il Tribunale ha ritenuto elementi privi di rilevanza sopravvenuta le prospettazioni difensive relative allo stato di incensuratezza dell’imputato, al tempo decorso dai fatti e alla comparazione con le posizioni di altri coimputati.
Costituisce, infatti, principio consolidato quello secondo il quale, in tema di misure cautelari personali, l’attenuazione o l’esclusione RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari non può essere desunta dal solo decorso del tempo di esecuzione della misura, dovendosi valutare ulteriori elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all’inizio del trattamento cautelare (Sez.5, n.39792 del 29/05/2017, Rv.271119; Sez. 2 n. 1858, dep.17/01/2014 Rv.258191; Sez.1, n.24897del 10/05/2013, Rv.255832; Sez. 5, n. 16425, dep.27/04/2010, Rv.246868, Sez.2, n. 39785 dep. 26/10/2007, Rv.238763); né rileva il cd “tempo silente” trascorso dalla commissione del reato, in quanto tale circostanza deve essere oggetto di valutazione, a norma dell’art. 292, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., da parte del giudice che emette l’ordinanza di custodia cautelare, mentre analoga valutazione non è richiesta dall’art. 299 cod. proc. pen, ai fini della revoca o sostituzione della misura (Sez. 2 n. 47120 del 04/11/2021, Rv. 282590 – 01; Sez.2,n. 12807 del 19/02/2020, Rv.278999 – 01; Sez.2, n.46368 del 14/09/2016, Rv.268567 – 01; Sez.2, n.47416 del 30/11/2011, Rv.252050 – 01).
L’incensuratezza, inoltre, invocata dal ricorrente quale elemento favorevole che non sarebbe stato considerato ai fini del giudizio di persistenza RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari, non assume rilievo dirimente.
Si è, a tal proposito, affermato che, ai fini della valutazione in ordine all sussistenza dell’esigenza cautelare del pericolo di recidiva ed alla scelta della misura coercitiva in concreto adeguata a soddisfarla, la pregressa incensuratezza dell’indagato ha valenza di mera presunzione relativa di minima pericolosità sociale, che ben può essere superata valorizzando l’intensità del pericolo di recidiva desumibile dalle accertate modalità della condotta in concreto tenuta, come evidenziate nell’ordinanza impugnata (Sez.5, n.42784 del 23/05/2016, Rv.267956).
Né coglie nel segno, infine, la doglianza, anche di contenuto del tutto generico, relativa al diverso trattamento cautelare dei coimputati.
In materia cautelare, infatti, la posizione processuale di ciascuno dei coindagati o coimputati è autonoma dal momento che la valutazione da esprimere ai sensi dell’art. 274 cod. proc. pen., ed in particolare quella di cui alla lett. c tale norma, si fonda, oltre che sulla diversa entità del contributo materiale e/o morale assicurato da ciascuno dei correi alla realizzazione dell’illecito, anche su profili strettamente attinenti alla personalità del singolo, di tal che del tu giustificata può essere l’adozione di regimi difformi pur a fronte della contestazione di un medesimo fatto reato (Sez.6 ,n.39346 del 03/07/2017, Rv.271056 – 01, in motivazione).
Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp.att. cod.proc.pen.
Così deciso il 19/04/2024