Revoca Misura Alternativa: Legittimo il Divieto di 3 Anni per Nuove Richieste
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su una questione cruciale nell’ambito dell’esecuzione della pena: il divieto triennale di accedere a nuove misure alternative a seguito della revoca misura alternativa precedentemente concessa. La Corte ha ribadito la piena legittimità costituzionale di tale preclusione, respingendo le censure sollevate da un condannato.
I Fatti del Caso
Un uomo, condannato in via definitiva, si era visto revocare una misura alternativa con un provvedimento del Tribunale di Sorveglianza. Successivamente, aveva presentato nuove istanze per ottenere l’affidamento in prova e la detenzione domiciliare. Il Presidente del Tribunale di Sorveglianza competente dichiarava tali richieste inammissibili, poiché non era ancora trascorso il periodo di tre anni dalla precedente revoca, come previsto dall’art. 58-quater dell’Ordinamento Penitenziario.
Contro questa decisione, il condannato proponeva ricorso per Cassazione, sollevando una questione di legittimità costituzionale della norma ostativa, ritenendola in contrasto con la funzione rieducativa della pena.
La Questione della Preclusione dopo la Revoca Misura Alternativa
Il cuore della controversia risiede nell’articolo 58-quater dell’Ordinamento Penitenziario. Questa disposizione stabilisce che un condannato, al quale sia stata revocata una misura alternativa, non può presentare una nuova richiesta per gli stessi benefici per un periodo di tre anni.
Il ricorrente sosteneva che questo automatismo fosse irragionevole e lesivo del principio costituzionale secondo cui le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. A suo avviso, la norma creerebbe una presunzione assoluta di inaffidabilità, impedendo una valutazione attuale e personalizzata della sua situazione.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno chiarito che la questione di legittimità costituzionale era già stata affrontata e risolta in passato dalla Corte Costituzionale, che ha sempre ritenuto la norma conforme alla Costituzione.
Le Motivazioni della Decisione
La Cassazione ha spiegato che la preclusione triennale non è una misura irragionevole, ma rappresenta una scelta ponderata del legislatore. La revoca misura alternativa non è un evento casuale, ma la conseguenza di specifiche condotte del condannato che violano le prescrizioni imposte. Pertanto, il divieto non si basa su presunzioni legate al tipo di reato commesso o allo status di recidivo, ma sul percorso concreto del soggetto durante l’esecuzione della pena.
La Corte ha inoltre sottolineato come la normativa si sia evoluta. Oggi, di fronte a una violazione, il giudice di sorveglianza non ha come unica opzione la revoca. Può, infatti, disporre la prosecuzione della misura o la sua sostituzione con un’altra, riservando la revoca ai casi di violazione più grave. Questo rende la decisione di revocare un atto che certifica un fallimento significativo nel percorso rieducativo, giustificando così la preclusione temporanea a nuovi benefici.
Il rigore della disciplina, secondo la Corte, rientra nella discrezionalità del legislatore, al quale spetta valutare se e come attenuare tale divieto. La preclusione è quindi espressione di un bilanciamento tra la funzione rieducativa della pena e l’esigenza di responsabilizzare il condannato rispetto agli impegni assunti con la concessione della misura alternativa.
Le Conclusioni
L’ordinanza conferma un principio consolidato: la revoca misura alternativa comporta una conseguenza seria e non eludibile, ovvero l’impossibilità di accedere a benefici simili per un triennio. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende. Questa decisione riafferma che la fiducia concessa dallo Stato attraverso le misure alternative deve essere corrisposta con un comportamento responsabile, la cui violazione giustifica un periodo di ‘sospensione’ dall’accesso a ulteriori benefici.
È possibile richiedere una nuova misura alternativa subito dopo che una precedente è stata revocata?
No, l’art. 58-quater dell’Ordinamento Penitenziario prevede un periodo di preclusione di tre anni. Durante questo lasso di tempo, il condannato non può presentare nuove istanze per ottenere gli stessi benefici.
Il divieto di tre anni dopo la revoca di una misura alternativa è contrario alla Costituzione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, che richiama precedenti sentenze della Corte Costituzionale, questa preclusione è una scelta discrezionale e non irragionevole del legislatore, non in contrasto con la funzione rieducativa della pena, poiché consegue a un comportamento negativo del condannato stesso.
Quali sono le conseguenze se un ricorso contro il diniego basato su questa preclusione viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, data la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 594 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 594 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CEFALU il 12/10/1964
avverso l’ordinanza del 22/05/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di PALERMO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
11.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso ed il decreto impugnato.
Rilevato che il ricorso è manifestamente infondato;
Premesso che NOME COGNOME ha sollevato questione di legittimità costituzionale con riferimento alli art. 58-quater Ord. pen., in forza del quale il Presidente del Tribunale di sorveglianza di Palermo ha dichiarato inammissibili le sue richieste di affidamento in prova e di detenzione domiciliare non essendo trascorso il triennio dalla revoca della misura alternativa disposta nei suoi confronti con ordinanza del 13 ottobre 2021;
Considerato che tale questione è manifestamente infondata come, peraltro, già statuito dalla Corte costituzionale con le sentenze nn.87/2004 e 173/2021;
Rilevato, infatti, che la preclusione censurata costituisce espressione della discrezionalità legislativa, non in contrasto con la funzione rieducativa della pena e non irragionevole, in quanto discende da una valutazione caso per caso del giudice di sorveglianza, effettuata sulla base non già di presunzioni legate al titolo di reato o allo status di recidivo, ma del percorso compiuto dal condannato durante l’esecuzione della pena, e in particolare di specifiche condotte di violazione delle prescrizioni inerenti alla misura alternativa, tenuto conto anche della possibilità oggi offerta al giudice dal nuovo testo dell’art. 51ter , comma 1, Ord. pen. di disporre in alternativa alla revoca, riservata ai casi più gravi, la prosecuzione della misura o la sua sostituzione. Resta, peraltro, affidata al legislatore la valutazione se e in che misura il rigore della disciplina possa essere attenuato, anche in relazione al rischio che il divieto triennale conduca, nella pratica, a rendere improbabile non solo un secondo accesso alle misure alternative, ma anche il godimento dei più limitati benefici del permesso premio e del lavoro all’esterno;
Ritenuto che deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, in Roma il 7 dicembre 2023.