Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22085 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22085 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CHIEVE il 30/06/1961
avverso la sentenza del 07/06/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Presidente NOME COGNOME uditi il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso e l’avv.to NOME COGNOME che ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 7/6/2024 la Corte d’appello di Brescia confermò la sentenza del Tribunale di Cremona che aveva ritenuto NOME NOME responsabile del reato di cui all’art. 110 e 349 cod. pen. e l’aveva condannato alla pena di mesi sette di reclusione ed C 150,00 di multa.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, COGNOME che, con il primo motivo, denuncia la violazione “degli agli artt. 464 octies c.p.p., 178, lett. c) c.p.p. art. 179 comma 1 c.p.p. ult. part Si lamenta che la sospensione del processo per messa alla prova era stata revocata
in un’udienza “fissata per una diversa finalità”, essendo stata la misura adottata all’udienza del 29/6/2022, originariamente fissata “per la verifica dell’esito della prova”. Si sostiene, quindi, la revoca, disposta senza la “preventiva interlocuzioni delle parti processuali appositamente avvisate integrava una nullità ex “art. 178, comma 1 lett. c) cpp … 179 cpp comma 1, ult. parte”.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione di legge sostanziale e processuale e il vizio di motivazione in relazione “agli arti 131 bis c.p., 62 bis c.p e 657 cpp”. Si assume che i sigilli avevano a oggetto solo i beni immobili e non i libri contabili che vi si trovavano custoditi e che l’imputato aveva comunicato alla Pg che avrebbe provveduto a mettere al riparo la documentazione contabile per evitare che potesse andare perduta, stante lo stato di completo abbandono del capannone in cui si trovava collocata. Si deduce, quindi, che la Corte aveva negato l’applicazione dell’art. 131 bis cod. pen. per il fatto che era stata sottratta documentazione contabile, così facendo discendere il diniego dalla stessa condotta integrante il reato e senza considerare che l’imputato si era introdotto nel capannone proprio per “mettere in sicurezza la documentazione” e che aveva chiesto l’ammissione alla messa alla prova. Si lamenta, ancora, che non erano stati scomputati, ai sensi dell’art. 657 bis cod. proc. pen., i quattro mesi di prova svolti al momento della revoca.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile giacché articolato in motivi generici, non confrontandosi con il percorso logico del provvedimento impugnato, o palesemente privi di fondamento.
In relazione all’eccepita violazione di legge processuale, si osserva che l’udienza del 29/6/2022 era stata fissata proprio per verificare l’esito della messa alla prova e che, pertanto, la valutazione prevista non avrebbe potuto prescindere del titolo custodiale che aveva determinato l’interruzione della messa alla prova. Tant’è che all’udienza nessuna eccezione venne formulata in ordine alla lesione del diritto di difesa.
Questa Corte, in una fattispecie del tutto simile a quella in esame, ha rilevato che “in tema di sospensione del procedimento con messa alla prova, il rinvio dell’udienza disposto “per la verifica della messa alla prova”, senza un esplicito riferimento ai presupposti per disporne la revoca, prefigurando gli opposti epiloghi del procedimento speciale, è idoneo a garantire il contenuto informativo dell’avviso di cui all’art. 464-octies cod. proc. pen. e a salvaguardare i diritti di difesa rispe
all’adozione di una revoca “a sorpresa” (Sez. 6, n. 10083 del 04/02/2025, Sangermano, Rv. 287707 – 01).
A ciò si aggiunga che, a tutto voler concedere, si sarebbe in presenza di una nullità generale a regime intermedio ex art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. che doveva essere eccepita dinanzi alla Corte territoriale. Dal non contestato riepilogo dei motivi di appello, riportato nella sentenza impugnata, emerge che la questione non aveva costituito motivo di appello. Posto che il ricorrente avrebbe avuto il dovere processuale di contestare specificamente, in ricorso, il riepilogo dei motivi di gravame operato dalla Corte di appello nella sentenza impugnata, se ritenuto incompleto o comunque non corretto (cfr: Sez. II, n. 9028 del 5 novembre 2013, dep. 25 febbraio 2014, CED Cass. n. 259066), e posto che alcuna contestazione al riguardo è stata formulata, deve inferirsi che la censura in scrutinio è stata tardivamente sollevata, non essendo deducibili per la prima volta in sede di legittimità vizi non dedotti in precedenza come motivo di appello (in tal senso, ex multis, Sez. V, n. 48703 del 24 settembre 2014, CED Cass. n. 261438).
Manifestamente infondata risulta la censura relativa al diniego di applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto. Al riguardo, occorre innanzitutto richiamare la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 55107 dell’08/11/2018, Rv. 274647 e Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018, Rv. 273678), secondo cui, ai fini dell’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 13 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità dell’offesa deve essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133 comma 1 cod. pen., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente anche la sola indicazione di quelli ritenuti rilevanti.
In applicazione di tale premessa interpretativa, deve escludersi che, nella vicenda in esame, il mancato riconoscimento dell’istituto invocato dalla difesa riveli criticità, avendo la Corte di appello rimarcato la particolare offensività dell condotta di COGNOME il quale si era introdotto nel capannone sottoposto a sequestro al precipuo scopo di sottrarre la documentazione contabile della società fallita per la cui “integrità e disponibilità il sequestro era stato disposto”.
Orbene, il percorso motivazionale seguito dai giudici di merito, in quanto fondato su considerazioni tutt’altro che illogiche, resiste senz’altro alle obiezion difensive, formulate invero muovendo da una ricostruzione palesemente inverosimile, rimasta priva di qualsivoglia riscontro probatorio, avendo il Tribunale osservato che: la mail esibita in giudizio, “asseritamente inviata dal COGNOME all’amministratore dei beni in sequestro, in data 6/2/2017, con la quale avvertiva che le porte di accesso ai capannoni erano state forzate”, era solo “un pezzo di
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carta compilato al computer, senza prova dell’invio, della ricezione e della genuinità della datazione”; l’imputato avrebbe comunque potuto richiedere
l’autorizzazione a spostare la documentazione senza necessità di commettere un grave reato.
3. Anche in relazione alle censure relative al trattamento sanzionatorio non sono ravvisabili i vizi denunciati.
La Corte d’appello ha giustificato il diniego delle attenuanti generiche sottolineando i precedenti penali dell’imputato, l’inconsistenza dell’argomento
difensivo in ordine alla minima gravità del reato e il carattere neutro di una condotta processuale che aveva visto l’imputato assente. Tardivo risulta, inoltre,
l’argomento incentrato sulla condotta serbata dall’imputato durante il periodo di messa alla prova, non risultando tale periodo oggetto del gravame.
Inconferente, infine, risulta il riferimento all’art. 657 bis cod. proc. pen risultando lo scomputo del periodo corrispondente alla prova eseguita proprio della
fase esecutiva.
In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle doglianze formulate, il ricorso proposto deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese de procedimento.
Tenuto conto infine della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 28/5/2025