Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26617 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26617 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Napoli il 24/04/1964
avverso l’ordinanza del 30/01/2025 del Tribunale di sorveglianza di Roma
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato l’appello avverso il provvedimento con il quale il Magistrato di sorveglianza in sede, in data 25 gennaio 2024, ha dichiarato inammissibile la richiesta di NOME COGNOME di revoca della misura di sicurezza della libertà vigilata.
1.1. Il Magistrato rilevava che il collaboratore di giustizia, condannato alla pena di anni trenta di reclusione per delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso, omicidio in concorso e violazione della legge armi, aveva già presentato analoga istanza dichiarata inammissibile, aveva a suo carico precedenti penali fin dal 1992; rilevava altresì che il riesame poteva essere disposto, quanto alla pericolosità sociale, soltanto in prossimità del fine pena, reputato ancora lontano, perché indicato al 2036 . Sicché l’istanza veniva
dichiarata inammissibile con trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica competente, ai fini della nuova proposizione in prossimità della scadenza dell’espiazione della pena definitiva.
1.2. Con l’appello il difensore aveva insistito per l’accoglimento dell’istanza originaria ritenendo cessata ogni forma di pericolosità sociale tenuto conto che, dal 2022, COGNOME era stato ammesso alla liberazione condizionale per la qualità e l’utilità della collaborazione prestata, l’ottimo esito del trattamento penitenziario che aveva fatto ritenere sussistente il requisito del sicuro ravvedimento.
1.3. Il Tribunale rigettava l’appello ritenendo che, proprio in ragione dell’attuale sottoposizione di COGNOME alla liberazione condizionale, si rendeva necessario attendere il decorso della libertà vigilata accessoria ai sensi degli artt. 177, 230 n. 2 cod. pen., visto che, al termine, in mancanza di cause di revoca della liberazione condizionale, la pena era estinta con revoca delle misure di sicurezza personali.
Propone tempestivo ricorso per cassazione il condannato, per il tramite del difensore, affidando le censure ad un unico motivo con il quale si deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento agli artt. 203, 207, 208, 176 cod. pen. e 16nonies l. n. 82 del 1991.
Si deduce che, nel 2020, è stata rigettata analoga istanza ma il ricorrente, in quel momento, era ancora in regime di detenzione domiciliare con fine pena fissato al 2036. Il Magistrato di sorveglianza , in quell’occasione, aveva concesso il nulla osta al conseguimento della patente di guida ma, nonostante i numerosi solleciti, la Prefettura non aveva consentito a COGNOME di conseguire la patente della quale il ricorrente, però, necessitava per ragioni di lavoro.
Si segnala che, con la nuova istanza al Magistrato di sorveglianza, si erano sottoposte al vaglio situazioni di fatto diverse, posto che, con riferimento alla liberazione condizionale, il fine pena era stato fissato al 2026, in virtù del regime derogatorio.
Sicché, a parere del ricorrente, il provvedimento appellato, nel rimandare la valutazione della pericolosità sociale, non aveva tenuto conto del diverso, più prossimo, fine pena rideterminato per effetto della concessione della liberazione condizionale.
Si riporta integralmente l’atto di appello a fronte del quale si assume che il Tribunale di sorveglianza ha motivato in contrasto con la normativa di riferimento, finendo per disattendere la ratio della legge posto che ha reputato non revocabile, anticipatamente, la misura di sicurezza personale visto il contemporaneo regime di liberazione condizionale, facendo di tale regime una causa ostativa.
Tuttavia, non si comprende come mai il detenuto, reputato meritevole tanto da beneficiare della liberazione condizionale, debba essere penalizzato attendendo la fine della pena per la concessa liberazione condizionale.
Si sostiene, invero, che la legge non prevede alcuna limitazione preventiva alla possibile revoca anticipata della misura di sicurezza per chi si trovi in misura alternativa. Inoltre, si sostiene che, nella legge, non vi è traccia della limitazione apposta dal Tribunale ma l’ ormai risalente intervento della Corte costituzionale n. 110 del 1974 dimostra che, per ottenere la revoca anticipata della misura di sicurezza, non è necessario neanche che sia trascorso il periodo minimo di durata, cosicché l’interessato può richiederla in ogni tempo, in assenza di pericolosità sociale. Infatti, la revoca anticipata della misura rimane esclusa, a norma dell’art. 207 cod. pen., solo se la persona non ha cessato di essere socialmente pericolosa; sicché risulta palese che la revoca della misura di sicurezza è questione che attiene unicamente al merito delle valutazioni che il Giudice deve operare onde stabilire se persista o meno la pericolosità sociale, senza altra condizione.
Il condannato deve aver dimostrato di essersi ravveduto in termini di certezza per fruire della liberazione condizionale. Sicché, non può immaginarsi una residua concreta pericolosità sociale per chi abbia ottenuto detta misura, dopo un percorso esemplare riconosciuto dallo stesso Tribunale di sorveglianza che ha adottato l’ordinanza ammissiva. Infine, si segnala che la liberazione anticipata è stata riconosciuta per tutti i trenta semestri di pena sofferta.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per aspecificità in relazione all ‘ indicazione dell’ interesse attuale all’impugnazione .
1.1. Va premesso che, nel caso al vaglio, vige a carico del ricorrente la misura di sicurezza della libertà vigilata disposta , ai sensi dell’art. 230 n. 2 cod. pen., dal Tribunale di sorveglianza di Roma con ordinanza resa in data 11 novembre 2022, come misura accessoria rispetto alla liberazione, dunque disposta in virtù del l’intrapreso percorso di collaborazione con la giustizia, sulla base del dettato normativo di cui all’art. 16nonies del d.l. n.8 del 1991, convertito dalla legge n. 82 del 1991 e successive modifiche.
È noto che la durata della libertà vigilata, in tal caso, dipende dal periodo ancora da espiare all’atto della concessione della liberazione condizionale e che, se si trasgredisce agli obblighi della misura di sicurezza, si produce l’effetto della
revoca della liberazione condizionale , ai sensi dell’art. 177, comma primo, cod. pen.
A carico di COGNOME poi, come esposto dallo stesso ricorrente, è stata disposta la misura di sicurezza della libertà vigilata in sede di cognizione, misura indicata nell’atto di appello proposto al Tribunale come mai resa eseguibile ma che, riguardando una condanna, comunque, ricompresa nel provvedimento di determinazione di pene concorrenti in esecuzione, stava pregiudicando l’inserimento lavorativo del condannato, perché reputata ostativa al conseguimento della patente di guida dagli organi preposti al rilascio.
1.2. Ciò posto, si osserva che il ricorrente ha chiesto la revoca anticipata della libertà vigilata, una prima volta, con istanza respinta dal Magistrato di sorveglianza con provvedimento non impugnato – che concedeva, comunque, il nulla osta al rilascio della patente di guida – nonché una seconda volta, con provvedimento appellato dinanzi al Tribunale di sorveglianza che ha deciso con l’ordinanza di rigetto oggetto del ricorso per cassazione al vaglio nella presente sede.
Infine, va precisato che il ricorso riguarda il condannato, collaboratore di giustizia già ammesso alla liberazione condizionale, con pena in esecuzione pari di anni trenta di reclusione e pena residua, indicata dalla difesa, in poco più di un anno.
Ciò posto si osserva, quanto alla libertà vigilata quale misura accessoria rispetto alla liberazione condizionale, che non può prescindersi dalla considerazione – operata già nella decisione n. 29728 del 6 luglio 2011 di questa Sezione e nella sentenza n. 22381 del 16 dicembre 2013 – per cui il rapporto esecutivo della pena detentiva è sostituito dal rapporto esecutivo della libertà vigilata applicata ai sensi dell’art. 230 n. 2, cod. pen. (conf. Corte Cost. da ultimo n. 66 del 2023).
Con tale applicazione (C. Cost. n. 282 del 1989) si realizza una fattispecie estintiva e costitutiva insieme, in virtù della quale il condannato è, da un lato, formalmente scarcerato e svincolato dalla misura privativa della libertà personale consistente nella detenzione, dall’altro, sottoposto alla misura limitativa della libertà personale consistente nella libertà vigilata e assume, così, un nuovo, diverso status (quello di vigilato in libertà) che implica la sottoposizione al controllo di altri, diversi organi statali. Ma – si è chiarito – il rapporto esecutivo resta unico e la legge prevede la sua estinzione in rapporto a due fattori: 1) l’assenza di cause di revoca (tra cui rientra l’ipotesi di commissione di un nuovo delitto della stessa indole durante il periodo di sottoposizione); 2) il decorso del tempo, fissato nella misura massima di anni cinque (cfr. Sez. 1, n. 26542 -2023 del 8/03/2023, Palazzo).
Detto limite di durata dei cinque anni, secondo la decisione citata, deve essere ritenuto applicabile anche alla particolare ipotesi del soggetto ammesso alla liberazione condizionale in virtù del percorso di collaborazione con la giustizia – sulla base del dettato normativo di cui all’art. 16nonies del d.l. n.8 del 1991, convertito dalla legge n. 82 del 1991, nel testo risultante dalle modifiche apportate con legge n. 45 del 2001 – lì dove la pena in esecuzione sia quella dell’ergastolo e, per ragioni di giustizia sostanziale, stante un difetto di coordinamento normativo, anche nel caso della pena temporanea massima di trent’anni. Sul punto, questa Corte ha già avuto modo di evidenziare (cfr. Sez. 1, n. 29728 del 06/07/2011, COGNOME, Rv. 250557) come il quadro normativo concernente la disciplina dei tempi di sottoposizione alla liberazione condizionale e alla libertà vigilata, originariamente prevista esclusivamente dagli artt. 176 e 177 cod. pen., sia stato profondamente inciso dalla legge n. 45 del 2001 e dalla disciplina introdotta mediante il citato art. 16nonies .
Nel vigore della disciplina codicistica, la liberazione condizionale e il connesso periodo di sottoposizione alla libertà vigilata dovevano corrispondere al residuo di pena temporanea rimanente e il limite massimo di cinque anni fissato dall’art. 177 cod. pen. per il condannato all’ergastolo corrispondeva al tetto massimo della pena da espiare, condizionante l’ammissione al beneficio, per il condannato a pena temporanea massima, dall’art. 176 cod. pen. Il trattamento del condannato all’ergastolo, che non poteva essere ammesso alla liberazione condizionale prima del decorso di ventisei anni, al momento della conversione della pena perpetua in misura alternativa era, in altri termini, avvicinato a quello del condannato a pena temporanea massima (trent’anni ex art. 78, primo comma, n.1, cod. pen.) che non poteva godere del beneficio prima di avere scontato venticinque anni.
A seguito dell’introduzione dell’art. 16nonies del d.l. n.8 del 1991, la liberazione condizionale può essere concessa ai collaboratori «anche in deroga alle vigenti disposizioni, ivi comprese quelle relative ai limiti di pena di cui agli articolo 176 del codice penale», purché «dopo la espiazione di almeno un quarto della pena inflitta ovvero, se si tratta di condannati all’ergastolo, dopo l’espiazione di almeno dieci anni di pena». Come è stato osservato nell’arresto da ultimo citato, è sembrato così evidente che anche per i condannati a pena temporanea sia venuto meno l’ulteriore limite di pena stabilito con riferimento a quella ancora da eseguire. Secondo la giurisprudenza nettamente prevalente, specie di merito, l ‘ espressa deroga alle disposizioni dell’art. 176 cod. pen. non ha comportato però alcun effetto su quelle dell’art. 177, comma secondo, cod. pen., secondo cui, decorso tutto il tempo della pena inflitta, ovvero cinque anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale, se trattasi di condannato
all’ergastolo, la pena rimane estinta e sono revocate le misure di sicurezza personali.
Per ragioni di eguaglianza sostanziale, se ne è dedotto che la durata massima di cinque anni della liberazione condizionale per i condannati all’ergastolo, ritenuta tuttora vigente, debba valere anche per i condannati a pene temporanee ancora da espiare superiori a cinque anni; nonostante, come detto, la durata della liberazione condizionale fissata dall’art. 177 cod. pen. fosse direttamente collegata ai tetti di pena ancora da espiare indicati dall’art. 176 cod. pen., travolti dalla legislazione. Corollario di tale principio è che l’ammissione alla liberazione condizionale per i collaboratori di giustizia può produrre l’effetto di “ridurre” una condanna all’ergastolo a una restrizione massima di quindici anni (dieci anni di detenzione e cinque di liberazione condizionale con libertà vigilata) e una condanna a trent’anni di reclusione (quale quella in esecuzione per l ‘odierno ricorrente) a una restrizione di dodici anni e sei mesi (sette anni e mezzo di detenzione e cinque di liberazione condizionale), decorsi i quali il condannato ha diritto a vedersi dichiarare estinta la pena, ove ne sussistano le altre condizioni.
2.1. Dunque, con riferimento alla libertà vigilata vigente quale misura accessoria rispetto alla liberazione condizionale concessa al condannato, a mente dell’art. 177 cod. pen. si osserva che questa, comunque, al termine della pena irrogata, ovvero decorsi i cinque anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale, sarà revocata ai sensi del citato art. 177, comma secondo, cod. pen. in presenza delle indicate altre condizioni.
2.2. Quanto alla libertà vigilata disposta in sede di cognizione, rispetto all’invocata revoca, non viene illustrato alcun interesse attuale, tenuto conto, in primo luogo, che comunque il paventato pregiudizio allo svolgimento di attività lavorativa risulta rimosso per effetto del già concesso nulla osta, da parte dell’Autorità giudiziaria, al conseguimento della patente di guida. In secondo luogo, non viene specificato un ulteriore interesse attuale ad ottenere la revoca anticipata di quella misura che lo stesso ricorrente indica, peraltro, come non eseguita. Detta revoca, comunque, non condurrebbe ad alcun vantaggio concreto per il condannato, tenuto conto della contemporanea vigenza della misura di sicurezza accessoria alla liberazione condizionale in atto a suo carico.
Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile per difetto di interesse attuale all ‘impugnazione, atteso che non indica quale sia e possa essere la concreta utilità perseguita (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, COGNOME, Rv. 251693).
Segue alla pronuncia, la condanna alle spese processuali, nonché al pagamento dell’ulteriore somma indicata in dispositivo, in favore della Cassa
delle ammende, non ricorrendo le condizioni previste dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, importo che si ritiene di determinare equitativamente, tenuto conto dei motivi devoluti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 4 aprile 2025