Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 651 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 651 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BARLETTA il 15/09/1978
avverso l’ordinanza del 07/05/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME; lette/le conclusioni del PG 5 -P GLYPH , gite tua, GLYPH g ftio ( utti tA A) GLYPH 1 – r 4 ei
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di sorveglianza di Bari ha accolto la richiesta di revoca della liberazione anticipata concessa a NOME COGNOME a seguito della sentenza di condanna, relativa al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, accertato dall’agosto 2009 e sino all’attualità (sentenza di primo grado del 20 febbraio 2020), resa dalla Corte di appello di Bari, divenuta irrevocabile il 3 ottobre 2023.
2.Propone tempestivo ricorso per cassazione il condannato, per il tramite del difensore, affidando le proprie doglianze a tre motivi, di seguito riassunti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si denuncia assenza di motivazione circa l’individuazione delle condotte delittuose poste in essere dopo il beneficio della liberazione anticipata.
2.2 Con il secondo motivo si denuncia mancata valutazione dell’incidenza delle condotte illecite sulla decisione con la quale sono stati concessi i semestri di liberazione anticipata.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia la mancata considerazione dello stato di detenzione ininterrotta, successivo alla concessione del beneficio della liberazione anticipata.
L’ordinanza impugnata si fonda esclusivamente sull’accertamento dell’irrevocabilità della sentenza di condanna per reato associativo e della data di commissione del fatto, dal mese di agosto del 2009 all’attualità.
Il ricorrente, però, ha fruito di più periodi di liberazione anticipata, compresi tra il 25 settembre 2015 e il 12 settembre 2019.
La motivazione del provvedimento impugnato non rende conto, in alcuna parte, di condotte tali da poter ritenere la perdurante partecipazione all’associazione dell’imputato fino alla sentenza di primo grado. Invece, sono state trascurate le motivazioni della sentenza di primo grado che specificano, espressamente, le condotte di partecipazione del ricorrente che sarebbero limitate a periodo antecedente alla fruizione dei periodi di liberazione anticipata.
Con riferimento al secondo motivo si deduce che non vi è motivazione sulle ragioni per le quali la condotta illecita, successiva al periodo di liberazione anticipata, abbia potuto incidere, in maniera negativa, rispetto al già concesso beneficio, tanto da determinarne la revoca, senza considerare la precedente carcerazione.
Con riferimento al terzo motivo come ulteriormente articolato con note difensive, prodotte per l’udienza camerale del 7 maggio 2024 cui si rinvia, si evidenzia che il ricorrente è stato ininterrottamente detenuto, dal 25 marzo 2014
al 20 febbraio 2020, data della sentenza di primo grado resa nel procedimento definito con la sentenza irrevocabile commentata nel ricorso, a seguito di ordinanza cautelare del 25 marzo 2014, emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani.
Il condannato risulta essere stato ininterrottamente detenuto fino al 23 dicembre 2018 e, successivamente, dal 19 gennaio 2019 in quanto attinto cla nuova ordinanza coercitiva inframuraria, emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, dopo la quale vi è perduranza della detenzione sino alla sentenza di primo grado del 20 febbraio 2020.
Nello spazio di tempo tra il mese di marzo 2014 e fino al febbraio 2020, dunque, il condannato, secondo il ricorrente, non avrebbe potuto commettere alcun reato.
3.11 Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso con requisitoria scritta chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato.
1.1. I primi due motivi sono infondati.
Va premesso che secondo la giurisprudenza di questa Corte cui il Collegio intende dare continuità (cfr. Sez. 1, n. 9167 del 14/12/2022, dep. 2023, Scalogna, Rv. 284511 – 01) ai fini della revoca della liberazione anticipata per delitto non colposo commesso durante l’esecuzione della pena, il tempus commissi delicti del reato oggetto della condanna sopravvenuta deve essere individuato dal Tribunale di sorveglianza esclusivamente in base a quanto accertato dal giudice della cognizione, non spettando al Tribunale medesimo alcun autonomo potere di delimitazione temporale della condotta (nel caso del precedente citato si trattava di condanna per associazione per delinquere contestata con l’indicazione della sola data di cessazione della permanenza).
Si è precisato, poi, che in tema di benefici penitenziari, proprio ai fini della concessione della liberazione anticipata in presenza di un reato ostativo permanente con contestazione cd. aperta (nella specie quello di partecipazione ad associazione di tipo mafioso) è necessario che il giudice verifichi, tenendo conto della motivazione della sentenza di condanna, le date cui deve essere riferita in concreto ed entro le quali deve ritenersi esaurita la condotta partecipativa attribuita al condannato (Sez. 1, n. n. 49625 del 14/11/2023, COGNOME, Rv. 285429 – 01).
Anche in tema di revoca della liberazione anticipata, disposta per delitto non colposo commesso nel corso dell’esecuzione della pena, si è affermato (cfr. Sez.
1, n. 41750 del 16/09/2013, COGNOME, Rv. 257226) che il potere del Tribunale di sorveglianza di operare una cognizione incidentale dei fatti accertati nella sentenza di condanna per apprezzarli nel contesto complessivo dell’evoluzione della personalità del condannato, per quanto discrezionale e autonomo, non può considerarsi indipendente dal passaggio in giudicato dell’accertamento avvenuto in sede di processo penale (nel precedente citato la Corte di legittimità ha ritenuto che non sussisteva a carico del tribunale di sorveglianza un obbligo di specifica confutazione delle deduzioni difensive “inammissibilmente dirette” a negare il fatto storico che il condannato avesse continuato a dirigere un clan mafioso durante il periodo di detenzione).
Infine, deve essere rilevato che, nel caso di condanna per il delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso, non può farsi discendere, ai fini di un qualsiasi effetto giuridico, dalla contestazione cd. aperta del reato – cioè senza l’indicazione della data di cessazione della condotta illecita – l’implicito accertamento della permanenza della condotta fino alla data della sentenza di condanna di primo grado.
La giurisprudenza di questa Corte, da tempo, è concorde nell’affermare che, quando dalla data di cessazione della permanenza debba farsi derivare, anche in sede esecutiva, un qualsiasi effetto giuridico, “non può bastare il puro e semplice riferimento alla data della sentenza di primo grado, ma occorre verificare … ove si sia trattato di contestazione aperta, se il Giudice di merito abbia o meno ritenuto, esplicitamente o implicitamente, provata la permanenza della condotta illecita oltre la data dell’accertamento” ed, eventualmente, se tale permanenza risulti effettivamente accertata fino alla sentenza (tra le altre Sez. 1, n.774 del 14.12.2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 232966; nello stesso senso, Sez. 1, n. 46583 del 17/11/2005, Piccolo, Rv. 230727).
In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha specificato che tale principio deve trovare, a maggior ragione, applicazione ai fini della valutazione della concessione del beneficio della liberazione anticipata, in considerazione della necessità, in tale materia, di fare riferimento a comportamenti concreti, escludendo ogni automatismo collegato al sopravvenire di una condanna, sia in sede di ammissione che in sede di revoca del beneficio (Sez. 5, n.25578 del 15/05/2007, COGNOME, Rv. 237707).
Alla luce di tali principi, dunque, va ribadito che il Tribunale di sorveglianza in caso di contestazione di reato permanente cd. aperta, posto in essere in corso di esecuzione della pena per la quale è stato concesso il beneficio della liberazione anticipata, deve attenersi all’accertamento della data di commissione del reato contenuto nel provvedimento reso in sede di cognizione e che, comunque, nell’espletamento delle proprie prerogative in tema di revoca o
concessione della liberazione anticipata, deve valutare l’incidenza dei comportamenti concreti, in quella sede accertati, sul processo rieducativo.
Orbene si osserva che, nella specie, si tratta di contestazione di condotta associativa con carattere permanente, rispetto alla quale viene indicato come termine finale la condotta perdurante all’attualità.
A fronte di tale contestazione, il ragionamento svolto dal Tribunale non è carente posto che valuta la condotta acclarata in sede di cognizione, riconoscendo il ruolo – pacifico – del ricorrente quale partecipe del sodalizio criminoso, riconosciuto dallo stesso condannato, affermando la sussistenza di elementi di fatto dai quali trarre la conclusione della commissione di delitti in periodo successivo a quello nel quale il soggetto era ristretto per altro titolo esecutivo per il quale la liberazione anticipata era stata concessa.
Il Tribunale, anzi, ha valutato specificamente il fallimento del processo rieducativo a fronte di una buona condotta, la quale aveva portato alla concessione della liberazione anticipata, soltanto apparente. Il Tribunale, infatti, ha considerato incompatibili con il mantenimento del beneficio i comportamenti del condannato il quale, anche durante il periodo di detenzione, aveva continuato a svolgere attività di partecipe ad un’associazione dedita al narcotraffico, sicché la buona condotta non poteva ritenersi espressione di una convinta scelta verso un percorso risocializzante.
Del resto, nella specie, l’accertamento sul tempus commissi delicti risulta ben chiarito in sede di cognizione e il ricorrente, cOn i primi due motivi di ricorso, non indica, specificamente quale sarebbe la diversa data di accertamento del dies ad quem della condotta, asseritamente accertata da parte del primo giudice e coperta da giudicato.
Anzi, questo Collegio osserva che lo stesso Tribunale rende conto della mancanza di attivazione da parte dell’appellante, in sede di cognizione, di contestazioni afferenti alla data di cessazione della permanenza del reato associativo, avendo, in quella sede, contestato soltanto la qualificazione giuridica della condotta, cioè la qualità di organizzatore nell’ambito del sodalizio di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, ammettendo invece, la condotta di mero partecipe, conclusione e ratio decidendi del provvedimento impugnato non avversata, specificamente, con il ricorso che, dunque, per tale parte si presenta aspecifico.
1.2. Il terzo motivo è inammissibile per genericità.
È noto che la giurisprudenza di legittimità afferma che, nella partecipazione all’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, l’arrest dell’associato, elidendo la possibilità dello stesso di continuare la comune attività criminale, determina l’interruzione del vincolo associativo, salvo che ricorrano elementi positivi idonei a escludere tale dissociazione (Sez. 6, n.
n. 4004 del 29/11/2023, dep. 2024, COGNOME Rv. 285904 – 01; Sez. 1, n. 48643 del 10/06/2015, COGNOME Rv. 265386; Sez. 4, n. 34258 del 25/05/2007, COGNOME Rv. 237049).
Tuttavia, nel caso al vaglio la deduzione del ricorrente appare del tutto generica posto che si collega soltanto allo status detentionis del condannato, di cui si elencano i periodi. Questi non indica, in alcuna parte, a fronte dei descritti, limitati poteri di accertamento da parte del Tribunale di sorveglianza rispetto al giudicato reso in sede di cognizione, in che punto i provvedimenti di merito abbiano escluso l’assenza di apporti positivi al sodalizio successivi all’arresto di Albanese.
Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, in data 2 ottobre 2024
Il Consigliere estensore